Nadia Urbinati esplora il cuore del meccanismo democratico: la scossa conflittuale tra i ‘pochi’ e i ‘molti’, le élites e il popolo.
Il XXI secolo è punteggiato da una serie ininterrotta di manifestazioni popolari che hanno portato in piazza un diffuso scontento: le primavere arabe, Occupy Wall Street, gli indignados, i Vaffa Days, i gilet gialli, le manifestazioni sul clima, le rivolte in Cile, a Hong Kong, in Libano. Quello a cui assistiamo è un conflitto nuovo rispetto a quello rappresentato e organizzato da partiti e sindacati: è contrapposizione tra pochi e molti, tra chi detiene il potere e chi sente di non contare nulla. La frattura sociale profonda che questi antagonismi evidenziano mette in crisi l’idea stessa di democrazia e la espone al rischio di pulsioni autoritarie. Ma questo non è un esito scontato: come scriveva Machiavelli, il conflitto tra pochi e molti può essere anche un lievito di libertà, se il nuovo ordine che ne può risultare riequilibra il potere nella società.
La nostra democrazia sta subendo un processo di mutazione molecolare di cui non riusciamo ancora a ogliere la direzione. Nel suo aspetto più visibile la mutazione è politica ed economica. Riguarda la composizione sociale della cittadinanza, il rapporto tra le classi e il governo dell'economia pubblica e si manifesta come una mutazione in senso antiegualitario. Nel suo aspetto meno visibile la mutazione è culturale e ideale e si presenta come appropriazione identitaria della libertà e dell'eguaglianza dei diritti civili. Se volgiamo poi lo sguardo alla sfera della vita privata, ai cambiamenti intellettuali, sociali e politici, scopriamo che esiste una maggiore distanza tra le persone in relazione alle opportunità che hanno di acquisire beni effettivi e simbolici. Siamo forse alla vigilia di un cambiamento paradigmi sociali e politici?
La relazione tra libertà ed eguaglianza è il nodo tematico cruciale per intendere il significato dell'individualismo nella democrazia moderna e non confondere il senso di indipendenza personale con l'egoismo e l'indifferenza verso le sorti della società.
La modernità come cultura dell'individualità (e perciò dei diritti) e la modernità come individualismo economico e tecnica del potere: questa dicotomia ha fatto da cornice alla nascita della democrazia a partire dal Sei-Settecento. Ha anche reso complessa la critica all'individualismo, il cui opposto non è solamente una società cetuale e antimoderna.
L'individualismo democratico è l'alternativa piú coerente all'ideologia individualista perché è una cultura politica e morale di rispetto della persona, dei suoi diritti e della sua fondamentale eguaglianza. Il suo opposto non è soltanto un mondo strutturato per gerarchie, ma anche un modo di concepire la società moderna come dominio del privato. L'individualismo non denota la fine della politica, ma invece un modo di concepire la sfera pubblica come la sede dove si creano diritti, regole e istituzioni per riuscire a condividere i beni comuni e apprendere a rispettarsi quando interessi e idee divergono, senza cercare né la fuga dalla politica né la sua subordinazione ai voleri e alle passioni del privato.
Nel pensiero politico di John Stuart Mill, uno dei maggiori teorici del liberalismo moderno e della democrazia rappresentativa, si incontrano i temi cardine dell'ethos democratico: la sovranità del giudizio individuale; la scelta del sistema elettorale che meglio si concili con il principio dell'eguaglianza politica fondamentale e della più larga rappresentanza delle idee; la tensione tra politica e burocrazia, potere legislativo ed esecutivo, partecipazione e rappresentanza; i modi del processo di formazione del consenso e il ruolo del conflitto; i rischi mai domati di dispotismo, tanto nelle relazioni private ed economiche quanto attraverso l'invisibile influenza delle opinioni della maggioranza.