«Un barbone era stato aggredito sotto il pont Marie e gettato nella Senna in piena, ma per miracolo se l’era cavata e il professor Magnin non riusciva a capacitarsi della sua rapida ripresa. «Era un delitto senza vittima, insomma, si sarebbe quasi potuto dire senza assassino, e nessuno si preoccupava del Dottore, tranne Léa la cicciona e, forse, due o tre barboni. «Eppure Maigret dedicava a quel caso lo stesso tempo che avrebbe dedicato a un dramma da prima pagina. Sembrava ne facesse una questione personale, e dal modo in cui aveva appena annunciato il suo colloquio con Keller si sarebbe potuto credere che si trattava di qualcuno che lui e sua moglie desideravano incontrare da tempo».
Non capita spesso che Maigret perda le staffe. In genere (lo sanno bene i suoi fedeli lettori) conserva sempre quella sua aria un po' torpida, quasi ottusa, e la sua imperturbabile calma. Con un certo tipo di colpevoli, poi, può anche dar prova di una personale, benigna indulgenza. Altri, invece, suscitano in lui un disprezzo irrefrenabile, e a volte un furore micidiale. Ed è appunto ciò che accadrà allorché, dopo aver brancolato nel buio per un po', il commissario si troverà di fronte l'assassino di Emile Boulay, detto il Bottegaio. Un omicidio che fin dal primo momento gli è sembrato anomalo. Innanzi tutto perché chi ha ucciso ha tenuto nascosto il cadavere per più di quarantott'ore prima di abbandonarlo su un marciapiede. E poi perché Emile è stato strangolato: e in genere negli ambienti della malavita si usa la pistola, o al massimo il coltello. Lo stesso Boulay, del resto, era un personaggio anomalo: proprietario di vari night-club, doveva il suo soprannome al modo in cui gestiva gli affari: "Non è mica perché uno si guadagna la vita facendo spogliare le donne che dev'essere per forza un gangster... Sono un commerciante rispettabile, io..." usava dire. Chi poteva aver interesse a uccidere un uomo così ligio, così attento alla propria reputazione?
È un fulgido maggio, che a Maigret ricorda la prima comunione e l'infanzia. Quasi una premonizione. Perché non appena comincia a indagare sull'assassinio del conte Armand de Saint-Hilaire, illustre ex ambasciatore ucciso con quattro colpi di revolver nel suo studio in rue Saint-Dominique, il commissario ha davvero l'impressione di regredire pericolosamente all'infanzia, quando a Saint-Fiacre la contessa appariva, a lui, figlio dell'intendente del castello, nobile, elegante e irraggiungibile come l'eroina di un romanzo popolare. Insigni diplomatici, funzionari beffardi e pieni di sicumera, quartieri eleganti, residenze squisitamente armoniose. Proprio l'ambiente in cui Maigret si sente più a suo agio, non c'è che dire. E la fase di impregnazione con cui s'inaugura ogni sua inchiesta è questa volta più che mai fatta di esitazione, impaccio, timidezza. E poi tutti sembrano irreali, sfocati, inconsistenti, quasi appartenessero a un mondo svanito: il conte, Isi - la principessa cui ha dovuto rinunciare ma che ha continuato ad amare, da lontano, con incrollabile tenacia, per cinquant'anni, come se fosse una creatura eterea e soprannaturale -, la devota governante Jaquette, che ha lo sguardo fisso di certi uccelli, il gelido nipote Alain. L'unico dato reale sono i quattro colpi di pistola che l'assassino ha sparato con ferocia. Un caso frustrante, un delitto privo di una spiegazione plausibile. Condurre a termine l'inchiesta, per Maigret, è come acchiappare una nuvola. O il passato.
Se "la vecchia" ha proprio con lui, Vladimir, un rapporto così speciale, è perché loro due si somigliano: provano entrambi un profondo disgusto per tutto quanto li circonda, e la medesima pietà per se stessi. Due mascalzoni infelici, intrisi di amarezza e di cinismo, questo sono. Perciò, lasciando gli scrocconi a vagare annoiati nella grande villa, Jeanne Papelier si ubriaca insieme a lui; finisce sempre che si mettono a piangere, e poi vanno a letto insieme. Sono anni che Vladimir ricopre il duplice ruolo di amante e di domestico; e che si occupa dell'Elektra, lo yacht attraccato nel porticciolo di Golfe-Juan, insieme a Blinis, russo bianco come lui, con il quale ha diviso l'esilio e la miseria prima che trovassero la gallina dalle uova d'oro. Un equilibrio apparentemente perfetto, che si romperà allorché farà la sua comparsa una donna giovane e bella, la figlia della vecchia Papelier - una che non ha nulla a che fare né con quella ricchezza né con quell'abiezione.
Spesso i lettori chiedono: che cosa c'era prima di Maigret? In questo racconto del 1931 troveranno una risposta: quando ancora non aveva individuato nel commissario il personaggio che lo avrebbe accompagnato fino al 1972, Georges Simenon ha infatti tentato altre strade, altri personaggi destinati alla serialità. Uno di questi è l'ispettore G.7 - trent'anni, capelli rossi, l'aria timida -, che qui si trova a dover risolvere una faccenda assai intricata, che comincia con la sostituzione, e poi la sparizione, di un cadavere, e ha al centro una bellissima bionda, delicata e un po' folle.
Questa volta Maigret l'ha preso davvero male il ritorno dalle ferie: a Parigi si respira ancora aria di vacanze, l'estate non si decide a finire, e perfino al Quai des Orfèvres l'atmosfera gli pare insolita. Come se non bastasse, gli capita di avere degli incubi. Sicché accoglie quasi con sollievo una di quelle telefonate che lo svegliano in piena notte buttandolo giù dal letto mentre sua moglie scatta in cucina a fargli un caffè. La vittima dell'omicidio sul quale dovrà indagare è un tipico "uomo tranquillo", ex proprietario di un cartonificio in pensione da qualche anno per motivi di salute, buon padre di famiglia, amato dalla moglie e adorato dalla figlia - uno che non aveva nemici perché "tutti gli volevano bene". Eppure Maigret sente subito che in quel caldo e armonioso quadretto familiare in apparenza senza crepe, in quell'esistenza borghese e ovattata dove l'eventualità di un delitto è totalmente inconcepibile, c'è qualcosa che non funziona, qualcosa di stridente. E questo non può che turbarlo: perché quel mondo di gente ammodo (e talmente "buona" da tentare fino allo spasimo di coprire il colpevole) è anche il suo, e a tutti loro lui pensa "come a persone di famiglia".
"Sei così bello" gli aveva detto un giorno Andrée "che mi piacerebbe fare l'amore con te davanti a tutti...". Quella volta Tony aveva avuto un sorriso da maschio soddisfatto: perché era ancora soltanto un gioco, perché mai nessuna donna gli aveva dato più piacere di lei. Solo quando il marito di Andrée era morto in circostanze non del tutto chiare, e Tony aveva ricevuto da lei il primo di quei brevi, sinistri biglietti anonimi, solo allora aveva capito, e aveva cominciato ad avere paura. Ancora una volta, nel suo stile asciutto e rapido Simenon racconta la storia di una passione divorante e assoluta, che non indietreggia nemmeno di fronte al crimine. Anzi, lo ripete.
Maggio 1940. Le truppe della Wehrmacht dilagano in Belgio e minacciano i confini della Francia. Dalle Ardenne sciami di profughi lasciano le loro case prendendo d'assalto i pochi treni disponibili. Nel carro bestiame di un convoglio che procede lentissimo verso La Rochelle, un uomo mediocre, miope e di salute cagionevole, un uomo con una piccola vita mediocre e mediocremente serena, incontrerà una donna di cui non saprà altro, nelle poche settimane che passeranno insieme, se non che è una cèca di origine ebrea, e che è stata in prigione a Namur. Fra loro, all'inizio del viaggio che li porterà fino alla Rochelle, non ci sono che sguardi, ma un po' alla volta, senza che nulla sia stato detto, le due solitarie creature diventano inseparabili; finché, durante la prima notte che passano l'una accanto all'altro sulla paglia per terra, confusi fra altri corpi sconosciuti, accadrà qualcosa di inimmaginabile. Sarà l'inizio di una passione amorosa che li isolerà da tutto ciò che accade intorno a loro (l'occupazione tedesca, i convogli di sfollati, il tendone da circo che li ospita insieme ad altre decine di profughi), chiudendoli in un bozzolo fatto di desiderio, di gioco e di una scandalosa, disperata, effimera felicità.
Un libro sulle inchieste di Maigret.
Era stato un uomo molto potente. Per molti, moltissimi anni. La sua carriera politica lo aveva portato a un passo dal diventare Presidente della Repubblica. Adesso, vecchio e malato, era una sorta di monumento vivente, e in tutte le redazioni dei giornali (di questo lui era certo) i "coccodrilli" dovevano essere già pronti da tempo. Eppure, da quando si era ritirato sulla costa normanna, dopo la caduta del suo ultimo governo e la sincope che lo aveva colpito, il presidente sapeva di essere strettamente sorvegliato. Non solo da quelli che lui chiamava i suoi cani da guardia - gli ispettori che si davano il cambio davanti a casa sua dietro preciso incarico del ministero degli Interni -, ma anche dall'infermiera che lo curava, dalla segretaria, e dal fedele autista. Gli stessi (e pure di questo era quasi certo) che frugavano con accanimento fra i suoi libri e le sue carte - soprattutto dal giorno in cui aveva detto a un giornalista di aver cominciato a scrivere le sue memorie "non ufficiali". Qualcuno, evidentemente, lo considerava ancora pericoloso. Ma chi? Magari uno che era stato, a venticinque anni, il suo timido, devoto segretario particolare, e che adesso stava per diventare primo ministro; uno che lui, l'anziano presidente, era certo di tenere in pugno: perché conservava, nascosta fra le pagine di un libro, una lettera, oltremodo compromettente. Era quella che tutti cercavano? O le sue minacciate memorie? Ma in fondo, poi, che importanza aveva ormai tutto questo?
È una notte interminabile, lunga come una vita, quella in cui si decide il destino di Adrien Josset, patron di una prospera industria farmaceutica, la Josset & Virieu. Il padre della sua segretaria-amante, la giovane, fresca, scialba Annette, lo ha accusato di aver gettato il disonore sulla famiglia e ha preteso una pronta riparazione. E poche ore dopo, rientrando nella quiete elegante di Auteuil, ha trovato - così almeno sostiene - il corpo senza vita della moglie, sgozzata e trafitta da ventuno colpi di pugnale. Ma forse il suo destino si era deciso già anni prima, quando, squattrinato aiuto-farmacista, aveva sposato Christine Lowell, libera, disinvolta, capricciosa ed enormemente ricca. Sì, forse è stato quel "passage de la ligne" a decidere del suo destino - e a perderlo. Perché ora lo "smart set" che ha sempre giudicato Christine "adorabile" malgrado la sua inclinazione per l'alcol e i barbiturici e le schiere di "protetti" di cui si circondava, e lui tutt'al più "un bravo ragazzo" malgrado l'innegabile talento e il successo, non ha esitazioni: Josset l'usurpatore, Josset l'infiltrato, Josset l'ambizioso senza scrupoli non può che essere il colpevole. E, quel che è più grave, ne è convinto anche il giudice Comélieu. Questione di casta, no? Adrien può contare solo su Maigret.
Adesso quelli li costringono anche a mentire! "Quelli" sono i magistrati della Procura e i signorini del ministero degli Interni, usciti freschi freschi dalle Grandes Écoles con i loro bravi diplomi e pronti a sputare sentenze e a dettare legge senza avere la benché minima idea di come va il mondo. Quanto alla Polizia, deve accontentarsi ormai di avere un ruolo subalterno, e soprattutto fare bene attenzione a rispettare i regolamenti, per quanto pletorici e contraddittori essi siano. Così, se Maigret si trova, alle quattro di una gelida mattina d'inverno, con le mani sprofondate nelle tasche e la pipa in bocca, davanti a un cadavere che qualcuno ha gettato da una macchina dopo averlo sfigurato è solo perché il fedele ispettore Fumel, uno della vecchia scuola, gli ha telefonato prima di avvertire la Procura. E sarà Maigret, pur non essendo stato incaricato del caso - ma anzi esortato dal giovane e baldanzoso procuratore ad arrestare al più presto una pericolosa banda di professionisti della rapina a mano armata che assai preoccupa l'opinione pubblica -, a scoprire l'assassino di quel ladro metodico, solitario e discreto, che lui stesso non è mai riuscito a incastrare e nei cui confronti nutre qualcosa che assomiglia molto alla simpatia.