Perón, Castro, Chávez, i grandi leader populisti dell'America Latina sono uniti da un filo rosso che attraversa la storia del continente: l'utopia cristiana del Regno di Dio sulla terra. Una teologia politica che ora, con papa Francesco, è arrivata fino al soglio di Pietro. Un filo rosso attraversa la storia latinoamericana. Risale alla Conquista, passa per le missioni del Paraguay, subisce l'espulsione borbonica, incrocia le spade col liberalismo, risorge coi populismi fino ad approdare a Roma, al soglio pontificio. È il filo gesuita, custode di una poderosa visione del mondo che impregna l'universo morale e materiale dell'America Latina. Suo cardine è l'utopia cristiana, il sogno del Regno di Dio in terra, impermeabile alla corruzione del mondo e della storia; suo modello la cristianità coloniale, Stato cristiano dove si fondevano unità politica e unità spirituale, suddito e fedele. L'ordine sociale? Un organismo naturale conforme alla volontà di Dio. Gerarchia, unanimità, corporativismo erano i pilastri; la fede il collante; lo Stato etico il guardiano. Peronismo, castrismo, chavismo: i più potenti populismi latini sono uniti da quel filo. Da esso emana la teologia del popolo che ispira papa Francesco. C'era una volta, predicano, un popolo puro che viveva in armonia e condivideva una cultura formata dalla sua fede. Ma ecco le idee 'straniere', il liberalismo senza patria, i protestanti individualisti, il capitalismo egoista, il secolarismo indifferente a Dio corromperne l'anima, disgregarne l'unità, minacciarne l'identità. Contro tali eterni nemici dei popoli d'America s'erge il leader populista, redentore che brandendo la croce della fede e la spada della giustizia sottrae il popolo eletto alla schiavitù e lo conduce alla terra promessa. Non tutti i populismi latini sono gesuiti, né tutti i gesuiti sono populisti. In tutti i 'populismi gesuiti' è però evidente l'impronta gesuita. Per tutti combattere la ricchezza, fonte di corruzione, è più importante che estirpare la 'santa povertà', garanzia di moralità. Studiandoli, questo libro indaga le radici culturali delle grandi piaghe storiche dell'America Latina: autoritarismo, povertà, disuguaglianza.
Dio vuole la patria unita e in ordine, dicevano i militari. Dio è dove c'è giustizia sociale, ribattevano gli studenti. Una patria cattolica non può licenziare i lavoratori, gridavano gli operai in sciopero. Pur di ottenere la civiltà dell'amore cara a Dio, rincaravano i gruppi armati, è lecito sacrificare vite nella rivoluzione. Il peronismo è un movimento umanista e cristiano; no, il peronismo è la via attraverso cui il popolo edifica il socialismo. Tutti in nome di Dio, tutti in nome del popolo. Questo libro indaga l'intreccio di storia politica e religiosa in Argentina, dagli anni Sessanta fino all'ultima dittatura militare, e scopre che all'origine della sua storia è il mito di una nazione cattolica. Un mito divenuto presto una camicia di forza; un mito che, nato per unire, ha diviso fino all'odio fratricida: cattolica si proclamava la dittatura del 1966, cattolica e cresciuta nelle parrocchie era la guerriglia, cattolico il peronismo tornato al potere nel 1973, cattoliche le sue fazioni in guerra tra loro, fino al regime cattolico che pretesero di incarnare i militari giunti al potere nel 1976. Solo allora, dinanzi alla tragedia, una parte crescente della Chiesa e degli argentini iniziò a scoprire le virtù della laicità, della democrazia politica e dello Stato di diritto.