A un anno dalla sua scomparsa, proponiamo uno degli ultimi lavori di Emanuele Severino, dedicato allo sviluppo della scienza e della filosofia nel XX secolo. La scienza oggi intende essere la forma autentica del sapere umano e quindi la pietra di paragone cui debbono commisurarsi tutte le altre forme di conoscenza e innanzitutto la filosofia. Benché la scienza si presenti come la guida più affidabile nelle decisioni che l'uomo deve prendere e come lo strumento più efficace per risolvere i problemi sempre più complessi della vita, la sua concezione come sapere esatto, certo e dimostrabile è decaduta da tempo. Essa non è epistème ma dòxa: funziona ed è indispensabile, ma non ci dice nulla circa la verità e della nostra relazione col senso ultimo dell'essere che la filosofia può ancora avere un futuro.
Emanuele Severino (1929-2020) è annoverato tra i più importanti pensatori italiani del '900 e da molti considerato come uno dei più grandi filosofi della nostra epoca. Laureatosi a Pavia con una tesi su "Heidegger e la metafisica" nel 1948, soltanto due anni pi+ tardi ottenne la libera docenza. Nel 1954 fu chiamato a insegnare all'Università Cattolica di Milano, dove nel 1962 divenne ordinario della cattedra di Filosofia morale. Dal 1970 al 2001 è stato professore ordinario di Filosofia teoretica all'Università degli Studi di Venezia, divenendone poi professore emerito, e a partire dal 2002 ha collaborato con la Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, tenendo il corso di "ontologia fondamentale". E' scomparso il 17 gennaio del 2020 a Brescia, la stessa città in cui era nato.
«Pensiero concretissimo, pensiero che ha illuminato l'essenza del nostro presente più di centurie di economicismo e sociologismo. Che ne ha messo in luce il radicale, compiuto nihilismo, che lo ha affrontato nelle sue origini storiche e metafisiche. Il nihilismo che ci mette costantemente in debito, abitanti una vita che non è nostra, che è destinata a dissolversi come dal nulla è venuta. Il nihilismo che non ci permette neppure di pensare alla Gioia, alla Gloria, all'Eterno. Inattualità poderosa, monumentale della grande opera di questo Maestro. Cosa è possibile comprendere del dramma dell'epoca se non si legge Heidegger contra Severino? Manca il controcanto a tutte le correnti fondamentali della filosofia o post-filosofia del Novecento, se non si comprende Severino... di Verità era affamato Severino. E questa fame ha cercato, disperatamente forse, di comunicarci lungo tutta la sua vita, con le migliaia e migliaia delle sue pagine che vivono e vivranno». (Massimo Cacciari)
Per comprendere l'attualità si deve andare alle sue radici. Queste "Lezioni milanesi" ne tracciano il percorso logico: la tecnoscienza dominerà il pianeta in quanto ascolta il "sottosuolo filosofico del nostro tempo", che mostra che l'Eterno della tradizione è impossibile perché nega ciò che da sempre è ritenuto evidente, il diventare altro delle cose. Vivere significa credere nel diventare altro; ma questo credere è la radice di ogni violenza, perché vuole che appaia ciò che non appare. Storicamente questa violenza si presenta con volti diversi: nell'esistenza primitiva come volontà di "sgretolare la barriera" circostante; nel mito e nelle religioni come tentativo di uccidere il dio; nella filosofia come ontologia. Ma l'uomo non è solo questa violenza radicale: è anche il luogo in cui appare l'innegabilità e perciò eternità dell'essente. E poiché questo apparire è destinato a non chiudersi mai (Gloria), nel suo profondo l'uomo è destinato all'infinito. A quella che Fichte definiva "vita beata".
Sin dal suo inizio storico la filosofia è stata la volontà di incarnare il sapere assolutamente innegabile. Ma come è possibile «la stabile conoscenza della verità», si chiede Emanuele Severino, «in un clima come quello del nostro tempo, dove non solo la scienza, ma la filosofia stessa ha quasi ovunque voltato le spalle a ciò che essa ritiene il "sogno" di un sapere siffatto». In realtà, già nel modo in cui la «scienza della verità» compie i primi passi è presente l'errare più radicale in cui l'uomo possa trovarsi, quello che per Severino è la Follia estrema: «la fede nella quale si crede che le cose diventano altro da ciò che esse sono ... affermando che l'evidenza suprema è che le cose escono dal nulla (dal loro non essere) e vi ritornano». Tutta l'opera di Severino, sin dal suo primo libro ("La struttura originaria", 1958), è volta dichiaratamente allo «smascheramento della Follia di questa fede», per «consentire al linguaggio di testimoniare l'assoluta innegabilità del destino della verità». E in queste pagine l'intero percorso viene ripresentato nell'insieme dei suoi tratti fondativi, con l'approfondimento di alcuni temi centrali quali l'interpretazione, il rapporto tra destino e scienza, l'essenza linguistica del sapere originario, il senso ultimo dell'esser uomo e la storia infinita dell'uomo, il senso della salvezza. Un percorso, dunque, attraverso l'intero 'terreno' di Severino, da cui il lettore potrà spaziare con lo sguardo: «Non basta possedere un campo: bisogna coltivarlo. Il campo di cui qui si tratta è l'insieme dei 'miei scritti'. Un linguaggio, dunque. E anche questo libro intende indicare l'autentica "pianura della verità"».
La filosofia è l'accadimento decisivo nella storia dell'uomo. Ma è tanto decisivo quanto radicalmente alienato. In queste "Lezioni milanesi" Emanuele Severino va al fondo di tale alienazione, ripercorrendo le tappe essenziali della storia filosofica. La filosofia crede che il diventare altro degli essenti appaia e sia evidentemente il loro modo di essere fondamentale. Ma così, rileva Severino, essa pensa che l'ente sia niente. Il tratto essenziale di tale "nichilismo" è la sua inconsapevolezza: si identifica l'ente al niente proprio nell'atto in cui si crede di affermarne l'essere. La formulazione aristotelica del principio di identità-non contraddizione ne è l'esempio principe: l'ente è quando è, non è quando non è. La riflessione di Severino non si limita a mostrare la contraddizione del contenuto del nichilismo, ma si rivolge anche alla sua forma logica: isolando il soggetto ("momento semantico non apofantico" in linguaggio aristotelico, operatio prima intellectus nel linguaggio di Tommaso) dal giudizio di identità (momento semantico apofantico in Aristotele, operatio secunda intellectus per Tommaso), il dire nichilistico consiste essenzialmente nella identificazione della cosa e del suo non essere sé stessa. Al termine di queste "Lezioni" Severino apre però uno scenario grandioso: l'uomo non è solo contraddizione, ma "essenzialmente più che uomo" in quanto io del destino, cioè autoapparire dell'assoluta innegabilità-eternità dell'esser sé di ogni essente come tale.
Un dialogo che dura da oltre dieci anni tra Emanuele Severino e Vincenzo Vitiello su due concetti all'origine del pensiero filosofico occidentale.
Nel mondo del Ventunesimo secolo sono esplose tensioni forse tra le più laceranti della storia: il contrasto tra la globalizzazione, e la crisi economica che ne è conseguita, e le istanze locali delle forze del passato; le migrazioni delle masse di poveri che premono alle porte del ricco Occidente; lo scontro tra le forme della cultura e la tradizione occidentale, che sino a poco tempo fa poteva considerarsi dominante, e il terrorismo di matrice islamica. A questi problemi la politica non è in grado di offrire soluzioni efficaci: non sul piano internazionale, dove ogni forma di cooperazione tra Stati viene messa in seria discussione, né all'interno dei singoli Paesi, dove ha ceduto all'economia la gestione della società, limitandosi a garantire il funzionamento del mercato. In relazione a questo quadro Emanuele Severino riprende e sviluppa qui temi a lui cari come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura per smascherare il significato profondo della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il tempo presente vuole abbandonare. In questo processo il capitalismo, per trionfare sui propri nemici, dopo aver emarginato la politica, deve sfruttare a fondo le potenzialità della tecnica, la quale è divenuta sempre più forte e ora da serva si sta trasformando in padrona, svuotando il capitalismo del suo scopo e conducendolo quindi alla morte. Quello che oggi ci pare uno scontro epocale tra valori è in realtà soltanto l'espressione di una battaglia di retroguardia, tra le diverse "verità" che intendono piegare il mondo alla loro visione ma che in realtà sono tutte destinate a essere sconfitte dall'avvento della tecnica, che potrà compiersi pienamente solo quando quest'ultima potrà godere del sostegno della filosofia e raggiungere il proprio scopo: realizzare tutto quanto è possibile.
"L'uomo teme soprattutto la morte. È così da sempre. La paura viene da lontano, dall'inizio. Se la morte è l'estrema minaccia che il Dio veterotestamentario rivolge ad Adamo, ciò significa che Dio sa che la morte è quel che Adamo teme di più." Sin dai suoi primi passi l'uomo ha tentato di difendersi dalla morte e di comprenderne il senso. Così, partendo dai miti, attraverso le religioni sempre si è confrontato con questa sconcertante evidenza del venir meno, dell'assenza di ciò che era presente, delle metamorfosi. Ma è solo con il pensiero filosofico che nel popolo greco è stato messo a fuoco il rapporto delle cose e degli eventi con il nulla. Un nulla, una assenza totale, che ha conferito un carattere tanto più radicale alla morte e alle riflessioni su di essa. Si incomincia a morire — e a nascere — di fronte al nulla e ha così inizio la paura estrema della morte. Per il nichilismo contemporaneo, al quale perviene lo sviluppo estremo — e più coerente — del pensiero filosofico, ogni cosa è destinata ad andare nel nulla. Eppure, discutendo anche con molti suoi interlocutori, Emanuele Severino fa capire i motivi per i quali si deve affermare che l'andare nel nulla delle cose e degli eventi non è qualcosa di "evidente", di "sperimentabile". Un'affermazione che solo apparentemente è paradossale, perché al contrario essa esprime la maggiore fedeltà all'apparire del mondo. Non solo: "Si dice che 'ognuno di noi' sperimenta la morte del prossimo, non la propria. Ma poiché l'esistenza stessa del prossimo non è sperimentata, del prossimo non si può sperimentare nemmeno la morte (o la nascita)". Nelle pagine di questo saggio, Severino si rivolge al lettore con un linguaggio chiaro e suggestivo, guidandolo nel labirinto delle grandi domande, delle questioni irrisolte a cui da sempre la filosofia cerca di dare risposta.
Nel mondo del Ventunesimo secolo sono esplose tensioni forse tra le più laceranti della storia: il contrasto tra la globalizzazione, e la crisi economica che ne è conseguita, e le istanze locali delle forze del passato; le migrazioni delle masse di poveri che premono alle porte del ricco Occidente; lo scontro tra le forme della cultura e la tradizione occidentale, che sino a poco tempo fa poteva considerarsi dominante, e il terrorismo di matrice islamica. A questi problemi la politica non è in grado di offrire soluzioni efficaci: non sul piano internazionale, dove ogni forma di cooperazione tra Stati viene messa in seria discussione, né all'interno dei singoli Paesi, dove ha ceduto all'economia la gestione della società, limitandosi a garantire il funzionamento del mercato. In relazione a questo quadro Emanuele Severino riprende e sviluppa qui temi a lui cari come il rapporto tra politica, tecnica e filosofia e propone una chiave di lettura per smascherare il significato profondo della volontà di disfarsi di quella adesione alla verità assoluta che il tempo presente vuole abbandonare. In questo processo il capitalismo, per trionfare sui propri nemici, dopo aver emarginato la politica, deve sfruttare a fondo le potenzialità della tecnica, la quale è divenuta sempre più forte e ora da serva si sta trasformando in padrona, svuotando il capitalismo del suo scopo e conducendolo quindi alla morte. Quello che oggi ci pare uno scontro epocale tra valori è in realtà soltanto l'espressione di una battaglia di retroguardia, tra le diverse "verità" che intendono piegare il mondo alla loro visione ma che in realtà sono tutte destinate a essere sconfitte dall'avvento della tecnica, che potrà compiersi pienamente solo quando quest'ultima potrà godere del sostegno della filosofia e raggiungere il proprio scopo: realizzare tutto quanto è possibile.