Se l'italiano non sta bene - come ci dicono da tempo le valutazioni nazionali e internazionali - non è per gli anglismi, né per la presunta morte del congiuntivo, né per gli errori di ortografia. Il problema è un altro, ed è più profondo. Sta, soprattutto, nella difficoltà degli scriventi a controllare la logica dei loro testi e i dispositivi che la segnalano: pronomi, connettivi, ordine delle parole ecc. Il volume si occupa proprio di "testo", di mostrare e spiegare quei fenomeni semantici, lessicali, sintattici e interpuntivi che, insieme, fanno di una sequenza di frasi un testo coerente e coeso. Un testo ben scritto ha una vera e propria architettura, la quale è in sintonia con i suoi obiettivi comunicativi, con la tipologia a cui appartiene, con altri testi con cui dialoga, con il contesto in cui si manifesta, con le conoscenze e le aspettative del lettore. Saperla riconoscere e descrivere è importante per molte ragioni, teoriche e applicate: per esempio perché permette di guardare alla grammatica della frase in modo diverso, non strutturale ma funzionale; o ancora perché aiuta a controllare e a migliorare la propria scrittura. E questo non solo per quanto riguarda l'italiano, ma anche per ciò che concerne le altre lingue.
Il volume raccoglie gli atti del convegno svoltosi nell'ottobre 2020 a Omegna, città natale di Gianni Rodari, per ricordare lo scrittore nel centenario della nascita. Nelle pagine del libro viene messa in rilievo l'essenza profonda del lavoro di Rodari, che consiste nel porre al centro dell'attenzione la parola, per sperimentare tutta la gamma dei suoi usi. La parola è la chiave per accedere alla libertà e dunque alla democrazia: «Tutti gli usi della parola a tutti [...] Non perché tutti siano artisti, ma perché nessuno sia schiavo». Lavorando con le parole lo scrittore traccia anche la strada per la creazione fantastica. Il linguaggio e la fantasia sono infatti strettamente legati mediante il gioco linguistico. «Una parola può generare una storia perché mette in movimento tratti della nostra esperienza, del nostro vocabolario, del nostro inconscio. Mette in movimento le nostre idee, la nostra ideologia». Ecco allora che il gioco con le parole, con i loro suoni, sensi e significati, permette di sfruttare le numerose potenzialità della lingua, di usarla in modo libero e "trasgressivo" infrangendone l'uso solito e, "trasgredendo", consente di dar vita all'invenzione di storie o filastrocche. Testi creativi che lo hanno reso noto in tutto il mondo e che consentono agli insegnanti di mettersi alla prova con i propri allievi per sperimentare gli arnesi e le tecniche usati dallo scrittore. E, nel contempo, di impadronirsi meglio di tutti gli usi della lingua.
Scoprire significa vedere qualcosa che c'è ma che fino a quel momento non si vedeva. Associamo di solito questa parola alle grandi conquiste di conoscenza compiute dall'umanità: il fuoco, l'America, la gravità. Se ci pensiamo un momento, arrivare a comprendere e a usare la propria lingua materna e poi a riflettere su di essa fino a svelare i segreti dei complessi meccanismi che la regolano, non è altro che una straordinaria scoperta. Un viaggio affascinante che ci coinvolge e ci attrae fin da bambini, ma che ha bisogno di guide che scelgano le tappe del cammino adatte alle forze del gruppo, che aiutino a trovare le soluzioni di fronte agli ostacoli, che siano consapevoli della potenza dello strumento linguistico e riescano a trasmettere l'entusiasmo della ricerca. In questo manualetto di linguistica italiana la materia è stata scelta e proposta tenendo conto dei bisogni degli insegnanti di scuola dell'infanzia e primaria, in modo che i futuri insegnanti sappiano aprire varchi, illuminare passaggi oscuri, stimolare i propri allievi allo smontaggio e riassemblaggio dei pezzi che compongono la lingua, facendo così emergere in superficie tutto quello che i bambini sanno e sanno fare senza averne consapevolezza.
Il volume raccoglie cinque saggi su quella varietà di scritto che qualche anno fa Giuseppe Antonelli, autore della messa a punto che fa da apertura al volume, ha denominato e-taliano; seguono quattro contributi dedicati rispettivamente alle risorse digitali nell'insegnamento dell'italiano (Stefano Telve), alla tipologia delle scritture spontanee di scriventi non professionisti (Giuliana Fiorentino), alla scrittura burocratica che cerca sul web quella chiarezza che non è stata raggiunta in oltre vent'anni anni di interventi legislativi (Sergio Lubello) e alle produzioni dei nuovi semicolti (Rita Fresu).
Il linguaggio giovanile è una varietà di lingua impiegata, in maniera più o meno costante, da adolescenti e postadolescenti in situazioni di comunicazione (orale, scritta, mediata dal computer) tra coetanei. Ma i giovani impiegano anche la lingua comune, spesso in via di formazione, nel contatto con i famigliari, con gli adulti, con gli estranei al gruppo dei pari. Non sempre, quindi, la "lingua dei giovani" si esaurisce nell'uso di "linguaggi giovanili", cui va peraltro stretta la definizione di gergo propriamente detto (nonostante la presenza di elementi gergali) perché l'intento di segretezza è minoritario rispetto a quello ludico e identitario, e anche di crescita e consolidamento linguistico. Alla definizione e allo studio dei diversi aspetti dei linguaggi giovanili e al loro apporto alla lingua quotidiana si sono dedicati, dai primi anni Ottanta, sociolinguisti, storici della lingua italiana, sociologi e pedagogisti. In questo volume l'autore raccoglie i suoi scritti, spesso pionieristici, pubblicati sull'argomento nell'arco di un trentennio, aggiungendovi tre saggi sulla formazione linguistica di giovani in ambiente scolastico. Alcuni, e specialmente i più lontani nel tempo, sono studi di carattere definitorio, con particolare attenzione alla collocazione di LG tra le varietà del repertorio linguistico italiano; altri riguardano ricerche dirette sul campo con questionario.
Magris scopre Trieste, la sua città natia, solo durante gli anni di studio a Torino; è stata proprio quell'assenza dei luoghi che avevano marcato la sua infanzia, a generare in lui un vago senso di nostalgia che ha proiettato il suo sguardo verso un altrove imprecisabile. Come afferma lo stesso autore in "Utopia e disincanto", senza l'esperienza della frontiera non sarebbero nati molti dei suoi libri. Questo studio si propone di analizzare non solo il concetto di frontiera in uno dei maggiori esponenti della letteratura triestina contemporanea, ma anche le modalità con cui si manifesta e i costituenti sistemici che l'esperienza della frontiera irrora ed irraggia nel testo. A questa concreta realtà di frontiera si ricollegano un più generale senso di mancanza di confini e il conseguente desiderio di circoscrizioni chiare. "Danubio" è retto proprio dalla tensione tra l'urgenza dell'autocircoscrizione, dell'individualità, da un lato, e il desiderio di trascendere i limiti del proprio Io dall'altro. Alla "frontiera" di Magris la critica ha già dato ampio rilievo, soffermandosi soprattutto sull'esperienza delle frontiere triestine nel corso dei decenni; questo studio vuole invece riflettere particolarmente sulle implicazioni semantiche che ne derivano.