I segreti delle nuvole racconta la storia di Tommaso e della famiglia Sili. Tra le nuvole e la piccola cittadina di Urbania, tra il cielo e le verdi colline delle Marche. Racconta la vita dolce e spericolata di questo bambino prima di nascere, a diecimila metri dal suolo, e quella che l’aspetta, in una famiglia felice come tante, infelice come tante. Racconta l’attesa, insieme a migliaia di altri bambini, e poi la discesa sulla terra.
Questo libro è una fiaba che fa ridere e commuove. Ha la fantasia e l’universalità del Piccolo Principe e un linguaggio che sa toccare il cuore. Ha la magia delle immagini di Valerio Berruti.
Insieme, parole e immagini, raccontano i piccoli abitanti delle nuvole – i loro segreti – che rincorrono senza tregua desideri irraggiungibili, che si esaltano e disperano e disperandosi rovesciano sulla terra pioggia e grandine.
E quando ridono è perché laggiù, quaggiù, due persone si sono innamorate.
Sulla Terra, ogni giorno, miliardi di esseri umani si rivolgono a Dio in cerca di aiuto. Che sia il Dio dei cristiani, quello degli ebrei o quello dei musulmani, che sia una presenza benevola percepita nella natura o che sia un equilibrio cosmico di ascendenza orientale, resta il fatto che moltissime persone - la maggioranza - si rivolgono a Dio offrendo il proprio tempo e le proprie risorse «per provare la gioia di donare gioia». La spiritualità ha un ruolo importante e positivo per i credenti del mondo. Esiste una spiegazione a questo stato di grazia? In questo libro, Boris Cyrulnik, il più noto neuropsichiatra francese, si pone questa domanda cruciale in cerca di una risposta originale. Il tema è immenso e non scevro da valenze politiche in un momento storico come il nostro, nel quale masse di persone compiono crimini efferati proprio in nome di un cieco credo religioso. Ma resta il dato positivo: l'ambiente pacifico, calmo e fiocamente illuminato delle cattedrali gotiche, il cantillare salmodiante delle liturgie ebraiche, la voce rassicurante del muezzin che chiama i fedeli in preghiera sono tutti esempi del lato consolatorio della religione, in cui così tanti esseri umani cercano riparo. Con gli strumenti delle neuroscienze e con i concetti chiave di attaccamento e di resilienza, Cyrulnik ci mostra come la religione sia effettivamente in grado di avere effetti psicoterapeutici, spesso visibili. L'approccio scientifico e psicologico dell'autore porta a comprendere come il cervello del bambino instauri con Dio un rapporto affettivo paragonabile a quello che si instaura coi genitori. Il mondo della mente in via di sviluppo si struttura e nel cervello si scolpisce un sé neurologicamente e psicologicamente legato all'ambiente di crescita, che spesso aiuta, e molto, a combattere le inevitabili avversità della vita. Dio e psicoterapia sembrerebbero dunque alleati, almeno fintanto che Dio viene percepito come un padre buono e accogliente. I problemi iniziano, a livello psicologico e neurologico, quando l'ambiente della crescita presenta ai bambini un Dio vendicativo e intransigente. Proprio come avviene coi padri violenti.
La morte non esiste più. Allo stesso tempo, però, viviamo costantemente circondati dai morti. Relegata lontano dalla nostra quotidianità, medicalizzata, espunta dalle nostre vite, l'esperienza del morire vive oggi una situazione paradossale, quando le immagini e le parole dei cari estinti tornano e irrompono all'improvviso dagli schermi dei nostri telefoni. Moriamo, ma continuiamo a esistere nella presenza ineliminabile della nostra passata vita online. Social network, chat, siti web costituiscono insieme, ad oggi, il più grande cimitero del mondo. Il territorio esplorato dalla fantascienza, dalla fiction e, recentemente, da una delle serie più perturbanti che mette al centro della sua riflessione il rapporto tra uomo e tecnologia, Black Minor, sembra superato dalle nuove intelligenze artificiali. Sono già disponibili bot con cui dialogare e capaci di interpretare i nostri stati d'animo per poi sostituirsi a noi quando saremo trapassati, e continuare a parlare con ì nostri cari; il profilo Facebook che consultiamo compulsivamente più volte al giorno, quando mancheremo, diventerà una vera e propria lapide virtuale, e i nostri amici potranno continuare a farci gli auguri ogni anno nell'aldilà. E ancora, il web è diventata la più grande piazza pubblica per celebrare il ricordo o condividere anche l'esperienza privata del lutto. Insieme piangiamo i nostri cari, insieme ricordiamo i nostri beniamini. Insieme, in un futuro prossimo, vivremo una seconda vita nella realtà virtuale. Davide Sisto, giovane filosofo che da lungo tempo ha consacrato i suoi studi alla relazione tra morte e cultura digitale, per la prima volta mette insieme un discorso interpretativo che ha al centro il rapporto nuovo della nostra società con la morte indotto dall'avanzamento tecnologico. La morte si fa social è il migliore esempio di umanesimo capace di confrontarsi con l'era digitale. L'uomo ha sempre pensato la morte. Oggi più che mai, il digitale offre un'opportunità per ripensare la morte in una prospettiva rivoluzionata.
Nel nome della croce parla dell’affermazione del cristianesimo nel IV secolo, ma dal punto di vista dei pagani e della cultura greco-romana. Da quella prospettiva, non c’è niente di eroico da celebrare e non mancano i documenti per testimoniarlo. Dalla ricostruzione degli eventi narrata da Catherine Nixey risulta evidente come il mondo classico fosse molto più tollerante di quanto comunemente si pensi e come i primi cristiani, o almeno molti fra loro, fossero molto più intolleranti e – più spesso di quanto ci si aspetterebbe – violenti.
L’autrice ci guida nel corso dei secoli cruciali della tarda Antichità, portandoci ad Alessandria, Roma, Costantinopoli e Atene, mostrandoci torme minacciose di fanatici incitati da personaggi che non di rado in seguito saranno chiamati santi. La distruzione di Palmira, il linciaggio della filosofa neoplatonica Ipazia, la chiusura definitiva della millenaria Accademia ateniese e una quantità di altri episodi mostrano un volto nuovo e inaspettato di quei tempi difficili. Quando infine il cristianesimo divenne religione di Stato nell’impero, le leggi finirono l’opera di rimozione della cultura classica, imponendo a tutti la conversione al nuovo credo e condannando all’oblio gran parte della raffinata e antichissima cultura greco-romana. Si aprirono così, di fatto, le porte al millennio oscuro del Medioevo.
Sono innumerevoli le opere che abbiamo perduto per sempre a causa del fanatismo profondo che animò quel periodo: magnifiche statue fatte a pezzi, roghi pubblici di libri, templi devastati, bassorilievi divelti, palazzi rasi al suolo. Dal punto di vista cristiano fu il periodo del «trionfo», ma per chi desiderava restare fedele agli antichi culti pagani e allo stile di vita tradizionale fu invece una sconfitta definitiva, al punto che lo scontro frontale tra la cristianità e il mondo classico che risuona in queste pagine non può non richiamare, fatalmente, le cronache dell’odierno Medio Oriente.
La storica e giornalista Catherine Nixey ci regala un libro coraggioso, che scuote le coscienze e rovescia le prospettive, e lo fa con una prosa serrata e incalzante, tenendo incollato il lettore alla pagina, mentre racconta un trionfo di crudeltà, violenze, dogmatismo e fanatismo là dove non pensavamo esistesse.
Pur fra molte incertezze, la leggenda ci narra che Akiva ben Joseph nacque attorno all'anno 50 dell'era volgare, forse nella città di Lod, nell'odierna Israele, e morì martirizzato attorno al 135 per aver continuato a insegnare pubblicamente la Torah nonostante la proibizione delle autorità romane. Si dice che fece in modo di spirare prolungando la parola echad, «uno», che conclude la prima frase della preghiera ebraica Shemà: «Ascolta Israele, il Signore nostro Dio, il Signore è uno». Rabbi Akiva, tuttavia, è una storia prima ancora che un uomo, e questo libro non può dunque essere una biografia nel senso comune del termine. È piuttosto un affresco, che attraverso la figura dell'uomo più saggio e ammirato del Talmud, fotografa la cultura ebraica palestinese del i secolo, nel drammatico momento della sua riconversione da antica religione centralizzata - fondata sul Tempio e sulla casta sacerdotale - a moderna religione diffusa di «maestri» (l'etimo di rabbini), fondata sullo studio e l'interpretazione della Torah. Tanto più che di Akiva abbiamo solo riferimenti interni a quel mondo e nulla di lui ci è invece pervenuto da fonti non ebraiche. Nel Talmud - un'immensa opera letteraria, giuridica, filosofica e religiosa, composta tra il I e il V secolo - Akiva viene descritto come il «capo di tutti i saggi», l'uomo di umili origini che studiò la Legge in età già adulta, il commentatore arguto e inventivo, quasi sempre vincente nelle dispute tra saggi. È l'esempio da seguire, e come tale è considerato l'iniziatore del rabbinismo. A questo Akiva «canonico», Holtz aggiunge qui mille sfaccettature, in un testo denso e godibile, che ci restituisce il senso di un vero e proprio eroe della sapienza, una figura sulla quale si è costruito per diversi secoli l'esempio per eccellenza del buon maestro ebraico. Questo libro può essere letto come un'introduzione al Talmud. Holtz, infatti, analizza la vita di Rabbi Akiva con una metodologia che riflette i procedimenti che si trovano in quell'opera. Così, leggendo queste pagine potremo apprendere due cose: chi fosse Akiva e quanto importante sia ancora oggi la tradizione che ce ne ha tramandato le idee; e in che termini e con quale logica si affrontano i problemi nel Talmud.
Nessuna città sulla terra ha conservato il suo passato come Roma. Dopo due millenni e mezzo di inondazioni, terremoti, incendi, pestilenze, assedi e pianificazioni urbane, sono giunti sino a noi inestimabili tesori sopravvissuti alle alterne fortune della Storia. Nei Musei Capitolini è ancora possibile osservare le fondamenta del Tempio di Giove Ottimo Massimo, che dominava il profilo della città quando Brenno e i suoi galli la attaccarono nel 387 a.C.; è ancora visibile la maggior parte di quelle Mura Aureliane che non riuscirono a tenere lontani Alarico e i suoi visigoti nel 410; si può attraversare Ponte Cestio presso l'Isola Tiberina, costruito all'epoca di Cicerone, quando la Repubblica romana lottava per la sopravvivenza. E ancora, si possono osservare i templi classici, i resti delle grandi terme cittadine - quelle di Caracalla, di Diocleziano e di Traiano - oltre alle rovine del Palazzo di Domiziano sul Palatino, al Mausoleo di Augusto e alla sua stupenda Ara Pacis. E naturalmente sopravvive il tempio pagano più grande di tutti: il Pantheon, non molto diverso da quando fu costruito quasi diciannove secoli fa. L'elenco delle meraviglie romane potrebbe essere infinito - Castel Sant'Angelo, le facciate rinascimentali e barocche, la Cappella Sistina, i grandi parchi, e naturalmente San Pietro e la sua piazza, circondata dall'ampio colonnato di Bernini - e ancora oggi turisti, pellegrini e cittadini di Roma possono esplorare e visitare i luoghi eretti dagli imperatori romani ed entrare in chiese in poco o nulla cambiate da quando i papi vi celebravano la messa sedici secoli fa. Tutte queste meraviglie architettoniche sono ancora più notevoli considerando i numerosi disastri che hanno colpito la città. Roma è stata flagellata da terremoti, inondazioni e soprattutto è stata ripetutamente devastata dagli eserciti itineranti: galli, visigoti, normanni, mercenari al soldo del Sacro Romano Impero, «liberatori» francesi e occupanti tedeschi. Matthew Kneale, storico inglese che da quindici anni vive con la famiglia nella Città eterna, ha scelto di raccontare le storie dietro i sette più importanti assedi di Roma e rivela, con affascinanti intuizioni, come hanno trasformato la città - e non sempre in peggio. Usando questo approccio completamente nuovo al passato, Roma ci apparirà svelata in una prospettiva rinnovata: una realtà complessa e stratificata, un vero e proprio museo a cielo aperto in cui le contraddizioni e le storture del presente sembrano quasi eclissarsi a paragone delle avversità che la città, e i suoi abitanti, hanno dovuto fronteggiare nel corso dei millenni. Ricostruzione felicemente misurata a metà tra appassionato diario di viaggio, divertita storia sociale e resoconto culturale, "Storia di Roma in sette saccheggi" è una celebrazione del feroce coraggio, brio e vitalità del popolo romano. Soprattutto, è una lettera d'amore appassionata per questa città unica al mondo.
John Bargh è probabilmente il principale esperto mondiale della mente inconscia. In questo libro mette per la prima volta in pagina il risultato delle sue ricerche più che trentennali, regalandoci una nuova e rivoluzionaria comprensione dei meccanismi mentali nascosti che governano segretamente ogni aspetto del nostro comportamento. Ricco di aneddoti e di racconti esilaranti, "A tua insaputa" trasmette un entusiasmo contagioso. Vi sono descritte le grandi scoperte compiute nei laboratori della New York University e di Yale, dove Bargh e i suoi colleghi hanno cercato di comprendere in che modo l'inconscio - a nostra insaputa - guida i nostri fini e i nostri comportamenti nei contesti più diversi, dalle relazioni sociali alla genitorialità, dagli affari economici ai gusti personali. Noi ci illudiamo di essere pienamente al comando delle nostre vite, ma scopriamo che il più delle volte non è così e questo libro ve lo dimostrerà in modo chiaro e ineludibile. Dai moltissimi e ingegnosi esperimenti che gli psicologi sociali hanno compiuto negli ultimi anni risulta evidente che l'inconscio ci guida di nascosto nei campi più disparati: ci indica chi amare, come votare, cosa comprare e persino in quale città vivere, oltre a molto altro. Dal momento che siamo inconsapevoli dei meccanismi che lo governano, l'inconscio fornisce anche spunti narrativi irresistibili e sorprendenti, che Bargh sfrutta in queste pagine con grande gusto. Ma non si tratta di arrendersi alle manovre di un oscuro «burattinaio» della mente. Essere consapevoli dei meccanismi del pensiero inconscio ci consente infatti anche di operare dei trucchi e di attuare delle strategie efficaci, in grado di migliorarci la vita, per cui la lettura di questo libro potrebbe letteralmente cambiare la vostra esistenza. C'è un intero mondo sotto la superficie della nostra consapevolezza. Le scoperte più recenti indicano che proprio lì si trova la chiave per conoscere se stessi e per inventare nuovi modi di pensare, sentire e comportarsi. Vale certo la pena addentrarsi nei meandri della mente per esplorare parti di noi che non sapevamo neppure di avere.
Traduzione di Giuliana Olivero
Millenarismi, profezie, utopie, speranze e apprensioni: oggi nell’aria c’è una sensazione condivisa di precarietà. Il mondo sembra trovarsi in un momento di svolta senza precedenti, alle soglie di un grande e radicale cambiamento. La vita alla quale eravamo abituati sbiadisce ormai nel passato e non è destinata a tornare, mentre il mondo di domani si annuncia estremamente diverso da quello che conosciamo. I nostri nipoti e pronipoti si troveranno con ogni probabilità a vivere in un contesto così differente dal nostro che facciamo fatica a immaginarlo. Sembra però scontato che le generazioni future si differenzieranno dalle precedenti in maniera ben più marcata di quanto sia storicamente avvenuto finora.
In effetti anche i nostri nonni sono stati testimoni di enormi cambiamenti: sono nati con le prime automobili e il grammofono, e nella loro vita hanno visto nascere la televisione, l’avvento degli antibiotici, il nucleare, la conquista della Luna, la plastica, Internet, la pillola contraccettiva, l’esplosione demografica e la telefonia mobile; per non citare che poche rivoluzioni. Ma il futuro che verrà, da adesso in poi, appare molto più accelerato di così.
Di cosa saranno testimoni, allora, quelli che verranno dopo di noi? Jim Al-Khalili ha raccolto le voci degli scienziati più autorevoli e ha chiesto loro, a ciascuno per la parte che gli compete, di fare delle stime realistiche. Non è più il tempo dell’ottimismo tecnologico a tutti i costi, per cui in questo volume troverete un paesaggio dipinto a tinte alterne, alcune più ottimiste, altre decisamente meno. Demografia, biosfera, cambiamento climatico, ingegneria genetica, biologia sintetica, intelligenza artificiale, robotica, computazione quantistica e finanche viaggi nel tempo: possiamo aspettarci tutto questo e altro ancora in un futuro che in parte è già a portata di mano e in parte, forse, vedrà la luce tra qualche secolo. Vale comunque la pena di fantasticare un po’ e allenare la mente al futuro, guidati dalle migliori firme della divulgazione scientifica.
Le Alpi non sono mai state una barriera. Al contrario: sono sempre state un luogo di incontro, di commerci e di fusione tra culture diverse. Lo storico tedesco Ralf-Peter Märtin - autore di bestseller in Germania e prematuramente scomparso - racconta in questo libro unico le mille storie della regione alpina nell'antichità, dall'Età del Bronzo al rimescolamento di popoli che caratterizza l'inizio del Medioevo. Tra le molte cose che narra, Le Alpi nel mondo antico ci dice come venivano coltivati i terreni fertili della valle, come le pendici vennero terrazzate a vigneto e come i popoli cominciarono a usare i pascoli per il bestiame. E ci racconta come e perché Ötzi - l'Uomo del Similaun - doveva morire e in che modo iniziò il commercio di rame, di sale e di ferro. Qui troviamo la saga delle battaglie dei cimbri e dei teutoni, l'avventura quasi incredibile degli elefanti di Annibale, il rapporto ambiguo dei romani con la montagna, e la nascita dei ricoveri, dei monasteri e delle rotte commerciali che hanno caratterizzato la penetrazione della cristianizzazione tra le valli alpine alla fine dell'antichità.
Il cervello dei teenager non funziona male. L’adolescenza è un periodo della vita in cui il cervello cambia profondamente: sta a noi comprenderlo, coltivarlo e onorarlo al meglio.
«Un libro coinvolgente e interessante, scritto in modo comprensibile per un pubblico non specialistico. Abbatterà molti miti sull’adolescenza e dopo averlo letto capirete meglio i vostri figli» - The Times
«Finalmente un libro sul cervello degli adolescenti scritto da qualcuno che effettivamente fa scienza! Godibile nella lettura e innovativo» - Laurence Steinberg, autore di Adolescenti. L’età delle opportunità
Lunatici, pigri, inaffidabili. Spesso gli adolescenti vengono descritti ricorrendo a luoghi comuni e con una superficialità preoccupante. Tuttavia, il comportamento scostante tipico dei teenager non è irragionevole e non ha nulla fuori dall’ordinario. Ed è così per un motivo. Correre rischi, provare imbarazzo o passare più tempo con gli amici sono tutti sintomi di una fase importante dello sviluppo cerebrale, sono i segni di un viaggio che deve essere compiuto per poter diventare adulti. Fino a circa vent’anni fa, il lato spiacevole del comportamento adolescenziale veniva attribuito agli ormoni impazziti e ai cambiamenti che i giovani affrontano a scuola e nella vita sociale. Oggi invece sappiamo che il loro cervello va incontro a uno sviluppo sostanziale e che questo contribuisce probabilmente all’insorgere dei comportamenti tipici dell’età adolescenziale. E dunque che cosa accade a livello neurale, dentro il cervello dei ragazzi? Nel corso dell’adolescenza irrompe un processo fondamentale chiamato pruning, «potatura» o «sfoltimento sinaptico», che rinforza certe aree e ne elimina altre; le sinapsi usate in un determinato ambiente vengono conservate, tutte le altre vengono «sfoltite», dando infine forma alla struttura definitiva del cervello adulto. Frutto di un lavoro di ricerca decennale e degli studi pionieristici compiuti in prima persona da Sarah-Jayne Blakemore, Inventare se stessi è la guida fondamentale per comprendere meglio i processi evolutivi del cervello adolescente.
Dalla primavera all'autunno: nella magnificenza delle stagioni più rigogliose Francois Cheng scrive queste sette lettere che mettono in risonanza paesaggi del presente, tradizioni di pensiero orientali e occidentali, ricordi di una giovinezza in Cina, affetti ritrovati. La destinataria è un'amica ricomparsa a distanza di decenni, un'artista che gli confessa di essersi accorta tardi di possedere un'anima, invitandolo a parlarne insieme. Dapprima esitante di fronte alla parola desueta «anima», Cheng risponde all'appello con la stessa grazia con cui in passato si è sporto su altri concetti abissali, come la bellezza e la morte. La «temerarietà» di accostarsi, oggi, a un simile argomento, si rivela una benedizione, per lui, per la sua interlocutrice e per i lettori, perché lascia riaffiorare in ciascuno qualcosa che sembrava perduto da tempo, il «sentimento intimo di un'autentica unicità e di una possibile unità». Agli occhi di Cheng, ancora pieni di meraviglia dopo una lunga esistenza, null'altro è l'anima se non il «segno indelebile» di quell'unicità incarnata, che sfugge al rigido dualismo corpo-mente e partecipa dell'universo vivente. Nel suo procedere a lieve arabesco, la scrittura indugia su taoismo e patristica, buddhismo e Simone Weil, ma si concede anche gli abbandoni della memoria: tutto - dottrine, filosofie e sprazzi di storia personale - converge verso l'anima, inesauribile aspirazione alla vita.