Le epidemie da sempre suscitano nell'immaginario collettivo la paura della catastrofe imminente. Soprattutto quelle di origine virale. I virus, infatti, sono più imprevedibili e pericolosi di batteri e microbi, e per giunta non disponiamo per combatterli di un'arma come gli antibiotici, efficaci contro i batteri. Non restano che i vaccini, benché la loro preparazione non sia facile né la loro somministrazione immediata. E infatti le diverse agenzie sanitarie nazionali e internazionali lanciano continue campagne di invito alla vaccinazione e avvertenze sui comportamenti di prevenzione e profilassi, appoggiate e rilanciate dalla cassa di risonanza dei mezzi di comunicazione. Le cose però sono più complicate di quanto appaiano, e questo libro mette in luce proprio i punti caldi del problema. Dati recentissimi alla mano, prendendo in esame i casi dell'Aids e di Ebola, ma anche dell'influenza suina, della Sars e dell'aviaria, svela con grande lucidità i 'pasticci' creati dagli allarmismi drammatizzanti della comunicazione pubblica, quando non dagli interessi economici che muovono la produzione farmaceutica. E sfata molti luoghi comuni, primo fra tutti quello secondo il quale la globalizzazione ci ha ancor più indeboliti nei confronti delle epidemie rendendo più estesa la possibilità di contagio. Al contrario, la globalizzazione può essere una formidabile arma a nostra disposizione...
Capita non di rado di sentire affermare dalle fonti più disparate, e anche qualificate, che quello del declino demografico dell'Occidente sarebbe un problema inventato. Ma, se così fosse, per quale motivo i più avanzati Paesi europei si impegnerebbero per attuare le politiche più efficaci per contrastarlo? Sbagliano analisi? Non sanno più leggere e interpretare i dati della loro stessa demografia? Forse è più realistico pensare che il problema non solo esista, ma sia a tal punto grave che misure di stampo dichiaratamente natalista, tese in primis, se non in modo esclusivo, a incrementare le nascite, non riescono che ad attenuarlo senza venirne a capo. Questo saggio, peraltro, non sposa affatto il punto di vista dei pragmatici, secondo i quali, se si fanno pochi figli e sempre più coppie non ne fanno nessuno, ciò accadrebbe per ragioni materiali e contingenti: il lavoro che scarseggia, i redditi non abbastanza alti e sicuri, i servizi carenti e via di questo passo. Costoro non colgono l'anima del problema, che sta proprio nella riproduzione sessuale in Occidente, nel sesso degli occidentali, che è cambiato, in corrispondenza con i cambiamenti nelle coppie e nelle famiglie, nel matrimonio e nei modi e nei tempi del mettersi e dello stare insieme tra uomini e donne, non sempre, anzi quasi mai, in meglio. È con quest'anima assai problematica e riottosa che bisogna fare i conti, ammesso e non concesso che ci stiano ancora a cuore le sorti della nostra civiltà.