«L'acuta analisi di Zagrebelsky non ha timore di confrontarsi con dilemmi e incertezze legate alla difficile arte del maestro» (Enzo Bianchi). «Mai più maestri!» si leggeva nel '68 sui muri di Parigi; un motto antiautoritario ed egualitario che riassumeva il sogno di una società più libera. E oggi, esistono ancora i maestri? Nella nostra democrazia, che appiattisce l'alto sul basso, sembra esserci posto solo per influencer, comunicatori e tutor che rassicurano e consolano, e non per guide dello spirito capaci di risvegliare le coscienze. Ma senza maestri si è condannati al pensiero unico e all'omologazione. Senza di loro chi susciterà l'inquietudine del dubbio, chi ci indicherà «l'altrimenti», chi smuoverà energie vitali e liberatorie verso il nuovo? Figure anacronistiche allora, ma necessarie ovunque rinascano una domanda di senso e una esigenza di ethos.
Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione tra idee progettuali, ossessioni unanimistiche, allergia per il pensiero non allineato. Ciò che ci ostiniamo a chiamare governo è il mero esecutore e garante della forza normativa del fatto. Nel tempo esecutivo solo lo status quo è legittimo. Il resto è solo velleità, agitazione sterile e senza prospettive. Che è quanto dire che la frustrazione della democrazia è stata interiorizzata, è entrata nel midollo della società.
Gustavo Zagrebelsky e Francesco Pallante argomentano per il rinnovamento di una democrazia partecipata contro le modifiche della Costituzione di cui si vorrebbero cambiare ben 47 articoli (oltre un terzo del totale) - e contro la legge elettorale. Oltre alle critiche di merito (contraddizioni, errori concettuali, complicazione del sistema), vengono messe in evidenza le forzature procedurali che hanno connotato il percorso di approvazione delle due leggi. Ne emerge un quadro tutt'altro che rassicurante: le nuove regole del gioco politico risultano essere, a giudizio degli autori, sempre più un'imposizione unilaterale basata su rapporti di forza incostituzionali leggi approvate in tutta fretta e al costo di qualunque forzatura. Il libro si chiude offrendo al lettore il confronto, articolo per articolo, del testo della Costituzione vigente con quello che scaturirebbe dalla riforma. Ciò allo scopo di offrire al t cittadino una chiara visione d'insieme del nuovo dettato costituzionale.
Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione tra idee progettuali, ossessioni unanimistiche, allergia per il pensiero non allineato. Ciò che ci ostiniamo a chiamare governo è il mero esecutore e garante della forza normativa del fatto. Nel tempo esecutivo solo lo status quo è legittimo. Il resto è solo velleità, agitazione sterile e senza prospettive. Che è quanto dire che la frustrazione della democrazia è stata interiorizzata, è entrata nel midollo della società.
L'oligarchia è il governo dei pochi, è un sistema che concentra il potere a danno dei molti, in contrasto con l'idea democratica del potere diffuso tra tutti. Oggi viviamo in un tempo in cui la democrazia, come principio, come idea, come forza legittimante, è fuori discussione. Nei nostri regimi democratici perciò, quando l'oligarchia si instaura, lo fa mascherandosi, senza mai presentarsi apertamente, come un'entità usurpatrice. Non si manifesta ma esiste, e si fonda sul denaro, sul potere e sul loro collegamento reciproco: nel sistema finanziario globale il danaro alimenta il potere e il potere alimenta il danaro. Quella finanziaria è una forma oligarchica diversa da quella tradizionale. Sa trasformarsi in pressione politica svuotando di senso la democrazia. La domanda che oggi si pone drammaticamente è perché il sistema debba ruotare intorno al benessere di un potere essenzialmente fondato sulla speculazione e la contemplazione della ricchezza e come fare per tornare a essere, da sudditi, cittadini.
Il nostro è il tempo grigio del nichilismo, non quello colorato della politica. Paralisi della rappresentanza, congelamento della competizione politica, perdita di significanza delle promesse e dei programmi elettorali, condivisione e larghi incontri, predominio del governo nella sua versione tecnica ed esecutiva di volontà altrui e sovrastanti: tutto ciò è quanto può riassumersi nell'espressione, ormai d'uso corrente, di 'post-democrazia', parola che può assumersi nel significato di 'divieto di discorso sui fini'.
Il costituzionalismo ottocentesco, come dottrina politica nasce con un marchio classista che l'oppone alla democrazia. Ma basta aprire la nostra Costituzione all'articolo 1 per vedere quanto lungo sia stato il cammino che da allora è stato compiuto: "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro". A questo ha condotto l'ascesa delle masse popolari, cioè del mondo del lavoro, alla vita politica e l'accesso alle istituzioni. In una parola, c'è stata la diffusione della democrazia, sia nella sua dimensione politica che in quella sociale. Il riconoscimento del lavoro come fondamento della res publica, cioè della cosa o della casa comune, significa compimento di un processo storico d'inclusione nella piena cittadinanza. L'articolo 3 della Costituzione è uno svolgimento dell'articolo 1: "È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono [...] la effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". È bene tenerlo a mente, nel momento in cui azioni diverse compromettono il significato costituzionale del lavoro, e al tempo stesso, la dignità del lavoratore.
C'è un tema negletto gonfiato dalla retorica e sottovalutato nella pratica: i simboli politici. Se tutta la realtà fosse scoperta davanti ai nostri occhi, non avremmo bisogno di loro. I simboli, quelli della politica in particolare, servono invece per accedere al mondo, reale ma astratto, dei rapporti tra noi anche in assenza di contatti concreti e perfino in assenza di una conoscenza diretta. Proprio perché la vita collettiva è fatta in larga parte di relazioni impersonali inadatte ad essere descritte come se fossero tangibili, abbiamo bisogno della simbolica politica. Per interpretare, specie nella grande trasformazione in corso, bisogni e aspirazioni, attrarre forze, produrre concretamente fiducia in vista di un futuro che non sia semplice ripetizione del presente.
Pensi davvero che ci sia da temere per la democrazia, anche solo come forma politica? Non ti pare che ormai, nel mondo occidentale, nessuno oserebbe proclamarsi antidemocratico? Perfino i dittatori, quando prendono il potere, sciolgono il Parlamento e sospendono i diritti, dicono di farlo per restaurare la 'Vera democrazia'. La democrazia è l'ideale del nostro tempo. Ma la democrazia è un sistema di governo molto compiacente. Può ospitare tante cose, senza abbandonare il suo nome. C'è da preoccuparsi perciò della sua salute, cioè della sua efficacia, che è poi la sua capacità di mantenere le promesse. Non è strano infatti che alla massima estensione spaziale della democrazia corrisponda un'insicurezza, anzi uno scetticismo crescente, diffuso e diffusivo nei suoi confronti? Il disincanto democratico, si sta diffondendo sempre di più, non tra chi appartiene ai giri del potere, ma tra chi ne è escluso. È il segno che la democrazia, come ideale politico si sta appannando, anzi, sta facendo una semi-rotazione: dal basso all'alto. Ma se chi ne ha più bisogno rinuncia alla democrazia come ambito di libertà nel quale è possibile l'emancipazione, il cambiamento, la semplice affermazione di diritti, allora la democrazia è mutilata, perché parziale. E dove va chi è deluso dalla democrazia? Non va da nessuna parte, perché non ci si può astenere dalla democrazia come se fosse un'opzione politica. Il fatto è che la democrazia è fragile, è delicata, è manipolabile...
Questo volume inaugura una collaborazione tra Codice edizioni e Biennale Democrazia, progetto civile e culturale che sta compiendo un profondo lavoro di indagine sul senso e il valore del concetto di democrazia nella società contemporanea, e la cui prima edizione si è svolta a Torino nel 2009. L’esercizio della democrazia raccoglie l’intervento introduttivo alla manifestazione del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, unitamente alla lectio magistralis del professor Gustavo Zagrebelsky, Presidente della Biennale. Dalle loro parole emerge una lezione fondamentale, quanto mai necessaria oggi: la democrazia è un insieme di diritti e di doveri che appartengono al cittadino, e che spetta al cittadino esercitare. È prima di tutto un modo di rapportarsi con gli altri: nasce dal basso, dalla vita quotidiana, e arriva a permeare la costruzione di una società. Per questo è così importante parlare di esercizio: la democrazia non viene stabilita e progettata una volta per tutte; è una realtà viva, in continua trasformazione, che si nutre dei valori che le persone sanno trasmettere.
In breve
«Contro l’etica della verità significa a favore di un’etica del dubbio. Al di là delle apparenze, il dubbio non è affatto il contrario della verità. Ne è la riaffermazione, è un omaggio alla verità, ma una verità che ha sempre e di nuovo da essere esaminata e ri-scoperta.» Quando i detentori di una presunta verità assoluta riusciranno a convincersi che la politica e l’etica civile non sono la semplice applicazione delle proprie radicate fedi o convinzioni, ma mediazione tra fedi, convinzioni, opinioni, norme e concrete situazioni? Per accedere a questa, che è poi la condizione della vita democratica, non c’è altra via se non quella che Zagrebelsky chiama ‘etica del dubbio’, l’unica che fa onore alla verità che nessuno possiede, perché, di epoca in epoca, la verità si trova sempre per via. Umberto Galimberti
Indice
Premessa - 1. I paladini dell’identità e la tolleranza dell’Occidente - 2. Stato e Chiesa. Cittadini e cattolici - 3. Tre formule dell’ambiguità - 4. Gli atei clericali e la fonte del potere - 5. Stato, Chiesa e lo spirito perduto del Concordato - 6. Il «non possumus» dei laici - 7. Referendum: Chiesa machiavellica ed etica politica dubbia - 8. L’identità cristiana e il fantasma dell’assedio - 9. Cosa pensa la Chiesa quando parla di dialogo? - 10. Cattolicesimo e democrazia - 11. Disagio democratico - 12. La Chiesa, la carità e la verità - 13. Ritorno al diritto naturale? - 14. Né da Dio né dal popolo: dove nasce la giustizia - 15. Decalogo contro l’apatia politica - 16. Democrazia. Non promette nulla a nessuno, ma richiede molto da tutti - 17. Le correzioni di Tocqueville ai difetti della democrazia - 18. Uomini, anche se Dio non esiste - 19. Norberto Bobbio e l’etica del labirinto - Epilogo. Democrazia, opinioni e verità - Note - Fonti
La tesi di Zagrebelsky è che la Verità (con la V maiuscola) e la Giustizia (sempre con la G maiuscola) non esistono o, se anche esistessero, sarebbero inconoscibili. Ma non è affatto insensato, anzi è conforme alla natura umana, agire con prove e controprove per avvicinarsi a qualcosa come la verità e la giustizia (con le iniziali minuscole). È pertanto necessario darsi principi e valori d'azione e combattere il nichilismo, a vantaggio del dialogo costruttivo tra tutti i portatori delle diverse visioni della verità e della giustizia. Poiché oggi l'unica e la più potente "agenzia" della Verità è la Chiesa cattolica, gran parte del libro ne considera e ne analizza le posizioni sui principali temi della vita collettiva, in particolare in materia di diritti civili: famiglia, rapporti tra i sessi, ricerca in campo bio-medico, testamento biologico, eutanasia. L'atteggiamento della Chiesa su questi temi, coinvolgendo i credenti in un obbligo di coscienza rigido che lede la loro autonomia e la loro responsabilità nel campo delle scelte pratiche, impedisce il dialogo onesto, cioè improntato alla reciproca disponibilità ad apprendere, e pone problemi di compatibilità con la democrazia stessa, che presuppone la comune libertà.