La ricca e poliedrica figura di don Carlo Gnocchi è stata scandagliata e rivisitata, nella collana che porta il suo nome, da diversi punti di vista, che ci fanno conoscere a fondo questo uomo della Carità, fondatore di un’opera che ancora oggi aiuta e sostiene migliaia di infelici nel mondo. Questo saggio focalizza l’attenzione su un tema apparentemente marginale – lo stile della sua scrittura, analizzata sotto il profilo sintattico e stilistico-retorico – in grado però di evidenziare l’attualità del suo modello educativo e del suo messaggio spirituale e soprattutto una grande capacità di entrare in relazione con tutti i suoi interlocutori, dai grandi di questo mondo sino agli amatissimi mutilatini.
Prefazione del card. Roger Etchegaray, (presidente emerito del Pontificio Consiglio Iustitia et Pax)
Questo volume tratta del rapporto che il padre dei “mutilatini” di guerra, don Gnocchi, aveva con i papi e i vescovi del suo tempo e in modo particolare con Papa Montini, suo grande amico e sostenitore dell’Opera.
L’autore insiste sul tema della carità, quella vera che non è elemosina né l’efficace intervento operativo nei diversi ambiti dell’emarginazione sociale. Ma piuttosto quella carità che caratterizzava don Gnocchi per il suo modo di essere e di operare con il cuore stesso di Dio che è essenzialmente tenerezza.
Luigia Tincani (1889-1976) fa parte della schiera di quelle donne che, senza clamore, hanno inciso profondamente nella vita della Chiesa e della società del ventesimo secolo. Donna colta, fiera e combattiva, sulle orme di santa Caterina da Siena e di san Domenico, diventa lievito evangelico nel mondo della cultura, dedicandosi alla formazione e all'insegnamento. Fonda le Missionarie della scuola, consacrate che, senza alcuna divisa, hanno la missione quanto mai attuale di portare il vangelo ai "poveri di verità". Dalle sue intuizioni e dal suo cuore nasce a Roma la Libera Università di Maria SS. Assunta. E' in corso la causa di beatificazione
«Così la mia vita passa, come il più bel romanzo del mondo, perché è un romanzo d'Amore»: queste parole scritte da padre Mario nel diario riassumono la sua breve e intensa esistenza. Nato fra le montagne del Trentino, è inviato come missionario fra le montagne del Laos, dove col martirio - a 28 anni - porta a compimento la vocazione e scrive la parola "fine" al suo romanzo d'Amore. Questo è un libro scritto a quattro mani: da padre Ciardi, che è l'autore, e da padre Mario, che si racconta nel suo diario.
Dalla Prefazione di Giulio Andreotti
Le procedure con cui la Chiesa istruisce le cause di beatificazione non possono forse esser diverse dallo schematismo con cui si articolano, prima nelle diocesi e poi a Roma. Ne risulta un modello suddiviso in tanti rivoli per constatare se le singole virtù dell'esaminato siano state vissute in grado "eroico". Si rischia così di perdere la sintesi della relativa personalità, appesantendo l'itinerario verso il riconoscimento con tutta una serie di frazionamenti accertativi. So bene che, ferma restando questa impressione di burocraticismo, non è facile individuare un mezzo di analisi differente. E mi scuso per il rilievo. Nel presente libro si sintetizzano le deposizioni dei testi affrontando direttamente anche qualche punto che, peraltro, è scomodo in un'ottica politica e non sotto il profilo della santità. Mi riferisco in particolare a una certa indulgenza giovanile di don Carlo verso il fascismo, in cui non è assolutamente necessario cercare e dare giustificazioni. Nel desiderio di apostolato tra i giovani impegnarsi nel campo delle organizzazioni dell'epoca era piuttosto naturale. E, con il suo carattere incline a vedere più il bene che il male non stupisce che nello stesso massimario mussoliniano le cose positive lo attraessero, senza per questo divenire un fanatico sostenitore del regime, né un indulgente simpatizzante generale. Così pure nella sua esperienza di cappellano degli alpini, non si troverà mai traccia di militarismo e tanto meno di odio verso il nemico. Il fascino di don Carlo nel non facile mondo delle penne nere fu tale che quando partecipava - berretto fieramente portato - ai raduni annuali era sempre al centro delle attenzioni affettuose dei reduci. Spostandosi in un altro campo della vita di don Gnocchi, l'autore "rivisita", alcuni momenti caratteristici della sua vita, tra i quali la vicenda dell'Angelo dei bimbi. Il volo di propaganda oltreoceano per la causa dei mutilatini non aveva come scopo prevalente la raccolta dei fondi. È quindi mal posta la critica per il conto addirittura passivo dell'impresa. Associando al suo sforzo Bonzi e Lualdi riuscì invece a entrare in un mondo fino a quel momento insensibile verso la pedagogia cristiana del dolore innocente. L'incarico pubblico affidatogli da De Gasperi urtò contro l'inguaribile anticlericalismo di alcuni circoli. Sotto un altro profilo dava fastidio ai "professionalisti" dell'assistenza il volontarismo e il disinteresse totale di don Gnocchi e dei suoi immediati collaboratori. Che il servizio di guerra gli avesse lasciato tracce non lievi era risaputo. Ma eravamo talmente abituati al suo dinamismo che sembrarono non invincibili i primi sintomi di stanchezza: parola sconosciuta nel suo vocabolario. Se ne andò rapidamente e forse molti capirono in quel momento chi fosse don Carlo. Ricordo la strabocchevole e commossa folla che lo accompagnò in Duomo; le lacrime di grandi e di bambini. A rendere struggente il lutto contribuì anche la notizia che aveva donato i suoi occhi a due fanciulli. Fu in quel pomeriggio milanese che don Carlo venne di fatto elevato agli altari; così come tanti secoli prima il popolo ambrosiano aveva eletto il suo vescovo Ambrogio. I fascicoli rituali sono necessari e ben vengano. Ma alla fine non saranno che la ricognizione di una inconfondibile espressione della vox populi.