Una vicenda criminale che non smette di porre interrogativi inquietanti e le cui propaggini arrivano fino ad oggi, come svelato dall'inchiesta Mafia Capitale sulla nuova cupola capeggiata da Massimo Carminati. È la storia della banda della Magliana, un gruppo nato alla fine degli anni Settanta e composto agli inizi da malavitosi di borgata, figli maledetti del popolo e della miseria ma scaltri abbastanza per mettersi al servizio di poteri occulti, della mafia e delle frange eversive che miravano a destabilizzare il Paese. Scritto con il ritmo narrativo del romanzo e con una rigorosa aderenza ai fatti, Mai ci fu pietà ripercorre le tappe di un sodalizio che ancora ai nostri giorni occupa un posto di rilievo nell'olimpo della malavita imprenditoriale. Angela Camuso, che ha attinto per il suo lavoro a centinaia di documenti giudiziari, compresi quelli di Mafia Capitale, fa parlare i protagonisti senza omettere nomi, luoghi e circostanze in una sequenza agghiacciante di delitti e misteri: dall'omicidio del giornalista Mino Pecorelli al sequestro Moro, dal rapimento di Emanuela Orlandi alla misteriosa morte, nel 2012, di Angelo Angelotti, il bandito che tradì Renatino De Pedis.
Luigi Russo, in occasione della commemorazione di Antonio Gramsci a dieci anni dalla sua scomparsa, lamentava come la sua generazione fosse stata tormentata e mutilata quale altra mai. «Falcidiata dalla prima guerra mondiale e poi resa più sottile o captata e svuotata dalla corruzione di un regime dispotico, o vessata e stroncata e dispersa dalle carceri, dall'esilio, dalle malattie e dalle morti; sicché la sorte di essa, assai grave, pesa non soltanto su di noi che ne fummo per ragioni cronologiche partecipi, ma su tutta la vita intellettuale e politica del paese». Si riferiva a Giovanni Amendola, Piero Gobetti, Carlo e Nello Rosselli, Giacomo Matteotti, lo stesso Gramsci, ma anche ai tanti meno noti che dettero un contributo eroico, sacrifico, accomunati dalla stessa battaglia antifascista. Rappresentarono un discorso che poi riaffiorò come un fiume carsico confluendo nel dialogo interpartitico della Costituente. Furono i maestri e i compagni di coloro che poi cooperarono alla Carta costituzionale. Ricordare il loro contributo morale non significa solo comprendere meglio il "Preludio alla Costituente", ma anche arricchire le generazioni successive. Prefazione di Valdo Spini. Postfazione di Giuliano Amato.
Acqua gelata sulle speranze riaccese negli iraniani dall’accordo sul nucleare del 2015: questo si rivela subito l’arrivo di Trump alla Casa Bianca. E la sua nuova politica verso l’Iran sembra voler riaprire quella stagione di ostili contrapposizioni che si pensava archiviata: «Trump sembrava Ahmadinejad e Rohani sembrava Obama», è il commento che dilaga su Twitter dopo i discorsi dei due presidenti in carica all’Assemblea generale dell’Onu del settembre 2017. Da quella data, e dai riti luttuosi dell’Ashura di pochi giorni dopo, parte il libro di Luciana Borsatti per raccontare il nuovo clima, raccogliendo tra gli iraniani voci e punti di vista diversi. Ma L’Iran al tempo di Trump racconta anche la vita e gli umori di una società in costante trasformazione – dalle donne come potente motore di cambiamento alla percezione interna del ruolo di Teheran nella guerra in Siria – cercando di allargare il campo rispetto alle strettoie in cui è imprigionata la rappresentazione di un Paese che poco si presta alle semplificazioni.
Scritto tra l'agosto 1937 e il febbraio 1943, il "Diario" di Galeazzo Ciano "una fonte memorialistica di primaria importanza" nelle parole dello storico Renzo De Felice - è un documento prezioso per la comprensione dell'ultima fase del regime mussoliniano: il periodo fatale che va dall'incubazione del secondo conflitto mondiale ai mesi che precedono la caduta del fascismo. L'esistenza del diario è nota ai collaboratori più stretti di Ciano dalla fine degli anni Trenta, ai quali il ministro degli Esteri confida di volerlo pubblicare a guerra finita, allo scopo di riabilitarsi politicamente dinanzi alle potenze alleate. A partire dall'estate del 1943, la "caccia" alle agende manoscritte del genero del Duce da parte dei servizi d'intelligence tedeschi e americani è al centro di un'avvincente spy story in bianco e nero. Una vicenda di tradimenti, colpi bassi, giochi doppi e tripli che Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino ricostruiscono in modo nuovo nel loro saggio introduttivo. Grazie soprattutto al ritrovamento di vari fascicoli dell'Office of Strategie Services (Oss) e dello Special Counter Intelligence (Sci), carte degli anni Quaranta da poco desecretate negli Stati Uniti d'America e in gran parte inedite in Italia.
Trecentomila. Si calcola che sia questo il numero delle vittime di un traffico di bambini durato quarant'anni. Trentamila i casi accertati solo tra il 1939 e il 1945. Un vero e proprio "furto" di massa che ha riguardato la Spagna franchista e che per la prima volta viene raccontato in un libro da una delle più celebri firme del giornalismo italiano. Tutto è partito da una donna, Mar Soriano, che con tenacia e pazienza ha iniziato a metà degli anni Novanta la sua battaglia per rintracciare la sorella Beatriz, nata a Madrid nella clinica O'Donnell il 3 gennaio 1964. Il ginecologo, il dottor Ignacio Villa Elizaga, disse ai genitori che la neonata era morta per una improvvisa otite e che avrebbe provveduto la clinica a farla seppellire nel cimitero di Almuneda. Alla mamma e al papà venne impedito di vedere il cadavere della figlia "per evitare inutili traumi". Ma nel registro di quel cimitero non c'era alcuna traccia di Beatriz. Quello fu l'inizio di una drammatica scoperta, anni di indagini hanno accertato che i bambini venivano "affidati" ad altre famiglie, in cambio di soldi o favori da ripagare per il sostegno dato al generalissimo durante il colpo di Stato. Ostetriche e medici venivano pagati per mentire, spesso con la connivenza e complicità di suore e religiosi che agivano "in nome di Dio e della Patria". Piero Badaloni ha lavorato per anni a fianco di Mar Soriano, seguendo gli sviluppi della sua storia e quella di un'intera nazione...
Il 2 febbraio 1943, con la resa della Sesta armata del maresciallo Friedrich Paulus termina la battaglia di Stalingrado, uno dei momenti più significativi della Seconda Guerra Mondiale. Viktor Nekrasov, come molti civili, combatté in prima persona nelle trincee e pochi anni dopo pubblicò questo romanzo, ancora oggi comunemente considerato una delle migliori opere della letteratura sovietica di guerra. Narrato in prima persona dal luogotenente Kerèncev (che in tempo di pace era un giovane ingegnere), il racconto ripercorre quei momenti drammatici, dall'annuncio dell'arrivo dei tedeschi ai combattimenti durissimi all'ultimo sangue che metteranno alla prova la natura umana dei vari personaggi, fino agli esiti finali in cui la resistenza eroica di un intero popolo obbligherà alla resa il nemico cambiando così le sorti di tutta l'Europa. Nekrasov è stato cittadino e soldato, e come tale si è immedesimato nella condizione degli infiniti e quasi anonimi eroi, con galloni e senza, che si sono trovati a fare la Storia sotto le mura di Stalingrado. Rifiutando ogni retorica e con una narrazione sincera e priva di enfasi celebrativa, gli umili protagonisti di questo romanzo pongono quesiti etici validi ancora oggi: ci si può fidare di un compagno sconosciuto? Qual è il vero eroismo: quello di chi si cela dietro le frasi altisonanti ma nel momento del bisogno tradisce la sua mancanza di umanità o quello di chi non sa usare le belle parole ma è capace di sacrificare la propria vita per il bene comune?