Il fantastico, inteso come genere, o "modo", caratteristico della narrativa occidentale a partire dalla fine del XVIII secolo, è stato negli ultimi decenni oggetto di numerosi studi, analisi, inquadramenti teorici, precisazioni classificatori e da parte della critica letteraria. Manca invece, in relazione al teatro moderno (sia al livello dei testi che degli allestimenti scenici), un'attenzione critica strutturata nei confronti della componente fantastica, che solo di recente ha cominciato a essere oggetto di qualche specifico interesse da parte di alcuni studiosi, prevalentemente in ambito francese e spagnolo. Questo volume intende mettere in luce, attraverso l'analisi dell'opera di drammaturghi, registi, musicisti di vari paesi europei, le diverse anime del moderno fantastico teatrale, che offre, rispetto al fantastico letterario, un panorama più complesso e variegato soprattutto in ragione della sua destinazione spettacolare. Così, da una parte il teatro tra la fine del Settecento e il primo Novecento concede un'ospitalità maggiore di quanto non faccia la narrativa per adulti alla presenza del meraviglioso, declinata sul piano dei contenuti (mitologici o fiabeschi) quanto su quello della messa in scena (spesso propensa a perpetuare gli effetti barocchi di meraviglia attraverso l'uso di macchine e trucchi ottici); dall'altra accoglie, in modo ora sottilmente inquietante ora più esplicito, quella componente "negativa", demoniaca e tenebrosa, perturbante e trasgressiva...
Le lettere di Giuseppe Tiberii, inviate nell'arco di oltre vent'anni (1770-1791) a Giuseppe Pelli Bencivenni, e pubblicate qui per la prima volta, sono divenute il punto di partenza per un'indagine su aspetti e figure della cultura del settecento, relativa prevalentemente alle aree di appartenenza dei personaggi, Vasto e il Regno di Napoli per quanto concerne il Tiberii, Firenze e il Granducato di Toscana per quel che riguarda il Pelli Bencivenni. I due intellettuali, Tiberii legato al mondo dell'Arcadia, ma attento alle nuove proposte culturali, Pelli Bencivenni attratto e inserito nelle dinamiche del movimento riformista illuministico, sono espressione del clima erudito, dell'amore per le antichità e per l'arte, della moderazione con la quale si configurò l'illuminismo italiano. L'analisi dei personaggi, (i cui profili arricchiscono la lettura di un'epoca tra le più importanti, il dinamismo di quella "repubblica delle lettere" basilare per il nuovo corso, per la concezione moderna della nostra cultura), rende questo spaccato storico-letterario di grande interesse.
Il volume cerca di ripercorrere, attraverso uno spoglio dei documenti, la complessa vicenda dei soggiorni fiorentini di Giovanni Verga e di far luce sul ruolo che la città toscana svolse nel processo formativo del giovane Catanese, dal suo primo viaggio, verosimilmente del '65, a quello del '79: un arco di tempo in cui lo scrittore prese le distanze dalle problematiche romantico-risorgimentali dei suoi esordi e si accostò con graduale consapevolezza alle argomentazioni veriste e post-unitarie. Il libro propone dunque, per la prima volta, una rigorosa ricognizione di quanto ha preceduto ed accompagnato le scelte di Verga, la sua militanza nei "salotti" culturali, gli incontri con i giornali e i giornalisti, le frequentazioni teatrali, il circuito dei libri e degli autori e, insomma, il perimetro di quegli ambienti e di quelle sollecitazioni umane e intellettuali che lo aprirono ai temi della modernità e alla scrittura delle sue opere maggiori.
A sollecitare questo libro è stato Agostino Lombardo, a cui lo portai in dono il giorno del suo compleanno dell’anno passato. Lo accolse con generoso entusiasmo; era grato agli allievi che aggiungevano ‘perle’ alla piccola collana, che aveva fondato e adorava.Lesse con prontezza e pochi giorno dopo commentò con ironica indulgenza: “Non c’è una nota, nel tuo testo. Sei sempre di più una scrittrice...” Intendeva, libera da convenzioni accademiche? O indolente? O pigra?Non lo chiarì. Però, non mi chiese di aggiungere né note, né bibliografia. E io - a distanza ormai di più di un anno da allora, un anno che ha visto la sua scomparsa - non l’ho fatto. Non per volontà programmatica di distinguere così una posizione critica, né per ozio, ma semplicemente perché credo che Shakespeare si legge con Shakespeare. Me l’ha insegnato per l’appunto lui, Agostino Lombardo.Vale anche il contrario: ogni lettura toma utile se affina l’orecchio e accresce l’attenzione... E allora dovrei ricordarne troppe, le più varie, le più diverse. E poi, in quale prudenza bibliografica potrebbe mai confidare chi legge Shakespeare, sulla cui opera saggi critici, libri nascono ogni istante? Tanto vale dichiararsi da subito impotenti a ricordare.
Il potere costituisce uno dei temi maggiormente trattati e capaci di attirare l'interesse di prospettive disciplinari diverse. Filosofia, storia del pensiero politico, sociologia, diritto, psicologia hanno offerto nei secoli contributi che hanno consentito di indagare la molteplicità degli aspetti chiamati in causa da una nozione che risulta connaturata al processo di stratificazione sociale e alle relazioni che si stabiliscono tra i soggetti. Arte e letteratura ne hanno fatto un motivo ispiratore, che ha permesso di sondare le profondità dell'animo umano. Le società contemporanee, dominate dalla presunta neutralità della tecnica, sembrano aver accantonato il tema del potere, se non per recuperarne la sua dimensione latente, data dall'enorme capacità di controllo che i mezzi tecnologici mettono a disposizione. Il potere si de-istituzionalizza, frammentandosi in forme meno evidenti e per questo più pervasive. Nella sua multidimensionalità, il potere sfugge a una trattazione univoca e a ogni tentativo di individuare una definizione che possa coprire da sola la varietà delle sue forme. Tante sono le sfumature semantiche che esso assume nella sua capacità di adattamento ai diversi contesti e che il volume cerca di analizzare a partire dall'opera di autori classici e contemporanei, nel tentativo di delineare un percorso che mira a privilegiare la dimensione relazionale del potere.