"Le verità del corpo" costituisce una analisi profonda ma divulgativa in cui Natoli, attraverso vari richiami alla storia della filosofia, da Platone e Cartesio, da Spinoza a Nietzsche, si confronta con il tema della corporeità.
"Il mito della caverna" è il racconto più celebre tratto dalla "Repubblica" di Platone, in cui si descrive il percorso di redenzione dello schiavo incatenato che viene riportato alla luce. Questa allegoria ricorda l'originale condizione umana di assuefazione al mondo delle apparenze.
"Poniamoci una domanda: i grandi amori quanto durano? quando si stabilizzano nel tempo? quando l'altro non è più solo il termine del desiderio, ma è qualcosa che io prendo in custodia perché mi sta a cuore. Perché se Eros non diventa philia degenera in vizio. Affinché una relazione si stabilizzi, le anime stesse devono essere stabili, ci deve essere rispecchiamento e specularità tra di esse." (Salvatore Natoli).
Il tema del suicidio è uno degli argomenti più controversi, problematici e dibattuti non solo in ambito filosofico: esso abbraccia l'intera cultura, ponendo in campo questioni quali le nostre vite, la morte e la libertà individuale. In questo volume, nato da una riflessione sull'intero pensiero di David Hume, viene analizzato, commentato e discusso un saggio del suddetto filosofo scozzese, dal titolo "Of Suicide"; si tratta di uno dei capisaldi sul tema del suicidio e di un testo dall'attualità sconcertante. Il presente libro ne presenta genesi, rapporti con altre opere e argomenti, tutti in difesa della legittimità di togliersi la vita e di una morale non fondata sulla religione. In campo etico spettano all'individuo le decisioni di qualsiasi tipo, comprese quelle ultime.
Uno dei temi più affascinanti della storia delle religioni, che accende il dibattito attuale tra i tre grandi monoteismi del Cristianesimo, dell'Ebraismo e dell'Islam, consiste nella possibilità e nella opportunità di raffigurare ciò che non può essere rappresentato: il volto di Dio. Oltre la polemica iconoclasta, il Cristianesimo ha sempre creduto nella possibilità di dipingere Dio, come mostrano i quadri di Serena Nono, che qui danno vita ad un dibattito che coinvolge estetica e teologia, filosofia e religione.
Come pensare la secolarizzazione? Come interrogare il rapporto fra religione e politica? Partendo dalla riflessione della teologia politica, campo di ricerca portato alla ribalta nel Novecento dall'opera di Carl Schmitt, e attraverso lo sguardo dei due autori, questo saggio indica una via per una risposta complessa ma sempre più urgente e necessaria. Le principali categorie concettuali utilizzate dal linguaggio politico hanno un'ascendenza assai lontana, che affonda le sue radici nella tradizione religiosa monoteistica e nel simbolismo della fede. Esautorate della loro originaria valenza trascendente, ridotte a strumenti della comprensione politica, esse divengono i pilastri silenziosi e sottaciuti su cui si basa la vita civile delle società progredite. Queste radici, però, possono essere ancora interrogate dalla filosofia, che ne ripercorre la genesi mettendone in questione il senso.
Un confronto quanto mai interessante, quello tra Gabriel Mandel e Giulio Giorello. Una riflessione a due voci sul secondo (o terzo, secondo la versione ebraica dell'Antico Testamento) comandamento. Su di una 'parola' quanto mai 'paradossale' Una parola che ammonisce a non far parola di Dio! Un confronto tra due prospettive evidentemente diverse; la prima, quella di Mandel, che è un Sufi, rinvia a un'esperienza mistica profonda, mentre quella di Giorello risuona dell'entusiasmo autenticamente laico che solo un pensatore libero come lui avrebbe potuto infondere anche a questa testimonianza. Due prospettive diverse, dunque, ma perfettamente consonanti nel comune anelito ad una 'verità' che non costringa, ma "liberi" anche dalla sola pretesa di risolverla in un, per quanto nobile,'concetto' definitivo.
Un dialogo serrato, condotto senza alcuna preclusione. Un tema difficile, tra i più rilevanti nell'orizzonte del Cristianesimo storico: quello del volto di Dio. Un volto mai disgiungibile dalla carne in cui il medesimo si sarebbe storicamente rivelato. Un volto che ha chiamato l'umanità a fare i conti con il proprio destino. E una carne martoriata, affidata alla libertà più radicale; la stessa che custodisce il senso ultimo di una fede da sempre sospesa al limite del naufragio e dell'abisso. In ogni caso un'esperienza-limite, che fa del Dio cristiano un vero e proprio unicum. Un irripetibile che il pensiero non può limitarsi ad accettare o rifiutare; ma deve - come fanno i due protagonisti di questo intenso dialogo - innanzitutto interrogare e nello stesso tempo svolgere nella forma più rigorosa.
Ancora una volta tocchiamo con mano che la tecnica non è più un mezzo a disposizione dell'uomo, ma è l'ambiente, all'interno del quale, anche l'uomo subisce una modificazione, per cui la tecnica può segnare quel punto assolutamente nuovo nella storia, e forse irreversibile, dove la domanda non è più: "che cosa possiamo fare noi con la tecnica?", ma: "che cosa la tecnica può fare di noi?". (U. Galimberti).