A che cosa somiglia il sogno? Fin dall'antica domanda di Aristotele, possiamo inquadrare il paesaggio onirico solo per analogie, paragoni, metafore. Oppure, come ci suggerisce James Hillman in questo percorso sconcertante e provocatorio, possiamo accedervi lasciandoci alle spalle ogni tentativo di razionalizzarlo e di tradurlo nel linguaggio diurno, come era avvenuto, seppure con metodi opposti, nel caso di Freud e di Jung. La soluzione, per Hillman, consiste invece nel tornare alla mitologia come a una vera e propria "psicologia dell'antichità" e a una lettura del sogno come dimensione del "mondo infero", in quanto invisibilmente intrecciato a quello superno.
Come i suoi lettori ben sanno, il tratto che accomunava le varie facce di quella personalità unica che è stato Oliver Sacks era la passione. Una passione destinata ancora una volta a contagiarci, giacché in questo libro ritroveremo tutta la vitalità dell’uomo curioso, l’acutezza dello scienziato, l’empatia del medico, la brillantezza dello scrittore. Risaliremo, sul filo dei ricordi, alla genesi di tante sue inclinazioni: quella per il nuoto, trasmessa dal padre; quella per la storia naturale, maturata nel corso delle visite al Museo di Storia naturale a South Kensington; quella per le biblioteche, innescata dagli scaffali del salotto di casa. Ammireremo la sua non comune capacità di auscultare le neuropatologie e le psicopatologie come fossero irruzioni di antropologie aliene, dalla « figura di cera » congelata nell’immobilità per un « coma ipotiroideo » ad alterazioni percettive quali gli « arti fantasma », dai sintomi terribili dell’encefalite letargica ai più eccentrici disturbi della cognizione o dell’umore. Rimarremo colpiti dalla molteplicità di temi e interessi coltivati in un’esistenza fatta di molte esistenze sovrapposte, dalla vita extraterrestre alle varietà zoologiche – elefanti, oranghi, pesci – ai giardini e agli orti botanici. E ancora una volta ci faremo trascinare da quella voce perturbante e partecipe, ironica e intensa che connotava – « non importa se nella contemplazione di un’opera d’arte, di una teoria scientifica, d’un tramonto o del volto di una persona amata » – la sua inesauribile voracità conoscitiva.
«Secondo Hillman, la realtà fondamentale è formata dalle immaginazioni dell'"anima" (fantasie, sogni, deliri, sentimenti, regni della notte e del profondo), le onnipotenti forze psichiche che evocano e disperdono i mondi. Esse sono gli "Dei". Avanzando sulla strada imboccata da Jung, Hillman ripropone in questo libro una "psicologia non-agnostica" che, per la pluralità delle immaginazioni dell'anima, si confi gura come un vero e proprio "politeismo" ... "Re- visione della psicologia" significa allora riconoscere che religione e psicologia crescono sullo stesso terreno (non può esserci psicologia senza religione) e che la psicologia occidentale - il cui carattere nordico-protestante-monoteistico minaccia la "sopravvivenza dell'anima" e conduce lontano dal politeismo greco-rinascimentale - dev'essere abbandonata movendo "verso sud". La terapia non è un operare scientifico-razionale, ma "un lavoro che invoca gli Dei"» (Emanuele Severino)
«Qualsiasi profano interessato in qualche modo alla relazione fra corpo e mente, anche se non lo capirà in ogni dettaglio, troverà questo libro affascinante come lo ho trovato io ... In tutti i casi di disturbi funzionali, è di primaria importanza il rapporto personale fra medico e paziente. "Ogni malattia è un problema musicale," diceva Novalis "e ogni guarigione è una soluzione musicale". Ciò significa, come scrive il dottor Sacks, che a prescindere dal metodo che il medico sceglie, o è costretto a scegliere, vige soltanto una regola fondamentale: "... bisogna sempre ascoltare il paziente. Perché se qualcosa affligge i pazienti emicranici, oltre all'emicrania, è il fatto di non essere ascoltati dai medici: osservati, analizzati, imbottiti di farmaci, spremuti, ma non ascoltati".» (W.H. Auden)
Rimasta sulla scrivania di Oliver Sacks fino a due settimane prima della morte, questa raccolta di scritti ci offre la sintesi di tutte le sue tensioni conoscitive nell'ampio ventaglio di discipline che si intersecano con la neurologia: botanica e anatomia animale, chimica e storia della scienza, filosofia e psicologia - senza dimenticare la passione letteraria. Ed è proprio questo ventaglio a permettere a Sacks di scomporre il fiume della coscienza umana, e di farne emergere i caratteri più sconcertanti e controintuitivi. Esplorando le forme di vita «senziente» lungo l'intera scala degli «esseri organizzati» - a partire da piante come la Mimosa pudica, le cui foglie si contraggono alla minima sollecitazione tattile, e da certi vermi capaci di auscultare le vibrazioni del terreno e di sfuggire così agli uccelli predatori -, Sacks ci mostra come molte «menti» elementari condividano con noi proprietà fondamentali. E ci rivela anche come la fluidità e continuità di quel «fiume» sia in realtà composta da una successione di microsequenze discrete e possa essere minata da «bachi» sensoriali quali gli scotomi o l'ampia gamma di amnesie e inganni della memoria che va dai traumi sessuali immaginari a vere e proprie affabulazioni (come quella di Binjamin Wilkomirski, che descrive una sconvolgente esperienza concentrazionaria senza averla mai vissuta). La somma di queste indagini finisce così per assumere un valore testamentario, facendo confluire le scoperte e gli interrogativi di un grande esploratore della mente e della natura.
I quattro scritti qui raccolti sono la lettera di congedo che Oliver Sacks ha voluto indirizzare ai suoi lettori, dapprima rendendoli partecipi delle proprie sensazioni di fronte alla soglia degli ottant'anni, e più tardi informandoli, con perfetta sobrietà, di essere affetto da un male incurabile. Ma non ci si inganni: sono pagine vibranti di contagiosa vitalità quelle che Sacks ci regala, dove più che mai si respirano freschezza, passione, urgenza espressiva. Come quando, riflettendo sulla vecchiaia, rivela di percepire "non una riduzione ma un ampliamento della vita mentale e della prospettiva"; o quando si ripromette, nel breve tempo che gli resta, di "vivere nel modo più ricco, più intenso e più produttivo possibile"; o quando racconta di aver visitato, fra una terapia e l'altra, il centro di ricerca sui lemuri della Duke University: "... mi piace pensare che, cinquanta milioni di anni fa, uno dei miei antenati fosse una piccola creatura arboricola non troppo dissimile dai lemuri odierni"; o quando, pochi giorni prima della morte, contemplando la sua vita dall'alto "quasi che fosse una sorta di paesaggio", ne rievoca i momenti essenziali: del tutto simile, in questo, a un filosofo da lui molto amato, David Hume, il quale, appreso di avere una malattia mortale, scriveva nella sua breve autobiografia: "È difficile essere più distaccati dalla vita di quanto lo sia io adesso".
Chi nasce oggi in una grande città - o anche in campagna - non ha molte occasioni per vedere animali, se non gli antichi testimoni della vita domestica: cani e gatti. Ma gli animali continuano a visitarci, per lo meno nei sogni. E ci ricordano un'altra vita - ormai remota e lunghissima - in cui gli uomini erano stati una specie mescolata a molte altre. Anche in cielo, le costellazioni dello Zodiaco - il cui nome stesso significa luogo degli animali - disegnano la mappa di una zoologia che non cessa di manifestarsi. Più di ogni altro fra coloro che hanno preso le mosse da Jung, James Hillman ha saputo interrogarsi su queste "presenze" e inchinarsi davanti al loro potere, come mostra questo libro, che è una guida per chi voglia riconoscere che cosa sono gli animali in noi.
Lilian Kallir è una brillante pianista che predilige Mozart: una sera, allorché deve affrontare il Concerto n. 21 (quello col famoso Andante), la partitura diventa di colpo un intrico di segni incomprensibili; è l'esordio di una neuropatologia che le impedirà, se non di scrivere, di leggere alcunché e altererà la sua percezione sino a farle confondere un violino con un banjo o un rasoio con una penna. Sue Barry è riuscita a diventare neurobiologa nonostante una menomazione invalidante: una forma di "strabismo" che inibisce la visione "stereoscopica", sicché gli occhi sono attivi uno per volta, in alternanza, senza mai potersi coordinare; per lei, la profondità e la terza dimensione sono categorie puramente immaginarie. Sono solo due dei casi raccontati e analizzati nel nuovo libro di Oliver Sacks: storie di amputazioni e deformazioni affettivo-cognitive che sembrano sfociare in drammi senza ritorno. Eppure Sacks mostra ancora una volta come ogni ferita attivi inaspettate strategie adattative, una capacità impensabile di conservare o ridisegnare l'Io e il Sé. Ma per il lettore la vera sorpresa consisterà nel vedere tali dinamiche confermate dall'esperienza personale dello stesso Sacks. Scrutandosi con freddezza clinica, ma senza il timore di rivelare le oscillazioni dei suoi stati d'animo, il neurologo-scienziato parla infatti sia della sua prosopagnosia (l'incapacità di riconoscere i volti), sia dell'odissea legata a un melanoma maligno nella regione dell'occhio sinistro.
"Sono un uomo dal carattere veemente, con violenti entusiasmi ed estrema smoderatezza in tutte le mie passioni" scriveva Oliver Sacks in un articolo apparso il 19 febbraio 2015 sul "New York Times", nel quale annunciava, con brutale sobrietà, di soffrire di un male incurabile. È quindi inevitabile che "In movimento", la sua autobiografia, sia innanzitutto una rassegna di passioni, descritte con la lucidità dello scienziato e l'audacia dello psiconauta, con la schiettezza del diagnosta e il gusto per la digressione di un dotto seicentesco. E sarà un piacere, per i lettori di Sacks, sentirlo parlare di sé: dell'ossessione per le moto e il sollevamento pesi, della dipendenza dalle amfetamine, del lacerante rapporto con il fratello schizofrenico e con la madre (il "più profondo e forse, in un certo senso, più vero della mia vita"), di quando disintegrò per l'ammirazione unita alla frustrazione un libro di Aleksandr Lurija, il fondatore della neuropsicologia e di quella "scienza romantica" a cui sarebbe sempre rimasto fedele. Alla fine, non si potrà evitare di riconoscere che Oliver Sacks è stato il più romanzesco di tutti i personaggi romanzeschi di cui ha scritto. Soprattutto, questo resoconto di studi e amicizie, legami sentimentali e debiti intellettuali, abitudini e fissazioni è un'ulteriore riprova che per Sacks il "delicato empirismo" di Goethe non era un semplice metodo di ricerca, ma uno stile di vita.
1943. Fronte russo occidentale, regione di Smolensk: Lev A. Zaseckij, giovane tenente dell'Armata Rossa, viene ferito da un proiettile tedesco che gli penetra in profondità nel cervello cancellando la percezione di una parte del corpo e pregiudicando sia la comprensione del linguaggio che la memoria. Sottoposto a un intenso processo di riabilitazione, Zaseckij recupera frammenti delle funzioni cerebrali perdute e torna, dolorosamente, a vivere: riaffiorano nomi di persone e oggetti, impara di nuovo a contare, riconosce la via di casa... Giorno dopo giorno, dapprima con fatica poi con crescente sicurezza, annota i progressi in un diario a partire dal quale il grande neuropsicologo russo Aleksandr Lurija, che lo ebbe in cura per molti anni e con lui stabilì una relazione strettissima e partecipe, ricostruisce il profilo clinico e la personalità di un uomo sensibile e indomabile, realizzando, come ha scritto Oliver Sacks, "quella fusione di pittura e anatomia sognata da Hume". Libro "romantico" - cioè incarnazione di una scienza nemica di ogni riduzione della realtà a schemi astratti -, "Un mondo perduto e ritrovato" è anche un libro unico, frutto della felice combinazione (sono ancora parole di Sacks) di "una descrizione rigorosa, analitica" e di "una comprensione e immedesimazione profondamente personale con gli oggetti", di lucidità scientifica e tensione drammatica. Postfazione di Luciano Mecacci.
"Il mio tentativo è quello di mostrare come l'antichità possa essere rilevante per la vita della psiche e come la vita psichica possa rivitalizzare l'antichità" afferma Hillman in uno dei saggi raccolti in questo denso volume, in cui alcune figure del mito greco sono riconnesse alla storia e alla vita quotidiana: da Dioniso - prendendo le mosse dalle intuizioni di Nietzsche e di Jung - ad Atena, che troviamo "al cuore del mito del progresso della civiltà occidentale"; dal motivo mitologico dell'abbandono del bambino, "realtà psicologica permanente", a Marte, ispiratore di quell'"amore nella guerra e per la guerra che è più forte della vita"; dal titanismo dell'epoca presente, responsabile dell'"anestesia psichica" che è il contrassegno della nostra civiltà, a un Edipo reinterpretato nel quadro di "una revisione archetipica della psicologia del profondo". E poi Afrodite, Estia, Era, Ermes, Oceano, Orfeo, Apollo, in un percorso affascinante attraverso le fibre più intime della nostra civiltà e della nostra psiche. Con le parole dello stesso Hillman, ancora: "La 'Wirksamkeit' del mito, la sua realtà consistono precisamente nel potere che gli è proprio di conquistare e influenzare la nostra vita psichica. I Greci lo sapevano molto bene, per questo non conobbero una psicologia del profondo e una psicopatologia, contrariamente a noi. Loro avevano i miti. Mentre noi non abbiamo miti veri e propri - solo una psicologia del profondo e una psicopatologia.
Nel 1947, quando è nata Temple Grandin, l'autismo era stato appena battezzato e descritto da due psichiatri, che lo leggevano da prospettive pressoché opposte: Leo Kanner sembrava considerarlo un'irreparabile tragedia, mentre Hans Asperger era convinto che potesse essere compensato da qualche aspetto positivo, ad esempio una particolare originalità del pensiero e dell'esperienza, che con il tempo avrebbe magari condotto a conquiste eccezionali. Oggi, a distanza di settant'anni, il disturbo dello spettro autistico è più diffuso che mai, e viene diagnosticato a un bambino su ottantotto. Nel frattempo, tuttavia, gli studi si sono spostati dalla mente autistica al cervello autistico, dai reami della psicologia - che in passato colpevolizzava le "madri frigorifero" per carenza d'affettività - a quelli della neurologia e della genetica. Intessendo la sua esperienza personale con l'illustrazione delle ultime ricerche sulle cause e i trattamenti del disturbo, Temple Grandin, coadiuvata da Richard Panek, ci introduce agli avanzamenti del neuroimaging a risonanza magnetica e agli effetti trasformativi indotti dal nuovo approccio terapeutico mirato ai singoli sintomi che sta sostituendo le diagnosi "a taglia unica" di un tempo. Ma soprattutto ci aiuta a percepire l'autismo come modalità esistenziale alternativa...