Nel 1947, quando è nata Temple Grandin, l'autismo era stato appena battezzato e descritto da due psichiatri, che lo leggevano da prospettive pressoché opposte: Leo Kanner sembrava considerarlo un'irreparabile tragedia, mentre Hans Asperger era convinto che potesse essere compensato da qualche aspetto positivo, ad esempio una particolare originalità del pensiero e dell'esperienza, che con il tempo avrebbe magari condotto a conquiste eccezionali. Oggi, a distanza di settant'anni, il disturbo dello spettro autistico è più diffuso che mai, e viene diagnosticato a un bambino su ottantotto. Nel frattempo, tuttavia, gli studi si sono spostati dalla mente autistica al cervello autistico, dai reami della psicologia - che in passato colpevolizzava le "madri frigorifero" per carenza d'affettività - a quelli della neurologia e della genetica. Intessendo la sua esperienza personale con l'illustrazione delle ultime ricerche sulle cause e i trattamenti del disturbo, Temple Grandin, coadiuvata da Richard Panek, ci introduce agli avanzamenti del neuroimaging a risonanza magnetica e agli effetti trasformativi indotti dal nuovo approccio terapeutico mirato ai singoli sintomi che sta sostituendo le diagnosi "a taglia unica" di un tempo. Ma soprattutto ci aiuta a percepire l'autismo come modalità esistenziale alternativa...
A diciotto anni Temple Grandin si costruì una macchina per gli abbracci. Aveva visto che le mucche diventavano mansuete dentro la gabbia di contenimento usata dal veterinario per visitarle, e aveva intuito che uno strumento simile avrebbe potuto calmare anche lei. Così, con due assi di compensato che si stringevano dolcemente ai lati di una panca, realizzò lo strano congegno. Che funzionò a meraviglia. E Temple, giovane autistica con molti problemi di relazione, capì di avere una speciale affinità con gli animali. E capì che per essere felice avrebbe dovuto studiarli e stare con loro il più possibile. Quel che non sapeva è che varie altre - e non meno spiazzanti - scoperte avrebbero fatto di lei uno dei più famosi esperti del comportamento animale, e che quelle scoperte avrebbero anche modificato il modo di trattare gli animali stessi.
Di cosa hanno bisogno i nostri amici animali per essere felici? Conosciamo tutto delle loro necessità fisiche, ma quasi nulla delle esigenze emotive. Eppure, esattamente come per noi, il benessere interiore è fondamentale per una vita vera e appagante, che si tratti di cuccioli da compagnia, mucche tenute in una stalla, predatori nella gabbia di uno zoo, persino bestie selvatiche. Temple Grandin, studiosa affetta da autismo, ha sviluppato un'abilità senza uguali nell'addentrarsi nel loro mondo. Così fin da piccola ha messo a frutto la sua particolare condizione per interpretare e comprendere i meccanismi profondi della mente animale, di cui è ora una delle massime esperte mondiali. In questo appassionante libro ci invita a cambiare l'atteggiamento nei confronti degli animali, rivoluzionando le nostre concezioni su ciò che vogliono e ciò di cui hanno bisogno; insegnandoci a trattarli non secondo la nostra natura, ma in base alla loro. Il cagnolino che lasciamo da solo in casa per lunghe ore può essere veramente felice? È giusto addestrare un gatto? Come evitare ai nostri amici il panico da veterinario? Perché è importante migliorare la vita anche di un maiale da allevamento? Forte di quasi trentanni di ricerche e di vita vissuta letteralmente in mezzo agli animali, l'autrice risponde a queste e ad altre innumerevoli domande concentrandosi sui bisogni emotivi che tutte le bestie - piccole e grandi, domestiche o selvatiche - condividono.
Attraverso questo racconto-saggio "dall'interno" dell'autismo, l'autrice fornisce un documento umano nel quale apre una finestra sulla vita e sull'interiorità, cognitiva ed emotiva, delle persone autistiche. Senza tingere di rosa l'autismo, né minimizzare quanto esso l'abbia esclusa, dalla compagnia, dai piaceri, dalle gratificazioni e dalle possibilità che per molti di noi possono costituire buona parte di quella che chiamiamo "vita", l'autrice delinea un quadro ben diverso dalle immagini che la parola "autismo" comunemente evoca.