Israele viene solitamente descritto come un'isola democratica in mezzo a un oceano oscurantista e Hamas come un esercito di belve assetate di sangue. La storia sembra tornare al XIX secolo, quando l'Occidente perpetrava genocidi coloniali in nome della sua missione civilizzatrice. I suoi presupposti essenziali rimangono gli stessi: civiltà contro barbarie, progresso contro intolleranza. Accanto alle dichiarazioni di rito sul diritto di Israele a difendersi, nessuno menziona mai il diritto dei palestinesi a resistere a un'aggressione che dura da decenni. Ma se in nome della lotta all'antisemitismo viene scatenata una guerra genocida, sono i nostri stessi orientamenti morali e politici a offuscarsi. A uscirne minati sono i presupposti della nostra coscienza morale: la distinzione tra bene e male, oppressore e oppresso, carnefici e vittime. L'attacco del 7 ottobre è stato atroce, ma deve essere analizzato e non solo condannato. E dobbiamo farlo chiamando a raccolta tutti gli strumenti critici della ricerca storica. Se la guerra a Gaza dovesse concludersi con una seconda Nakba, la legittimità di Israele sarebbe definitivamente compromessa. In tal caso, né le armi americane, né i media occidentali, né la memoria distorta e oltraggiata della Shoah potranno riscattarla.
Fin dall'antichità gli storici hanno scritto in terza persona. Oggi è nato un nuovo genere storiografico che lascia spazio alla soggettività dell'autore. Un genere che innesta l'autobiografia nella scrittura del passato, come se la storia non potesse essere raccontata e interpretata senza mettere a nudo l'interiorità non soltanto di coloro che la fanno ma anche, e soprattutto, di coloro che la scrivono. Gli storici raccontano la loro indagine e mettono in scena le emozioni che essa suscita in loro. Incontrano così i romanzieri che, sempre più attratti dal reale, costruiscono le loro narrazioni come inchieste basate su ricerche d'archivio (basti pensare ad autori come W.G. Sebald, Emmanuel Carrère, Javier Cercas o Daniel Mendelsohn). All'origine di questa nuova storiografia soggettivista c'è un mondo sociale fondato su una condotta di vita e una percezione del tempo individuali. La famiglia, gli antenati e i fantasmi del passato diventano il luogo privilegiato della memoria e dell'indagine storica. Non una storiografia 'neoliberale', ma certo una storiografia dell'età neoliberale.