Questo saggio è un estratto dal capolavoro spirituale di Dietrich von Hildebrand, Trasformazione in Cristo, che il filosofo scrisse durante la sua eroica lotta contro i nazisti e che è spesso paragonato a L'imitazione di Cristo da coloro che ne hanno apprezzato la straordinaria saggezza spirituale. In esso von Hildebrand mostra perché per rispondere alla chiamata di Dio con la santità dobbiamo essere trasformati in Cristo, e spiega le virtù a cui occorre tendere per realizzare questa trasformazione. Tra le diverse virtù richiamate da von Hildebrand - contrizione, fame di giustizia, fiducia, mitezza, misericordia, ecc. - l'umiltà ha certo un posto essenziale. Smascherando l'ipocrisia di stampo nietzschiano, che fa dell'umiltà un atteggiamento servile e rassegnato, inadatto a chi vuole imporre i propri diritti e affermare la propria volontà, von Hildebrand mostra, al contrario, come l'umiltà sia una struttura fondante della dignità dell'uomo, premessa di ogni cammino spirituale e presupposto di ogni vera libertà. Non coltivare la vera umiltà espone - come sottolinea Pierangelo Sequeri nella Prefazione - alle insidie dell'orgoglio e soprattutto al proliferare dell'alterigia, perversione capace di minare ogni legame sociale e ogni autentica compassione umana.
Quale importanza può avere oggi la preghiera? L'uomo del secondo millennio, padrone del proprio tempo, e ormai in grado di gestire la natura attraverso la tecnologia e la storia attraverso la pianificazione politica, ha ancora bisogno di pregare? Quale sarebbe il senso di tale preghiera se non l'espressione di un desiderio destinato alla frustrazione o di una richiesta di aiuto alienante e pericolosamente tendente a una deresponsabilizzazione? Questi interrogativi possono essere riassunti in un'ultima radicale questione: colui che prega aggiunge o toglie elementi essenziali alla definizione dell'idea di persona? Partendo da una prospettiva antropologica e filosofica, il presente saggio risponde a questa domanda sostenendo che l'uomo è un essere orante non per scelta, ma per natura. La sua preghiera non è frutto di un desiderio soggettivo, bensì è iscritta nel suo squilibrio ontologico che lo rende consapevole della sua finitezza e dei suoi limiti, ma al contempo lo informa delle sue aspirazioni. Questa tesi è argomentata a partire dalla preghiera di richiesta e da quella di ringraziamento, due tra le forme più comuni e significative di preghiera, già al centro delle critiche filosofiche. Lo spostamento di attenzione dalla preghiera intesa come oggetto all'atto orante colto nel suo dinamismo, permette di cogliere il nesso con altre dimensioni umane, quali la libertà, il tempo, la conoscenza e la relazionalità.