Porcario, che fu abate del monastero provenzale di Lérins nel V-VI secolo, è una figura solo apparentemente minore nel quadro dell'ascesi più antica. A capo di uno dei più attivi cenobi dell'occidente, lasciò alcuni scritti di istruzione per i monaci, fra cui una Regula che venne ripresa e valorizzata nell'epoca successiva. Ma l'importanza di Porcario sarebbe ancora maggiore se fosse confermata l'attribuzione a lui della celebre Admonitio ad filium spiritualem, uno scritto destinato a una vasta circolazione e un notevole influsso nella storia della spiritualità medievale. Il volume presenta l'autore, le sue opere e la loro diffusione, e discute su nuove basi l'enigmatica questione della paternità dell'Admonitio. Prefazione di Paolo Chiesa.
Due millenni di cristianesimo non sono bastati per fare emergere pienamente il significato della rivelazione che «Dio è amore». In questo volume collettivo, un gruppo di giovani filosofi e teologi si interroga su questo significato e sull’apporto della spiritualità carmelitana nelle sue figure, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux ed Edith Stein, alla teologia dell’amore contemporanea con la speranza di contribuire a una Weltanschauung cristiana.
Cosma Indicopleuste fu un mercante egiziano, originario di Alessandria d'Egitto, vissuto a cavallo tra V e VI secolo, la cui biografia rimane ancora piuttosto ambigua e di difficile identificazione. La sua unica opera giunta a noi è la Topografia Cristiana, della quale qui si offre la prima traduzione in lingua italiana. Nei primi cinque libri la Topografia Cristiana affronta la polemica contro coloro che tra i cristiani ritenevano che il cielo fosse sferico e dichiara l'incompatibilità di questa concezione con la fede cristiana. Successivamente, trattando di geografia, l'autore offre diverse informazioni sui propri viaggi. Le parti successive, invece, risultano essere aggiunte posteriori e trattano di argomenti più disparati ed eterogenei, quali ad esempio i movimenti e la grandezza delle stelle, un commento al Cantico di Ezechia o ancora una descrizione e rappresentazione degli animali e delle piante dell'India.
Quante promesse fa Dio al suo popolo, e quante ne fa Gesù a chi incontra sul suo cammino? Innumerevoli. E una sola! Nei Vangeli la parola “promessa” non appare neppure, così come non appare nell’Antico Testamento. Dio semplicemente parla, non ha bisogno di promettere, “dice”, e la sua parola è profezia che si attua, certezza, dono gratuito. Perché ogni volta che Dio promette si “compromette”, pronto a pagare di persona perché quanto dice si realizzi, a cominciare dalla promessa pronunciata sulla croce a un brigante qualsiasi: “Sarai con me in paradiso”.
Da una prospettiva psicologica e spirituale insieme, i momenti chiave dell'innamoramento - fascinazione, passione, splendore e fatica -, validi sia per l'amore di coppia che per quello consacrato, con la proposta di un percorso attraverso cui acquisire consapevolezza delle dinamiche da essi generate.
Le Omelie contro i pauliciani del monaco Pietro Siculo, redatte negli ultimi decenni del IX secolo, rappresentano gli unici testi superstiti di un progetto originale composto da sei testi. Desideroso di mettere in guardia i propri lettori dalla diffusione nei territori dell'Impero d'Oriente dell'eresia cristianodualista dei pauliciani, considerati eredi degli antichi manichei, l'autore offre un'attenta disamina di tre capisaldi della loro dottrina: il dualismo radicale, il rigetto della verginità di Maria e del suo ruolo di Madre di Dio, la negazione dell'eucaristia. Basandosi sull'analisi di alcuni passi scelti tratti dalle Scritture, attingendo alla tradizione antiereticale cristiana dei primi secoli e alla riflessione patristica d'argomento antimanicheo, Pietro Siculo, con uno stile sobrio e tuttavia ricercato, si impegna a confutare i più controversi assunti teologico-dottrinali dei propri avversari offrendo strumenti utili per controbatterne gli insegnamenti.
Dal grido di dolore proviene l'istanza di un nuovo modo di pensare come la cifra di ciò che nel più profondo piega la carne e lo spirito dell'uomo e muto geme in tutti gli esistenti che popolano la terra. I tre saggi contenuti in questo volume danno voce: all'arte come sentinella che, nel buio della notte, avvista l'appressarsi della luce; alla drammatica invocazione di giustizia, pace e fraternità che sale come "grido dei poveri e della terra"; alla storia di Dio con gli uomini e col creato, che conosce nel grido dell'ora nona del Figlio dell'uomo sulla croce la parola non-parola che pro-voca l'avvento d'un nuovo giorno del vivere e del pensare.
Ci sono parole che feriscono e parole che guariscono. È la tesi della psicoterapia che riconosce alla parola un potere terapeutico importante. Prendere consapevolezza di questa verità è fondamentale per riuscire a conquistare maggiore consapevolezza di sè e delle possibilità di superare con leproprie forze piccole e grandi difficoltà della vita quotidiana. È l’argomento al centro del saggio di Pasquale Ionata: Diventa ciò che sei, il potere curativo delle parole di prossima uscita per i tipi di Città Nuova.
Anticipiamo la presentazione che ne fa l’autore nella introduzione.
«La psicoterapia è l’argomento principale di questo libro, un libro alla portata di chiunque, all’insegna della semplicità ma anche della profondità, in apparenza leggero ma non privo di saggezza, che tende a esaltare il buon senso. In estrema sintesi, lo scopo del libro è quello di accompagnare il lettore a focalizzare meglio, attraverso l’uso delle parole, alcuni aspetti esistenziali che dopo anni di pratica psicoterapeutica ho sperimentato essere molto importanti nella nostra quotidianità: capire il senso e il significato della vita nei suoi aspetti più diversi; cogliere la molteplicità esistenziale della dimensione dell’amore; acquisire una capacità di immaginazione improntata all’ottimismo; sottolineare l’importanza igienico-mentale del rapporto con gli altri. Tali aspetti esistenziali saranno trattati nei quattro capitoli, dedicati rispettivamente alla vita, all’amore, all’immaginazione e agli altri.
Nello sviluppo del libro si è scelto di presentare numerose metafore terapeutiche, con l’intenzione di suscitare nel lettore un momento di riflessione, un’occasione per sviluppare un atteggiamento positivo e ottimistico nei confronti di sé, degli altri e del mondo. Le metafore sono l’essenza del pensare: possiamo pensare alla vita come a un “giardino di rose”, al lavoro come a una “guerra”, al nostro tempo libero come a una “tavola riccamente imbandita”; uno dei miei pazienti, parlando di sé, disse di sentirsi “tra l’incudine e il martello”. Quale che sia la metafora, essa emerge nelle parole e nelle espressioni che usiamo e influenza la nostra e l’altrui esperienza. Le metafore pervadono la nostra vita. Sono il simbolo di ciò che pensa la nostra mente inconscia. Quando non prestiamo ascolto, il nostro inconscio aumenta l’intensità dei segnali fino al punto di far materializzare il messaggio sotto forma di sintomi fisici o malattie.
I nostri sogni sono metafore, uno dei mezzi di cui dispone l’inconscio per comunicare con noi. Le nostre parole sono metafore: talvolta racchiudono il messaggio che volevamo trasmettere, altre volte comunicano ciò che davvero pensiamo e che avremmo preferito non comunicare. Più sapremo dare ascolto alle metafore che pervadono la nostra vita, più potremo attingere al potere della mente inconscia. Tra le diverse metafore terapeutiche provenienti dalle più varie culture, in queste pagine saranno citate soprattutto quelle di un maestro sufi: il mullah turco Nasreddin, molto famoso nel mondo musulmano e non solo.
Nasreddin visse nel XIII secolo a Konja, in Turchia, e le storielle che lo vedono protagonista si diffusero rapidamente in tutta Europa e in Medioriente. Sono storielle piene di arguzie e facezie, oltre che impregnate di quel sano stile autoironico tanto necessario in un contesto particolare come quello della psicoterapia. Per me, sono l’occasione di rendere un doveroso omaggio alla cultura islamica, perché, come ricorda lo psicoterapeuta iraniano naturalizzato tedesco Nossrat Peseschkian, è ormai storicamente accertato che si deve ad un medico persiano sciita di nome Rhazi (850-953 d.C.) il primo uso documentato del termine El Ilaj Ennafsani, che significa appunto “psicoterapia”.
Viveva a Bukhara un emiro che non si muoveva più dalla sua sedia, bloccato a causa di una misteriosa malattia articolare che nessun medico riusciva a guarire. All’inizio anche Rhazi fallì, poi, un bel giorno, condusse l’emiro in un luogo sicuro. Qui, dopo aver preparato un cavallo e un mulo per la fuga, minacciò con un coltello l’emiro, insultandolo sempre più pesantemente. A un certo punto, l’uomo cercò di aggredirlo, accecato dall’ira, e si alzò dalla sedia… Rhazi a questo punto fuggì e si allontanò dal regno dell’emiro. Saputo l’accadimento, in città si gridava al miracolo. Ma non era così. Rhazi aveva semplicemente capito che l’emiro non era affetto da malattie organiche che potessero impedirgli di camminare, e facendogli provare un’emozione intensa riuscì a ottenere l’effetto desiderato. […]
La psicoterapia intesa come cura attraverso le parole affonda le sue radici nella notte dei tempi: gli sciamani del neolitico, i sacerdoti-astronomi sumeri, i sacerdoti-maghi egizi che curavano scacciando malocchi e fatture con gli incantesimi e i sortilegi, gli ispirati profeti del popolo d’Israele, i talmudisti, i cabalisti, gli indovini oracolari greci, gli asceti eremiti Padri del deserto… tutti avevano colto il potere trasformante della parola. Anche Platone esalta l’efficacia terapeutica della parola nei suoi Dialoghi. Gorgia dice: «La parola è un potente sovrano, perché con un corpo piccolissimo conduce a opere profondamente divine, infatti essa ha la capacità di cancellare la paura, di infondere la gioia e di intensificare la compassione».
Nel contesto culturale occidentale, per la nascita (anche se non ufficiale) della psicoterapia moderna bisogna aspettare la seconda metà del Settecento, con le teatrali baquets parigine piene di magneti del medico viennese Franz Anton Mesmer (1734-1815) che credeva di guarire utilizzando un fantomatico “fluido vitale” che egli definiva «magnetismo animale», rivelatosi poi inesistente. Il termine stesso di “mito” deriva dal greco mythos, la cui radice my- si riallaccia al significato di “mormorare”, “emettere suoni con la bocca”, “parlare”: mythos in greco equivale, nello stadio più antico, a “discorso”, o meglio ad un “discorrere” con le parole.
«In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» (Gv 1, 1): così si esprime il Vangelo di Giovanni, ma prima ancora, nell’Antico Testamento, Dio crea il cielo e la terra usando la “Parola”: «Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu» (Gen 1, 3). Ricordando un saggio proverbio, «Fa’ in modo che le tue parole siano dolci, nel caso tu dovessi mangiarle», vi auguro di saper cogliere in queste pagine tutte le parole che sentite dolci per potervene così alimentare».
L'opera è indirizzata all'amico Ambrogio e a un meno noto Prototteto, ma coinvolge profondamente l'autore stesso, che aveva avuto esperienze indirette di martirio già in precedenza e considera il martirio un dono prezioso, che consente di seguire Gesù nel modo più compiuto. Nella prima parte espone i motivi per affrontare con serenità la confessione e la morte per la fede e dà consigli per non rinnegare, ma resistere durante la persecuzione (cc. 1-21); propone come modelli i martiri maccabei (cc. 22-27); descrive poi la natura e gli effetti del martirio, e propone ancora consigli e incoraggiamenti per chi deve affrontarlo (cc. 28- 51).
Il volume, dal titolo volutamente provocatorio - Si può vivere senza scienza? - raccoglie i contributi più significativi elaborati nei lavori dell'area di ricerca Sefir e presentati in un convegno avente lo stesso titolo, con la partecipazione di varie decine di scienziati e ricercatori - italiani e internazionali - provenienti da campi disciplinari diversi quali le scienze naturali e umane, la filosofia e la teologia. A tali contributi sono stati aggiunti testi riguardanti alcune riflessioni tematiche frutto del dibattito instaurato nel convegno stesso. In un panorama culturale sempre più sensibile all'interdisciplinarità e alla relazione sinergica tra scienze naturali e teologia si offre al lettore questo testo nella convinzione di poter stimolare e arricchire la propria personale riflessione.