"Santi" è il nome "originario" dei cristiani: così si chiamavano tra loro. La santità è l'unica categoria che può spiegare l'opzione per Cristo, lungo i duemila anni di storia del cristianesimo e che può dare senso al futuro. Non a caso san Giovanni Paolo II, chiudendo il Grande Giubileo del Duemila ed indicando il nuovo cammino, disse che la santità è il primo impegno, la "misura alta" della vita cristiana, che può rendere entusiasmante e bello il Vangelo anche oggi. L'uomo aspira alla gioia e vive di entusiasmo. Per questo Papa Francesco ci ha offerto un percorso, ci ha indicato un cammino, che in questo libro si cerca di percorrere: "Gaudete et Exsultate".
Paolo VI parla ancora oggi all’uomo, alla Chiesa e al mondo. La sua incisiva parola conserva inalterata la forza di interpellare le coscienze, consolare i cuori e illuminare il cammino dei discepoli di Gesù.
Alcuni sacerdoti Oblati diocesani riflettono sulla figura dell’Arcivescovo di Milano, diventato Pastore della Chiesa universale e ora associato alla comunità dei santi, mettendo in rilievo i tratti principali della sua testimonianza. Incontriamo così Montini come l’uomo ricco di doni di Dio e di virtù; l’innamorato di Cristo; l’orante che ci regala stupendi testi di preghiera; il pastore che ama appassionatamente la Chiesa e la serve con piena dedizione; il padre proteso all’incontro con i “lontani”, al dialogo ecumenico e alla promozione della pace; l’apostolo che sprona il popolo di Dio, e specialmente gli amati sacerdoti, a intraprendere nuove vie per la missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo.
"Il cuore del Buon Pastore non è soltanto il Cuore che ha misericordia di noi, ma è la misericordia stessa. Li splende l'amore del Padre, li mi sento sicuro di essere accolto e compreso come sono, li, con tutti i miei limiti e i miei peccati, gusto la certezza di essere scelto e amato" (Dall'omelia di Papa Francesco, nel Giubileo dei sacerdoti). Questo studio mette in evidenza come tali parole trovino un'applicazione esemplare nell'esperienza e nell'insegnamento dell'apostolo Paolo e di tanti Pastori santi del nostro tempo, trai quali spiccano le figure di Don Carlo Gnocchi, don Secondo Pollo, Padre Igino Lega, don Pino Puglisi, don Primo Mazzolari, don Andrea Santoro, mons. Luigi Padovese e il cardinale Francois Xavier Nguyen van Thuan.
Nata a Monza nel 1920, visse per vent'anni missionaria in India, dove si dedicò con passione all'insegnamento nelle scuole Canossiane. "Vedeva Cristo in tutti coloro che cercavano il suo aiuto: bambini, poveri, malati".
L'immagine che meglio raffigura monsignor Ambrogio Trezzi è quella scelta per la copertina della biografia scritta da Ennio Apeciti: un sorriso caldo, uno sguardo colmo di gioia e due braccia aperte ad abbracciare coloro che gli sono di fronte. Perché l'intera esistenza del sacerdote di Paina di Giussano è stata guidata dalla felicità del donarsi, dello spendersi per chiunque avesse bisogno. Non c'è persona che l'abbia conosciuto, rivela don Daniele Gandini nella prefazione, che non abbia speso una "confidenza di bene", non c'è famiglia che non abbia narrato un segno di bontà lasciato nella loro vita. Quella bontà che è stata il filo conduttore della sua esistenza e che il titolo bene sottolinea, riportando una frase pronunciata da Monsignor Bernardo Citterio nel celebrarne le esequie. Pagina dopo pagina viene svelato ciò che ha animato monsignor Trezzi in tutta la sua vita: l'amore sincero per Dio e per i fedeli a lui affidati, di cui si sentiva padre a tutti gli effetti, come il buon pastore che conosce le sue pecore arrivando a offrire tutto sé stesso per loro".
Dalla prefazione del cardinale Tettamanzi
San Carlo Borromeo il 7 dicembre 1567, anniversario dell’ordinazione episcopale sua e del suo “massimo predecessore”, sant’Ambrogio, tenne nella basilica omonima una accorata omelia, ove disse: «Questa è la legge della perfezione pastorale, che il pastore spenda persino la vita, se necessario, per la salvezza del suo gregge, e sembra che più di questo non si possa fare, perché Cristo diceva in un altro passo: Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici (Gv 15, 13)».
Queste parole di san Carlo mi sono venute alla mente ripensando alla vita di Padre Clemente Vismara, che per il ministero e la benevolenza del Papa è “Beato” della Chiesa ambrosiana dal 26 giugno 2011.
Questa beatificazione, che avviene insieme a quelle di un altro figlio e di un’altra figlia di questa stessa Chiesa ambrosiana – don Serafino Morazzone, curaro di Chiuso (Lecco) e suor Enrichetta Alfieri, delle Suore della Carità di Santa Giovanna Antida Thouret – avviene a coronamento di questo anno pastorale, nel quale ci ha accompagnato la celebrazione del quarto centenario della canonizzazione di san Carlo
Borromeo, avvenuta a Roma il 1° novembre 1610.
La connessione delle date tra quella canonizzazione e queste tre beatificazioni non può lasciarci indifferenti: è il segno che la santità è ancora viva, è sempre viva nella Chiesa e ne scandisce il suo cammino bimillenario. Un cammino, quello della santità, sempre affascinante, anche perché assai variegato: i santi sono così diversi tra loro, eppure così simili l’uno all’altro!
San Carlo è ben diverso da padre Clemente Vismara, come questi è ben diverso dal parroco di Chiuso, don Serafino Morazzone, «tanto umile – disse di lui Alessandro Manzoni – da non sapere di esserlo». Ben diverso anche da suor Enrichetta Alfieri, che per trent’anni nel Carcere di San Vittore fu – così la chiamavano i detenuti – “Angelo” e “Mamma”.
Anche Padre Vismara fu “padre”, padre di mille e mille orfani, che raccolse nei suoi sessantacinque anni di permanenza in Birmania, come attestano le migliaia di lettere e le centinaia di articoli, ben sunteggiati in questa biografia di don Ennio Apeciti.
Struggente il grido di quel bimbo, agitato dalla febbre malarica, che dice a padre Clemente: «Guariscimi, tu sei mio padre, tu sei mia madre!», perché non aveva altri che lui, che quel missionario, che gli volesse bene. D’altra parte, padre Vismara ripeteva: «I ragazzi sono il tesoro del missionario, il missionario è il tesoro, la vita dei ragazzi».
E per essi ha amato dare tutta la sua vita, senza mai rimpianto o nostalgia o delusione, anzi sempre perennemente giovane, a dimostrarci che la giovinezza non dipende dagli anni, ma dal cuore. Si è giovani non perché si è agili nelle membra, ma perché si vibra sempre nel cuore; si vibra
vedendo un fratello che soffre, una sorella che piange, un amico – perché noi cristiani siamo chiamati ad essere non solo fratelli, ma “amici” – che gioisce.
Padre Vismara credette che la sua gioia riposava nella gioia dei ragazzi, dei poveri, dei lebbrosi che aveva scelto di amare e di servire. Ma – così facendo – padre Clemente ci richiama, ci ricorda che sono vere le parole di Gesù, quelle che san Paolo rivolgeva con commozione agli Anziani di Efeso: «Vi è più gioia nel dare che nel ricevere» (Atti 20, 35).
Era – per certi versi – quello che dicevo nel discorso di ingresso nella diocesi ambrosiana come arcivescovo il 29 settembre 2002:
«Sì, carissimi fratelli e sorelle, il cristianesimo – come diceva Paolo VI – è difficile, ma è felice! È felice perché ha come suo programma ed emblema le beatitudini, che Gesù ha proclamato e vissuto per primo (cfr. Matteo 5,1- 12). Questa nostra santità, che è la vera novità evangelica, alimenta la santità della Chiesa intera e dà la forza di operare il cambiamento della stessa società. Ed è nella prospettiva della santità che deve realizzarsi tutto il nostro cammino pastorale (cfr. Novo millennio ineunte, n. 30).
Questa, infatti, per ciascuno di noi e per tutti noi, è la volontà di Dio: la nostra santificazione (cfr. 1 Tessalonicesi 4,3). Resi santi nel Battesimo non possiamo accontentarci di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalistica e di una religiosità superficiale, ma dobbiamo vivere da santi, secondo questa “misura alta” della vita cristiana ordinaria (cfr. Novo millennio ineunte, n. 31)».
Sono ancora ben convinto di queste parole e questo beato, padre Clemente, “il prete che sorrideva sempre” – come lo ricordavano – me ne dà conferma.
La santità porta gioia e felicità non solo a chi la vive, ma anche a chi la incontra: l’incontro con un santo è sempre esperienza di gioia, perché dilata l’orizzonte della vita, fa comprendere che ogni essere umano è destinato a qualcosa di ben più grande che questa sola vita che viviamo nel tempo. La nostra vita è eterna, sorpassa il tempo e lo spazio, perché è vita “divina”: c’è Dio che ci attende al termine di questo cammino. Per questo padre Clemente salutò gli amici del Gruppo Missionario di Agrate nella sua ultima lettera, scrivendo: «Vi auguro ogni bene. Ci rivedremo in Paradiso. Con affetto».
Occorre, però, che ci sia sempre qualcuno che annunci agli uomini le grandi opere di Dio, il Suo immenso amore per l’essere umano. Occorre che l’uomo lo sappia e, dunque, occorre chi Lo annunci, chi accolga l’anelito di cammino, sempre pronti a rinnovarsi, a ricominciare nel modo dell’annunciare e nel modo di servire, perché è la carità la via maestra della Chiesa, sulla quale essa incontra sempre l’uomo, che è stata chiamata a servire e ad amare nel nome e nel modo che Gesù stesso le ha insegnato.
«L’amore, in definitiva – così scrivevo nella Lettera Santi per vocazione sull’esempio di san Carlo Borromeo –, è la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano».
I santi ci hanno creduto. San Carlo ci ha creduto e ha segnato per secoli la sua Chiesa e il nostro mondo. Padre Vismara ci ha creduto ed ora i nostri fratelli del Myanmar lo sentono loro “Patriarca”, colonna della loro giovane Chiesa entusiasta.
I santi ci spronano con il loro esempio. Come san Carlo che il 16 giugno 1583 per stimolare la gente di Cannobio diceva: «Cristiano, se l’amore è incentivo all’amore, se l’amore è il prezzo dell’amore, se l’amore richiede amore, quale amore ti ha mostrato Cristo! […] Come è soave la vita
spirituale di coloro che la cercano! Chi non prova lo ignora».
Padre Vismara ci è d’esempio; ci stimola con le parole, che scelgo tra molte, scritte alla nipote Stella il 2 dicembre 1947: «La vita è bella, bellissima e ti invita a vivere, nella mia mente dire vivere è sinonimo di compiere il bene. Fatelo anche voi. Te lo assicuro, vi troverete bene»
Lui ci ha creduto. Lui ci è riuscito. Ora tocca a noi provare, e scoprire che è vero: chi dona con gioia, sperimenta la gioia.
Dionigi card. Tettamanzi
Arcivescovo di Milano
Biografia della beata Enrichetta Alfieri.
A distanza di quasi due secoli, Bartolomea Capitanio (1807-1833) – una splendida figura di donna, fondatrice delle Suore di Maria Bambina, morta a soli ventisei anni – ancora ci parla. Che cosa ha da dirci? Di credere all’Amore, di vivere nell’amore e di tendere all’Amore.
«Come lei anche noi abbiamo bisogno di credere che solo l’amore vale, che solo l’amore vince, che il male è sempre più debole, è sempre effimero, è sempre sconfitto. Il male e i suoi servitori... non vincono mai, proprio perché sono vuoti di amore.
Non fu spenta la sua giovane sete di Amore: ne è prova il suo Istituto, ne sono prova le migliaia di donne che l’hanno seguita e la seguono, ne è prova il desiderio stesso di parlare ancora di lei con queste pagine».
Destinatari
Un libro per quanti vogliano avvicinarsi alla vita di Santa Bartolomea Capitanio e trarne insegnamento.
L'autore
Ennio Apeciti, ordinato sacerdote nel 1979, nel 1990 ha conseguito il dottorato in Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma. Attualmente insegna Storia della Chiesa presso il seminario arcivescovile di Milano. È responsabile dell’ufficio delle Cause dei Santi della diocesi. Numerose le sue pubblicazioni di carattere storico e agiografico, tra cui si segnalano: Ciò che conta è amare.Vita del beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster (1996); Gianna Beretta Molla.Amare la vita (2004);Li amò sino alla fine.Vita di don Carlo Gnocchi (2009).
DESCRIZIONE:
INDICE
«LI AMÒ SINO ALLA FINE» Pag. 5
«TU SOLO HAI PAROLE DI VITA» » 11
Il giovane seminarista
«COME UN’OSTIA CONSACRATA» » 17
Il novello sacerdote
«LA SUA TESTA ERA TUTTA UN VULCANO» » 23
Il giovane coadiutore
«SPALANCARE LE FINESTRE AL PIÙ SOLARE OTTIMISMO» » 29
L’educatore
«L’AMORE È LA FORZA PIÙ BENEFICA DEL MONDO» » 35
Al Gonzaga
«COSÌ DOVETTE GUARDARE GESÙ DALL’ALTO DELLA CROCE» » 41
In guerra
«NASCERÀ UN NUOVO TIPO DI UMANITÀ» » 47
L’attuarsi dell’ideale
«HAI EMULATO DON BOSCO, DON ORIONE, DON GUANELLA...»» 53
La fine... o l’alba
C’ERA ANCORA QUALCUNO DA AMARE » 60
«GRAZIE A DON CARLO SONO UN RAGAZZO FELICE!» » 62