Il grande Rabbi Yehudah soffrì per tredici anni poiché non aveva avuto compassione di un vitello portato al mattatoio. Ma poi fu risanato perché, citando un salmo sulla misericordia, salvò delle piccole donnole.Perché la compassione si dispieghi occorre che trovi almeno tre compagni di cammino. Ci deve essere sommovimento di viscere, vera vicinanza e la presenza di un positivo senso di colpa. Se siamo impassibili e guardiamo con distacco la sofferenza altrui, il cuore non è mosso a compassione e restiamo freddi, non compassionevoli, perché nessuno può essere coinvolto se resta distante.Una riflessione su tre radici verbali della lingua ebraica consente di approfondire il tema. La prima è connessa alle viscere o più specificatamente all'utero, la seconda all'abitare e la terza è legata a un'ambivalenza profonda poiché significa tanto pentirsi quanto consolare. Se non si avverte come sperequazione inaccettabile e ingiustificata il confronto tra la propria salute e la malattia altrui, tra la propria pienezza e la mancanza inscritta nella vita del nostro prossimo, tra la propria gioia e la tristezza dell'altro, tra la propria fiducia e l'altrui disperazione non si è mossi ad autentica compassione.
Nelle testimonianze dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, il corpo - definitivamente trasformatosi in fumo e cenere per i "sommersi" - occupa sempre uno spazio centrale. Nel suo consumarsi e piagarsi esso è il luogo delle cicatrici eloquenti, della violenza subita, dello sforzo per la sopravvivenza, ma anche della carne spogliata della possibilità e della libertà di testimoniare qualcosa di "altro", come accade ai martiri. Il numero tatuato sul braccio delle vittime era, nella prospettiva di chi lo ha progettato, l'impronta tangibile della condizione di sottoumanità dei deportati, un marchio che espropria del "nome proprio" impedendo ad ognuno di diventare dignitosamente, umanamente, un "tu". Nella distruzione dei corpi, Auschwitz costringe i testimoni e i superstiti a ritrovare una parola irrimediabilmente privata della sua integrità, a riacquistare, per quanto possibile, le voci; a ridare lineamenti di volti umani a chi è stato reso fumo e cenere. E quindi, paradossalmente, a recuperare il fiato dei corpi dei vecchi e dei bambini - i primi a perire perché custodi della memoria e del futuro - riannodando i fili spezzati della continuità di un popolo.