"Ehi - questa è l'America all'inizio del XXI secolo dove perfino la disperazione sfoggia un catalogo patinato e la democrazia è finalmente diventata pubblica."
"Le mie poesie saccheggiano quasi tutto, timori, progetti, congetture e stupori, cercano prove di infedeltà, frammenti di ispirazione. Indifferenti alla sofferenza che descrivono, odiano tutto quello che amo, credono solo nella loro insularità."
È spesso una data, un’ora del giorno, una stagione, a dare l’avvio alle poesie di Philip Schultz, o un oggetto, una strada, una persona. Elementi di per sé insignificanti, fortuiti, ma che accendono la memoria, annullano le distanze, squarciano i veli di rimozione in un abbraccio liberatorio con il tempo. Gran parte della lirica di Schultz sembra scaturire dal bisogno di assecondare i ricordi che lo incalzano e lo assediano scagliandolo in un passato non riconciliato. Dettagli visivi, sensazioni tattili e il dolore ancora lacerante di affetti perduti si compongono alla fine in un insieme dove il passato è ancora vivo, e la lingua è sempre in tumulto e fortemente emotiva. Figlio di emigrati provenienti dai margini dell’impero russo agli inizi del XX secolo, Schultz ripercorre nelle sue poesie momenti e passaggi nodali della sua esperienza biografica: l’infanzia emarginata a Rochester (NY), la precarietà esistenziale degli anni giovanili nel corso della guerra del Vietnam, il senso di stupore e quasi di colpa per il successo inaspettato, giunto in età matura, insieme agli affetti familiari: «Non mi aspettavo di avere una famiglia;/ non mi aspettavo la felicità», confessa in una poesia. Il presente resta comunque «inabitabile» e il futuro «inequivocabile/ nel suo desiderio di sfuggirmi». La felicità appartiene forse ai figli che corrono insieme ai cani lungo l’oceano, «un posto magico», «un regno/ dove andiamo per sentirci umani,/ e essere grati».
La vita scorre all'indietro, per Benjamin Button. In un giorno d'estate del 1860, per un inspiegabile scherzo del destino, lui nasce già vecchio: un uomo dell'apparente età di settant'anni, dentro una culla. E poi comincia a ringiovanire, muovendosi controcorrente rispetto alla storia. Mentre la buona borghesia di Baltimora, a cui appartiene anche suo padre, osserva con un misto di meraviglia, imbarazzo e riprovazione. Età di lettura: da 10 anni.
Il nome di Louisa May Alcott evoca immediatamente l'intramontabile "Piccole donne" e un variegato contorno di bontà, lacrime e commozione. Pochi ricordano, tuttavia, che nel 1863 una giovane Alcott firmò un lungo racconto che traeva ispirazione dalle sue esperienze di infermiera durante la guerra civile americana. Da quel momento il ricordo del conflitto e dei soldati feriti non l'abbandonerà mai, e percorrerà gran parte della sua letteratura, non solo i racconti apertamente bellici, considerati i migliori della sua produzione, ma anche la narrativa apparentemente più melodrammatica e tradizionale. Come si ricorderà, infatti, "Piccole donne" si apre sullo sfondo della guerra civile, e sarà questa tragedia a motivare non solo il ferimento del padre delle quattro ragazze, ma soprattutto il patriottico taglio di capelli della nostra eroina preferita, Jo March. Questo volume offre la trasposizione in forma narrativa delle esperienze della scrittrice tra i soldati nordisti e due tra i suoi racconti bellici più famosi. In queste pagine il lettore avrà modo di cogliere una prospettiva sulla guerra del tutto inusuale e di scoprire un'autrice dalla voce decisa, anticonformista e politicamente engagée.
Con "Il libro delle meraviglie" e i "Racconti della Casa del bosco", Nathaniel Hawthorne reinventa le storie più note del mito e della tradizione classica per proporle a un pubblico di giovani lettori americani. Le due raccolte, pubblicate tra il 1852 e il 1853, che qui vengono tradotte per la prima volta in forma integrale, nonché corredate dalle splendide illustrazioni che Walter Crane realizzò per l'edizione del 1892. Sullo sfondo del maestoso panorama del Massachusetts, tra gli scherzi e la giocosità di bambini ingordi di favole sempre nuove, e l'irriverente creatività di Eustace Bright, uno studente universitario piuttosto svogliato ma disposto a inventarle, Perseo ed Ercole, Mida, Pandora e tutti gli dei e gli eroi dell'antichità rivivono in una forma che intenzionalmente lascia da parte situazioni e stilemi della tradizione erudita. Nascono così "eccellenti letture per ragazzi", perché, spiega Hawthorne nella Prefazione, "su queste favole non c'è epoca che possa vantare diritti di possesso".