In quel tempo remoto gli dèi si erano stancati degli uomini, che facevano troppo chiasso, disturbando il loro sonno, e decisero di scatenare il Diluvio per eliminarli. Ma uno di loro, Ea, dio delle acque dolci sotterranee, non era d'accordo e consigliò a un suo protetto, Utnapishtim, di costruire un battello cubico dove ospitare uomini e animali. Così Utnapishtim salvò i viventi dal Diluvio. Il sovrano degli dèi, Enlil, invece di punire Utnapishtim per la sua disobbedienza, gli concesse una vita senza fine, nell'isola di Dilmun. Il nome Utnapishtim significa «Ha trovato la vita». Dopo qualche migliaio di anni approda a Dilmun un naufrago, Sindbad il Marinaio. Utnapishtim lo accoglie nella sua tenda e i due cominciano a parlare. Ciò che Utnapishtim racconta è la materia di questo libro.
Turisti, terroristi, secolaristi, hacker, fondamentalisti, transumanisti, algoritmici: sono tutte tribù che abitano e agitano "l'innominabile attuale". Mondo sfuggente come mai prima, che sembra ignorare il suo passato, ma subito si illumina appena si profilano altri anni, quel periodo fra il 1933 e il 1945 in cui il mondo stesso aveva compiuto un tentativo, parzialmente riuscito, di autoannientamento. Quel che venne dopo era informe, grezzo e strapotente. Nel nuovo millennio, è informe, grezzo e sempre più potente. Auden intitolò "L'età dell'ansia" un poemetto a più voci ambientato in un bar a New York verso la fine della guerra. Oggi quelle voci suonano remote, come se venissero da un'altra valle. L'ansia non manca, ma non prevale. Ciò che prevale è l'inconsistenza, una inconsistenza assassina. È l'età dell'inconsistenza.
Molti si accorgono dell'esistenza delle formiche solo quando ne trovano una nella zuccheriera e se ne ritraggono inorriditi, ma per Ho?lldobler e Wilson, che al loro studio hanno dedicato la vita intera, questi minuscoli insetti sono una continua fonte di meraviglia e di scoperte. In modo speciale le attine tagliafoglie, dalle stupefacenti caratteristiche: grazie al fatto che vivono in popolazioni di milioni di individui organizzati in un elaborato sistema di caste e che possiedono uno degli apparati di comunicazione più complessi fra quelli noti nel mondo animale, le tagliafoglie sono infatti una delle espressioni più compiute del superorganismo sulla Terra. Guidati dalla mano esperta e sicura dei due mirmecologi, scopriremo come le tagliafoglie abbiano inventato una forma di agricoltura 5060 milioni di anni prima dell'uomo, coltivando nei loro nidi un fungo con cui hanno instaurato uno dei più riusciti rapporti simbiotici in natura. Le osserveremo nei meandri delle loro metropoli sotterranee, vaste quanto un campo da calcio e con migliaia di camere collegate da un dedalo di cunicoli, o nelle spedizioni di foraggiamento, quando all'imbrunire interminabili colonie di operaie, seguendo tracce olfattive, corrono a ranghi serrati lungo piste tenute libere dalla vegetazione verso il bersaglio prescelto, spesso distante centinaia di metri. E ci sembrerà di percepire il sottofondo di stridulazioni prodotto da migliaia di mandibole che, affilate come rasoi e manovrate con precisione geometrica, ritagliano le foglie di un grande albero riuscendo in poche ore a ridurre a un nudo scheletro la sua chioma rigogliosa.
Nel leggere le testimonianze di questi contadini friulani, uomini e donne, vissuti tra '500 e '600, si è afferrati, come lo furono gli inquisitori, dallo stupore che si prova di fronte a qualcosa di assolutamente inaspettato. «Di notte, in casa mia, et poteva essere quattro hore di notte sul primo somno» racconta il benandante Paolo Gasparutto «mi apparse un angelo tutto tutto d'oro, come quelli delli altari, et mi chiamò, et lo spirito andò fuori ... Egli mi chiamò per nome dicendo: "Paulo, ti mandarò un benandante, et ti bisogna andare a combattere per le biade" ... Io gli resposi: "Io andarò et son obediente"». Spinti dal destino perché nati con la camicia - cioè involti nel cencio amniotico - i benandanti combattevano in spirito, tre o quattro volte all'anno, armati di mazze di finocchio, contro gli stregoni armati di canne di sorgo, per assicurare l'abbondanza dei raccolti. Gli inquisitori si convinsero che dietro questi racconti si nascondeva il sabba diabolico: i benandanti non erano nemici di streghe e stregoni, come affermavano, bensì streghe e stregoni essi stessi. Dalle voci di Anna la Rossa, di Olivo Caldo, di Michele Soppe e di tanti altri, pur filtrate dai notai dell'Inquisizione, emerge uno strato profondo di credenze contadine, altrove cancellate. Oggi i benandanti, per tanto tempo dimenticati, viaggiano in spirito per il mondo: dall'Europa, alle Americhe, alla Cina.
Questo libro è fatto di buio e di neve. Di un treno nella notte, e di una coppia senza nome che scende in una stazione deserta del Grande Nord. Di un immenso, lussuoso albergo nel cuore di una foresta. Delle sue stanze chiuse, dei suoi infiniti corridoi, dell'isola di luce del suo bar. Dei suoi ambigui ospiti - una vecchia cantante che tutto ha visto, e un losco uomo d'affari con un suo crudele disegno. E ancora, di un sinistro orfanotrofio, e di un enigmatico guaritore...
A Helgoland, spoglia isola nel Mare del Nord, luogo adatto alle idee estreme, nel giugno 1925 il ventitreenne Werner Heisenberg ha avviato quella che, secondo non pochi, è stata la più radicale rivoluzione scientifica di ogni tempo: la fisica quantistica. A distanza di quasi un secolo da quei giorni, la teoria dei quanti si è rivelata sempre più gremita di idee sconcertanti e inquietanti (fantasmatiche onde di probabilità, oggetti lontani che sembrano magicamente connessi fra loro, ecc.), ma al tempo stesso capace di innumerevoli conferme sperimentali, che hanno portato a ogni sorta di applicazioni tecnologiche. Si può dire che oggi la nostra comprensione del mondo si regga su tale teoria, tuttora profondamente misteriosa. In questo libro non solo si ricostruisce l'avventurosa e controversa crescita della teoria dei quanti, rendendo evidenti, anche per chi la ignora, i suoi passaggi cruciali, ma la si inserisce in una nuova visione, dove a un mondo fatto di sostanze si sostituisce un mondo fatto di relazioni, che si rispondono fra loro in un inesauribile gioco di specchi. Visione che induce a esplorare, in una prospettiva stupefacente, questioni fondamentali ancora irrisolte, dalla costituzione della natura a quella di noi stessi, che della natura siamo parte.
Dice Heidegger che ogni vero pensatore pensa un solo pensiero: nel caso di René Girard è quello del «capro espiatorio». In questo saggio egli prende per mano il lettore e, passo per passo, illumina in modo definitivo quel meccanismo della persecuzione e del sacrificio a cui già aveva dedicato La violenza e il sacro. Ed è impossibile sottrarsi alla luce cruda e netta che in queste pagine viene gettata su alcuni temi che per forza ci riguardano tutti. In particolare, colpiranno per la loro radicale novità le interpretazioni di parabole ed episodi dei Vangeli, dove secondo Girard si compie quell'oscillazione decisiva per cui la vittima sacrificale non consente più alla colpa che le viene attribuita, ma diventa l'innocente che come tale si rivendica: così il capro espiatorio si trasforma nell'agnello di Dio.
Secondo una leggenda, un dio dell'Indostan chiese a un altro dio di cedergli una delle sue 14.516 mogli. «Prenditi quella che trovi libera» fu la benevola risposta. Ma in tutti i 14.516 palazzi la moglie giaceva col suo signore, che «si era sdoppiato 14.516 volte» affinché ciascuna credesse di essere la favorita. La fonte di questo «racconto breve e straordinario», un libro apparso a Goa nel 1887, è in realtà illusoria. E grazie a Bioy Casares sappiamo come sono andate le cose: «Domani compro il libro dove l'ho letta» gli aveva detto Borges riferendosi alla leggenda. E Bioy: «No, raccontiamola noi e attribuiamola a un autore qualsiasi» - nella fattispecie, un gesuita portoghese. Così, con estro sfrenato e giocoso, hanno lavorato i due appassionati antologisti: ritagliando brani da una sbalorditiva molteplicità di opere (dal taoista Trattato del Vuoto Perfetto a Max Jacob), ricorrendo ad amene falsificazioni, inventando spudorati lemmi bibliografici e apocrifi: come le Memorie di un bibliotecario di Francisco Acevedo, alias Borges, o la magnifica Storia dei due re e dei due labirinti, sempre di Borges malgrado la depistante attribuzione. Senza peritarsi di manipolare le fonti: in un'iscrizione che evoca la verginità di Iside, un semplice «(finora)» aggiunge al referto di Plutarco una maliziosa connotazione: «nessun mortale (finora) ha sollevato il mio velo». Ma l'obiettivo è uno solo: mostrare come un'antologia di vertiginosa varietà possa racchiudere «l'essenziale di ciò che è narrazione» - vale a dire uno dei grandi piaceri che la letteratura può offrire.
Tutto comincia la notte in cui un fulmine squarcia il buio di una calle di Buenos Aires e un'adolescente intravede, nel salotto della casa di fronte alla sua, «tre ombre sottili e pensierose». Da quel momento la ragazza non smetterà più di spiare le enigmatiche presenze, ossessionata dal desiderio di appropriarsene e dal terrore di perderle, finché non riuscirà a sedersi anche lei in quel salotto, dove tornerà ogni giorno, perché tutto, accanto alle tre donne, acquista «un senso di rottura, di feroce oblio...». Inventa loro una vita, le ama e le odia, desidera vederle morte - una, in particolare, che deve aver commesso qualcosa di terribile...
Durante un'estate infuocata, mentre nel Mediterraneo infuria la crisi dei rifugiati, sull'isola di Idra sbarca il consueto, sofisticato stuolo di intellettuali, artisti, vacanzieri. È «la stagione dell'ozio»: aperitivi in terrazza, party alcolici, escursioni a bordo degli yacht. Per le ventenni Naomi e Sam si profilano mesi tediosi: l'una ha perso il lavoro in uno studio legale londinese, e in mancanza di alternative è ospite del padre e della seconda moglie nella villa di famiglia; l'altra è appena arrivata da New York e già conta i giorni che la separano dalla partenza. Naomi è tormentata, idealista - o almeno, così le piace far credere; Sam bella, ingenua, acerba. L'intesa è inevitabile; la catastrofe, pure. Quando le due si imbattono in Faoud, un giovane naufrago, Naomi escogita un piano tanto audace quanto sconsiderato per aiutarlo, mossa da un altruismo non del tutto disinteressato, e al tempo stesso dal desiderio di punire l'ipocrisia e la fatuità del padre. Ma Faoud ha troppo da perdere, e non può permettersi di assecondare l'ambiguo zelo umanitario della sua benefattrice. Nel rovinoso precipitare degli eventi, i fantasmi saranno riconsegnati per sempre al loro mondo d'ombra e non ci sarà redenzione per chi è «inconsapevole delle complessità della coscienza».
«Grande romanzo, Il treno: per la capacità del suo autore di concentrare in meno di centocinquanta pagine l'affresco storico e la vicenda privata; per la straordinaria efficacia dei dialoghi... per la sapienza con la quale (bastano talvolta pochi tocchi: un corpo nudo sotto il vestito, un paio di mutandine stese al sole) l'immaginazione sa nutrire l'erotismo.» (Giorgio Montefoschi)
«Una sera, in una linda casetta di provincia come si vedono nei film, c'è il professor Ashby, solo. Lavora al tornio, macchina rumorosa, a fare basi per lampade; la moglie è andata da certi amici. Rientra Belle Sherman, ragazza diciottenne che i coniugi Ashby ospitano. La mattina dopo Belle viene trovata soffocata e violentata. Siamo a pagina 28. Da quel momento Ashby è il sospettato numero uno, l'uomo sul quale si abbattono i martellanti interrogatori del procuratore. Quella tremenda pressione fa riaffiorare in Ashby il lontano ricordo di un osceno turbamento giovanile: il ricordo diventa incubo erotico e l'incubo una spirale attorno alla quale comincia a girare in cerchi sempre più stretti, fino a quando... È curioso come, al fondo del racconto, ci sia una forte componente di vita, autobiografica,» (Corrado Augias)