I cinque capitoli del libro, dedicati ai cinque sensi, sono caratterizzati dal termine porta: gli occhi sono la porta della luce, gli orecchi la porta della voce, l’olfatto dell’odore, il gusto del sapore e, infine, il tatto la porta del contatto. L’immagine della porta, ripresa dall’Itinerario della mente in Dio, mostra con efficacia la funzione principale dei sensi: importare ciò che sta fuori, ed esportare ciò che vive dentro. Così la creatura umana si rivela come capace di un dialogo permanente svolto attraverso le cinque lingue parlate dai cinque sensi.
Poliglotta fin dalla nascita, la persona parla la lingua dei colori, dei suoni, degli odori, dei gusti, dei contatti e ogni linguaggio costituisce una vera e propria scienza.
A partire dall’esplorazione del senso fisico, ogni capitolo prosegue evidenziando i legami delle cinque porte con la psiche, le emozioni, i sentimenti dell’essere umano, fino a delineare l’esperienza spirituale che ciascun senso ricava dal contatto con Dio.
L'interpretazione del Cantico dei Cantici da parte di san Bonaventura argomento che, fino ad oggi, non è mai stato trattato in modo esteso e approfondito. Questo volume di Vincenzo Battaglia si cimenta in tale impresa, prendendo in esame le citazioni reperibili nel tracciato argomentativo della maggior parte delle opere composte da Bonaventura, a cominciare dalla sua attività come baccelliere biblico a Parigi fino all'epilogo della sua produzione magisteriale coincidente con le Collationes in Hexaëmeron.
I contesto dell'indagine come evidenziato dal sottotitolo del saggio, desunto da un brano molto significativo dell' Itinerarium mentis in Deum è costituito dall'esperienza affettiva che, nelle opere del maestro francescano, si presenta, al contempo, come dottrina, metodo, fulcro e approdo della vita spirituale. L'esito di questa puntuale ricerca di Vincenzo Battaglia valorizza l'acquisizione della sapienza contemplativa e amorosa nel dinamismo ascensivo dell'unione con lo Sposo diletto, il Signore Gesù, totus desiderabilis. Nell'elevarsi al di sopra di sé, la mens sperimenta infatti tutta l'efficacia della mediazione di Cristo, il quale in questa ascesa è via e porta, è scala e veicolo, come il propiziatorio collocato sopra l'arca di Dio e il sacramento nascosto nei secoli.
Il tema del desiderio ha assunto oggi un ruolo importante per la comprensione dell'uomo; ma anche per i pensatori medievali il desiderio costituiva un elemento centrale nella definizione dell'umano, sebbene le categorie utilizzate possano sembrare molto distanti dalle nostre. Questo libro percorre la produzione teologica di Bonaventura da Bagnoregio (T 1274) per mostrare il ruolo importante del desiderio nella visione antropologica del dottore serafico. La spiritualità e il pensiero francescani, infatti, sono sin dall'origine orientati a sottolineare il versante affettivo dell'interiorità, cogliendo il desiderio e l'amore come tratti distintivi della nostra natura fatta a immagine e somiglianza del creatore e redentore.
La Vita di Cristina l'Ammirabile assomiglia a un romanzo gotico di Italo Calvino. La principale differenza con Il barone rampante sta nel fatto che la Vita è stata scritta nel 1232, otto anni dopo la morte della protagonista. I prodigi di Cristina erano conosciuti pubblicamente in tutta la regione sino a Liegi; le folle erano accorse per vederla arrampicarsi sulla cima degli alberi o sulle colonne delle chiese, infilarsi nei forni in cui ardeva la legna, o rimanere per settimane intere in inverno immersa nella Mosa ghiacciata. Cristina era u/Volumes/SSD500 macmini ufficio/System/Volumes/Data/Users/macminiufficio/COPERTINE-ABSTRACT/abstracts/ultimi_abstracts/978887962418.txtna delle numerose donne della diocesi di Liegi di cui parlano i documenti poco dopo il 1200, indicate di solito con l'espressione latina "mulieres religiosae". La loro vita ruota attorno al desiderio di santità, in linea con un modello evangelico; sono anche donne libere, il cui gesto fondatore è stato quello di sciogliersi dalla tutela del clero per rivendicare l'autonomia di una via femminile di accesso al divino; sono frequentemente soggette ad esperienze estatiche. Cristina, pur molto conosciuta, solo raramente è stata posta al centro dell'attenzione: quando il racconto della sua vita non viene tacciato di affabulazione, allora è il comportamento della protagonista ad essere interpretato come frutto di disturbi mentali. Il punto di vista di questo libro è differente: l'invito è quello a mettere da parte l'incredulità di fronte al racconto di fenomeni inverosimili.
Anche in questo caso si rivela più feconda una lettura benevola delle fonti, una volta che siano state passate al vaglio della critica documentaria.
La Regola di perfezione del cappuccino Benedetto da Canfield (1562-1611) é indiscutibilmente il capolavoro che diede forma a tutta la mistica del xvi secolo, servendo da manuale per due o tre generazioni di spirituali. L'autore, definito da Henri Bremond «il maestro dei maestri», poco prima della morte curò personalmente l’edizione completa ed esatta, francese e latina, della sua Regle de perfection, le cui prime versioni, incomplete, circolavano già da diversi anni. Il libro propone come unica regola di perfezione cristiana l’obbedienza alla volontà di Dio.
Tale obbedienza presuppone il completo annichilimento della volontà personale, in un totale distacco. In esso si riconosce che tutto quel che accade é volontà di Dio - identificato, fuori da ogni antropomorfismo, con la sua stessa volontà. Obbedendo alla necessita come volontà di Dio, si vive in ogni istante, in ogni situazione, una vita che é insieme contemplativa e attiva, godendo della perfetta unione con Dio e quindi di una piena beatitudine. Fu proprio questo punto, sviluppato nella terza parte dell’opera, a portare alla censura ecclesiastica che, a fine Seicento, colpì tutti gli scritti sospetti di quietismo, o di “perfettismo”, e così scomparve praticamente dalla circolazione.
In un tempo in cui la mistica sta riemergendo in tutto il suo valore, questa prima traduzione italiana ripropone, dopo più di tre secoli di oblio, la Regola di perfezione in primo luogo come capolavoro psicologico, che smaschera l’egoismo delle proprie passioni, comprese quelle inconsce, aiutando cosi a conoscere sé stessi. In secondo, ma non secondario, luogo, il lettore più attento potrà scoprire come dalla conoscenza di sé stessi nasca quella di Dio, e, insieme, la beatitudine.
Parigi, febbraio 1253: alcuni fatti di cronaca nera danno la stura a una feroce polemica a proposito della presenza degli Ordini mendicanti nel corpo insegnante dell'Università di Parigi e nelle attività pastorali ordinarie delle diocesi. La disputa, senza esclusione di colpi, che riguardo anche aspetti biecamente materiali e durerà fino al 1257, coinvolgerà addirittura Luigi IX, il re santo, e i pontefici del tempo. In effetti, essa costituisce un inevitabile momento di svolta nella concezione della Chiesa, sull'onda lunga della riforma gregoriana. I tre testi principali che ne costituirono la base non sono mai stati avvicinati fra loro in un unico volume. E' quanto ci si propone di fare in questo libro, dotando le traduzioni (due delle quali appaiono per la prima volta in italiano) di un articolato apparato di rimandi, consapevoli che le riflessioni sulla povertà di cui questi scritti sono costellati hanno ripreso vigorosa attualità.
CARLO DEZZUTO, sacerdote della diocesi di Biella, laureato in Fisica.
dottore in Diritto canonico e licenziato in Teologia con una tesi sui Prologhi latini del XII secolo ai Commentari al Cantico dei Cantici, ha tra l'altro insegnato Storia della Spiritualità Medievale al Centro di Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica
dell'Italia Settentrionale di Milano.
Nell’aspirazione ad un pieno appagamento sta la meta di ogni umana ricerca, dell’uomo contemporaneo come dell’uomo medievale, perché è inscritto nella nostra condizione di creature finite (pro statu isto) che non vi sia pienezza di vita se non nell’infinito. Concetto iconico capace di de-finire Dio senza com-prenderlo totalmente, l’infinito costituisce per Giovanni Duns Scoto la cifra più adeguata che l’uomo viatore può utilizzare senza racchiudere la propria origine nello spazio angusto degli enti finiti e nel contempo senza mortificare l’umana intelligenza e volontà che aspirano all’oltre che non passa inappagati da ciò che passa. Esso è come un focus imaginarius eccentrico rispetto alla nostra capacità cognitiva, verso cui tutto converge, il cosmo creato così come quello anche solo immaginabile dalla mente di Dio, ed è, non accidentalmente, gratuita libertà sorgiva, la sola in grado di salvaguardare veramente anche il prodigio della libertà umana e la fragile contingenza del creato. Attraverso l’esposizione dottrinale di Duns Scoto, per la prima volta nel pensiero occidentale l’infinito acquista con estrema chiarezza un risalto centrale: i saggi che compongono il presente volume ne tratteggiano alcuni aspetti sul versante della ricerca filosofica e teologica, in occasione del settimo centenario della morte del Dottore Sottile