Pubblicato ai suoi esordi su "Die Fackel", Ehrenstein fu anzitutto un irregolare nella cultura austriaca del primo Novecento: anomalo già in quanto "espressionista viennese" e anomalo per il suo ebraismo eterodosso e per il suo socialismo individualistico. L'autore offre una inconfondibile versione del monologo interiore in una prosa che trascorre dall'assurdo stralunato, al grottesco-esilarante, al disperatamente nichilistico.
Con questo volume si completa la raccolta di saggi riuniti da Auden sotto il titolo "La mano del tintore". Qui Auden passa dalla più generale riflessione sulla pratica letteraria, sul leggere e sullo scrivere, all'analisi di generi, testi e fenomeni specifici, con quel suo consueto procedere per avvicinamento concentrico che gli consente di introdurre e sviluppare, per associazione o per analogia, tutta una serie di "punti di fuga" che commentano, dilatano e arricchiscono il discorso critico.
Al nome di Ivan il Terribile è legata l'immagine del potere assoluto nella sua forma più crudele, grandiosa ed esaltata. Di solito i potenti agiscono, non si raccontano, preferendo lasciare il compito a cronisti per lo più adulatori. Ma Ivan il Terribile fu anche in questo un'eccezione: con due sbalorditive lettere al principe Kurbskij volle motivare le sue azioni, degnandosi persino di rigettare con doviziose argomentazioni le fondate accuse mosse da colui che era stato un suo influente collaboratore. Perché perseguitare ferocemente i sudditi? Perché annullare ogni principio di giustizia? Ivan non teme certo di rispondere a queste domande, ricorrendo a tutta l'imponente complessità di un io ipertrofico, allucinato, contraddittorio e amorale.
Istanbul, anni Trenta, nel corso di un ricevimento Charles Latimer, giallista inglese di successo, viene avvicinato dal colonnello Haki, ufficiale dei Servizi Segreti e scrittore alle prime armi. Haki allude a Dimitrios Makropulos, il più grande criminale europeo di quegli anni, coinvolto in ogni delitto, compreso il traffico di eroina e l'assassinio politico. E così ha inizio l'"esperimento investigativo" di Latimer, che inseguirà il criminale fra le rive dell'Egeo, i quartieri turchi di Sofia, i boulevard di Bucarest.
Figure angeliche, di natura divina benché non prive di umane passioni e terrestri debolezze, popolano le novelle dell'"Infanta sepolta". Nei panni di adolescenti madonne e di alati vecchietti, di amici lunari, principi delicati, amanti perduti grevi di profezie e stranieri ammantati di funebre dolcezza, tali figure emanano e dispensano la grazia fra i viventi, che le colmano di una gratitudine e di una venerazione senza nome. Messaggeri di un'esistenza strana e remota, riflesso di antiche e sconosciute percezione, gli angeli della Ortese sono dunque gli artefici di una amorosa trasfigurazione del mondo di cui è testimone e partecipe la stessa autrice, incline a mescolare memoria e immaginazione, riflessione e fantasticheria, racconto e sogno.
"La bella di Lodi" è una commedia d'amore e soldi tra una splendida ragazza possidente e prepotente e un intraprendente meccanico, molto attraente e sexy. Al di là dei conflitti di classe, i due finiscono presto energicamente avvinghiati, strapazzandosi in luoghi non propizi, lungo l'autostrada del Sole appena aperta: raccordi, svincoli, autogrill, garage, motel. Ma non si tratta solo d'amore. La coppia deve fare i conti anche con altri aspetti importanti nella vita italiana di sempre: lavoro, famiglia, società, motori, differenze patrimoniali, musica leggera.
"Che cosa aspetti a infilarti il costume, vecchio commediante, illusionista appassito? Il ballo in maschera sta per cominciare". Il libertino quarantenne ha un gusto amaro in bocca, e la stanza è piena di ombre: sono le ombre della sua giovinezza. Ma ha un contratto, e deve rispettarlo. Dov'è la lettera che gli ha mandato Francesca? "Devo vederti" ha scritto. Oh, non sarà né la prima né l'ultima che riceve da una donna sposata. Questa, però, è stata scritta dalla sola donna che un giorno ha creduto di amare (e lui, per paura di quell'amore, è fuggito). Per di più gliel'ha portata il marito in persona: Sua Eccellenza il conte di Parma.
Villa Ventosa è una casa di campagna circondata da un incantevole parco che viene sistematicamente devastato dalla furia della padrona di casa, l'eccentrica Lilith Collett, che nella sua vita ha detestato ogni istante in cui ha dovuto essere madre. Ma per i suoi quattro figli viene il momento della rivolta, complici l'omosessualità di William e il promesso sposo di Barbara, un seducente cameriere spagnolo dall'improbabile nome di Miguel Angel Arqueso Algaron Perz de Vega. Tanto basta perché si scateni una trascinante sequenza di eventi comici che coinvolgono tutti i membri della famiglia.
A distanza di dieci anni dalla sua morte, la singolarità, l'unicità della fisionomia di Sciascia spicca, se possibile, ancor più di prima. Ne avranno conferma i lettori percorrendo questa raccolta di testi sinora difficilmente reperibili e mai raccolti in volume. Benché i temi siano disparati, si passa dall'uno all'altro quasi lungo il filo di una sola indagine, che è poi quella cui Sciascia si dedicò tutta la vita, limitandosi a "dormire con un occhio solo" (come recita il titolo di uno di questi saggi) - immagine che indica il continuo scrupolo di verificare e mettere alla prova anche i moti più segreti, anche i più entusiastici.
Come si fa a essere tanto idioti da lasciarsi convincere a partire per l'America riunciando alle partite a carte con gli amici e alla casetta di Meung-sur-Loire odorosa di frutta e di buon brasato? Eppure il pensionato Maigret ci casca, e parte già carico di rimpianti. Lo attende un mondo in cui tutto gli apparirà ostile: un mondo di grattacieli e luci sfavillanti, ma anche di miserie. E a volte la miseria cancella ogni traccia di umanità. Emblema del progresso: il "fonografo automatico", che trasmette musica da quattro soldi ma rende milioni di dollari. La musica è del resto il tema che sottende l'intera vicenda.