L'"amico di Kafka" che dà il titolo a questo volume di racconti è un ex attore del teatro yiddish di Varsavia, disoccupato e vanesio, che si atteggia a dongiovanni e si vanta di aver conosciuto il famoso scrittore praghese. Una facciata pretestuosa che nasconde, in realtà, la contrapposizione di due diverse visioni dello stesso mondo. La prima è assillante nella ricerca di una via di scampo che si sa impossibile; la seconda recupera invece la speranza attraverso un'esplosione di espedienti magici che offrono ogni libertà alla fantasia umana. Accanto a "Un amico di Kafka", giustamente considerato un capolavoro nonché una tra le prose più limpide ed enigmatiche della maturità di Singer, appaiono altri venti racconti, tra i più significativi dell'ultima produzione del Premio Nobel, che spaziano dall'Est europeo al Nuovo Mondo e attraversano le varie epoche del nostro secolo, nel tentativo costante di recuperare i valori della tradizione e di sondare le pieghe più riposte dell'animo umano.
Nella "Morte di Matusalemme", scrive Singer, "ho raccontato al lettore, e forse a me stesso, la storia dell'arte cosmica e umana. Un'arte che non deve essere esclusivamente ribellione e spregio: essa può anche comportare la possibilità di edificare e correggere. E persino, pur con tutte le sue limitazioni, tentare di porre rimedio agli errori del costruttore eterno, a immagine del quale è stato creato l'uomo." Attingendo allo sterminato patrimonio di tradizioni orali, favole e aneddoti del mondo ebraico dell'Europa orientale, Singer ha dato innumerevoli prove della sua capacità di raccontare storie di ogni genere.
Formidabile personaggio Yasha Mazur, soprannominato il Mago di Lublino: illusionista, saltimbanco, ipnotizzatore, capace di liberarsi da qualunque corda e di aprire qualunque serratura - ma anche minacciato dalla noia, malato di irrequietezza, sempre affamato di «nuovi trucchi e nuovi amori». E, come altre figure magistralmente tratteggiate da Singer, combattuto fra insaziabili appetiti carnali e nostalgia degli antichi riti della sua religione. Di donne, oltre alla moglie che lo aspetta pazientemente nella casa di Lublino, Yasha ne ha almeno tre o quattro, e di una di loro, una vedova cattolica, è innamorato al punto di volersi convertire per sposarla (ma gli piace parecchio anche la figlia: certo, ha solo quattordici anni, ma basta che cresca un po'...). Con lei vorrebbe partire per l'Italia, che in questo scorcio del diciannovesimo secolo sembra potergli offrire tutte le opportunità che non avrà mai nel suo paese. E tuttavia non sa decidersi, i dubbi lo tormentano «come uno sciame di locuste». Finché un giorno non accadrà qualcosa - qualcosa di terribile - che indurrà il Mago di Lublino a intraprendere un cammino che non avrebbe mai immaginato di percorrere.
Chi era il nonno dei robot? Il golem è forse uno dei più antichi esseri artificiali leggendari: un gigante di argilla creato, su ispirazione divina, da un rabbino, in aiuto degli Ebrei di Praga; un enorme fantoccio che si anima solo quando in fronte gli viene inciso il completo nome di Dio. In un primo tempo il golem ubbidirà agli ordini, ma poi comincerà ad avere vita propria, a essere invaso dalla malinconia, a sentirsi solo e diverso. E tra mito, filosofia e fantascienza, la sua storia avrà un finale fiabesco, che lo accomuna a quello commovente e immortale della "Bella e la Bestia". Età di lettura: da 12 anni.
Un giorno, a una domanda sull'importanza che aveva avuto l'amore nella sua vita, Isaac Bashevis Singer rispose: «Grandissima, perché l'amore è amore della vita. Quando ami una donna ami la vita che è in lei». Ma che genere di amore è quello che lega Herman, il protagonista di Nemici, a Yadwiga, la contadina polacca che lo ha salvato dalla deportazione nascondendolo per tre anni in un fienile, nutrendolo e curandolo, e che lui ha portato con sé a New York e ha sposato? E che genere di amore lo lega a Masha, la donna, scampata ai lager, del cui corpo non riesce a fare a meno, ma che percepisce come una minaccia – perché quel desiderio, più che alla vita, si apparenta alla morte? Ed è ancora amore il sentimento che lo lega alla moglie Tamara, che credeva morta e che gli riappare davanti all'improvviso? Di fronte a simili domande Herman è paralizzato, incapace di trovare una via d'uscita. A rendere tutto molto, molto più complicato è la fatica quotidiana del vivere, in quella New York che è sembrata un miraggio di felicità, ma che si rivela ogni giorno più inospitale e più aspra. Il lettore segue Herman nei suoi affannosi, sconclusionati andirivieni dal Bronx a Coney Island e da Coney Island a Manhattan, chiedendosi se e come riuscirà a tirarsi fuori da quella specie di guerra che le sue tre donne gli hanno dichiarato, e soprattutto dal groviglio di un'esistenza fatta di continue menzogne, sotterfugi, goffaggini e fughe – o se, come il Bunem di Keyla la Rossa, finirà per cedere alla tentazione di disperare di Dio.
Alle soglie del 1666 si diffuse in Polonia la notizia che per gli ebrei la fine dell'Esilio era imminente: un uomo chiamato Shabbatay Tzevi si era rivelato come il Messia, e presto una «nuvola sarebbe apparsa e li avrebbe portati tutti in Terra Santa». I segni non erano mancati: nel decennio precedente i cosacchi dell'atamano ucraino Chmel'nitskij avevano massacrato quasi centomila ebrei, «scorticando vivi gli uomini, sgozzando i bambini, violando le donne per poi squarciarne i ventri e cucirvi dentro gatti vivi». Ma quegli orrori non erano altro se non «le doglie che annunciavano la nascita del Messia». Per accelerare la liberazione - così dicevano gli emissari di Shabbatay Tzevi - bisognava immergersi nell'oscurità del peccato: solo la discesa agli inferi avrebbe consentito l'ascesa delle anime, e la perfetta redenzione. Anche gli abitanti di Goraj, «la città nascosta tra le colline in capo al mondo», si abbandonano dunque all'idolatria e alla licenza, infrangendo ogni legge. Ma la sciagura si abbatte su di loro: dopo aver giaciuto, benché sposata, con il capo dei sabbatiani, Rechele la profetessa viene posseduta da un dybbuk, e finisce per essere ingravidata da Satana, mentre la disperazione stringe in una morsa la città, stremata dalla carestia. Perché a Goraj «vi sia contentezza» bisognerà che le forze demoniache vengano scacciate, e il nome dell'Onnipotente sia di nuovo santificato. «Che meraviglioso, meraviglioso mondo,» ha scritto Henry Miller «un mondo bello e terribile, quello di Isaac Bashevis Singer, benedetto sia il suo nome!».
A Keyla la Rossa nessuno resiste: né Yarme - un seducente avanzo di galera -, né il giovane e fervido Bunem - che pure era destinato a diventare rabbino come suo padre -, né l'ambiguo Max. Se questo magnifico libro è rimasto praticamente inedito fino a oggi, è forse perché Singer esitava a mettere sotto gli occhi dei lettori goy il «lato oscuro» di quella via Krochmalna da lui resa un luogo letterariamente mitico. In Keyla la Rossa si parla infatti in modo esplicito di due argomenti tabù: la tratta, a opera di malavitosi ebrei, di ragazze giovanissime, che dagli shtetl dell'Europa orientale venivano mandate a prostituirsi in Sudamerica, e l'ignominia di un ebreo che va a letto sia con donne che con uomini. Alle turbinose vicende dei quattro protagonisti (e dei numerosi, pittoreschi comprimari) fa da sfondo, all'inizio, la vita brulicante, ardente, odorante e maleodorante del ghetto in cui era confinata, in condizioni di estrema miseria, la comunità ebraica di Varsavia, e poi quella, non meno miserabile e caotica, delle strade di New York in cui si ammassavano gli emigrati nei primi decenni del secolo scorso: affreschi possenti, che non a caso molti hanno accostato a quelli ottocenteschi di Dickens e Dostoevskij.
I racconti più belli del grande scrittore yiddish raccolti a cura di Claudio Magris
«La sua poesia era un miracolo che egli non controllava, e fluiva inattesa dalla sua mano che scriveva e dalla sua persona che viveva.»
Claudio Magris
Introducendo alla lettura di questi 23 racconti tra i più belli di Singer, Claudio Magris scrive: «Il Narratore che regge le file delle novelle di Singer si dissimula nelle voci più varie dell’esperienza collettiva: parla per bocca dei demoni della tradizione, dipana le vicende dai proverbi popolari e dai detti sapienziali, afferra al volo le confidenze dei vagabondi sul ciglio della strada e dei vecchi ricoverati all’ospizio, raccoglie le chiacchiere mormorate nel tempio e nella bottega. Per questo Narratore, le storie e la vita non finiscono mai; è grazie alla sua voce che a Singer riesce l’imperturbabile rappresentazione della totalità: egli ritrae il caos e l’ordine, la tenerezza e la perversione, la luminosa presenza del senso e l’acre putredine del nulla».
Max Barabander, ebreo con un passato di affari loschi e la morte prematura di un figlio alle spalle, rientra in Polonia dopo gli anni dell'emigrazione in Argentina. Ha quarantasette anni e un dolore tanto lacerante da incrinare irrimediabilmente il rapporto con la moglie. È il 1906. In Polonia Max rientra anche per trovare un'altra donna, per risvegliare l'eros a lungo sopito nel lutto, per dimostrare a se stesso di essere ancora un uomo. All'arrivo trova una Varsavia che, al crocevia dei due secoli, è profondamente cambiata. Ritrova il suo quartiere, crogiolo di ricordi e legami di sangue, brulicante di emarginati, prostitute, truffatori, babele che lo risucchia in un vortice di inganni e dissoluzione.
Il volume raccoglie quattordici racconti, bozzetti, leggende, esperienze vagamente autobiografiche che, nella grande tradizione del racconto ebraico, recuperano un antico patrimonio e formano un affascinante capitolo sulla condizione umana. Dalla storia di un singolare adulterio consumato tra due coniugi da lungo tempo separati e divorziati, al racconto in cui l'anima di un peccatore defunto si incarna nel corpo di un vivente e si impossessa dei suoi gesti, della sua voce, della sua volontà, Singer si nasconde di volta in volta dietro una varietà di voci per riscrivere, sempre in prospettiva, mai in prima persona, la propria storia di autore yiddish trapiantato a New York.
In questo libro Singer ha creato il più memorabile dei suoi personaggi: se stesso. Se stesso bambino in cerca di Dio, nella corte del padre rabbino chassidico, nelle viuzze ebraiche di Varsavia, nei minuscoli "shtetl" della campagna polacca. Se stesso giovane e poverissimo aspirante scrittore nel fervido clima intellettuale della Varsavia del primo dopoguerra. Se stesso famelico di vita e soprattutto di amore. Se stesso, infine, in fuga davanti al terrore nazista ed emigrato in America, terra estranea e ignota, che gli propone la sfida drammatica ed esaltante di un futuro totalmente incerto, senza legami con il passato, senza tradizioni, senza lingua.
Il primo romanzo pubblicato dal premio Nobel per la letteratura nel 1935. Polonia, metà del XVII secolo. Nel villaggio ebraico di Goray, presso Lublino, i pochi sopravvissuti a un massacro ascoltano la predicazione del falso Messia Sabbatai Zevi. Un venditore ambulante annuncia la redenzione e il ritorno degli ebrei a Gerusalemme. Il messaggio è raccolto, fra gli altri, dallo zoppo Mordechai Joseph. Il rabbino Rabbi Benish è certo del carattere malefico degli eventi annunciati, e ripara a Lublino. Il venditore ambulante sposa Rachele, ma, vittima dei digiuni e della depressione, si rivela impotente, fra lo scherno del villaggio...