Addentrarsi ad esplorare oggi il tema della vocazione alla propria identità è più che mai appassionante e delicato. Si tratta infatti di attraversare un territorio in cui si incrociano in modo misterioso, e ogni volta unico, natura e cultura, auto-trascendenza e condizionamenti, biologia e simboliche, relazioni e solitudini esistenziali, molteplicità e unità. Con questo volume il gruppo di Ricerche di Ontologia Relazionale (ROR) ha voluto aprire uno spazio affinché speculativi ed educatori, insieme a terapeuti e sociologi, potessero condividere l'indagine di questo territorio mettendo in comune le mappe delle proprie esplorazioni, tracciate con molto lavoro e in tanti anni nell'ambito delle rispettive aree di competenza. Come sappiamo una mappa non può rappresentare esaustivamente la realtà che rappresenta, ma permette di orientarsi nel pensiero, senza il cui apporto riflessivo non è possibile trarre dalla vita una esperienza e tanto meno trasformare il vissuto in cultura. Abbiamo perciò titolato il volume Identità relazionale e formazione perché crediamo che il farsi delle identità - siano esse professionali, sociali o spirituali - non sia osservabile senza una stabile attenzione al farsi e al moltiplicarsi delle relazioni.
Dio perdona sempre, l'uomo qualche volta, la natura mai. Questo noto proverbio racchiude ciò che possiamo chiamare una metafisica del perdono, nella quale si possono distinguere tre tipi di essere: l'essere infinito di Dio che è sorgente di ogni perdono, l'essere finito dell'uomo, che è capace di perdonare perché dotato di libertà, e l'essere altrettanto finito della natura, incapace di perdonare perché obbedisce soltanto a leggi fisiche o psichiche. Nel perdono umano vi è la compresenza di tutti e tre: la natura come causa dei processi psichici che devono essere superati (la vendetta o il rimorso), l'uomo come soggetto che offende o che viene offeso e, soprattutto, Dio quale origine e fine ultimo del perdono. Ma è l'esistenza stessa di una relazione fra l'offensore e l'offeso inficiata dal male a suggerire la necessità di elaborare un'Antropologia del perdono. Essa poggia sue due tesi. La prima verte sulla necessità del perdono sia da parte dell'offensore sia da parte della vittima, poiché senza perdono non è possibile il pentimento ma solo la colpevolezza, il rimorso e la disperazione; viceversa, senza pentimento non vi è nessun vero perdono ma solo l'oblio dell'offesa, della colpa... o la pura indifferenza. La seconda tesi è ancora più forte: oltre ad essere una necessità per l'offensore e per l'offeso, il perdono è un dovere perché soltanto esso è capace di trasformare una relazione corrotta dal male (e perfino di rigenerarla), che altrimenti si cristallizzerebbe nella paura, nel rancore o nell'odio, ossia in una totale sfiducia in sé e nell'altro. Il perdono è dunque un bene relazionale.
Chiedersi che cos'è l'uomo è diventato difficile in un'epoca come la nostra, caratterizzata da una visione scientista del mondo. La scienza moderna si è, infatti, proposta di considerare ogni realtà naturale semplicemente come oggetto per poter così sottomettere ogni cosa al potere dell'uomo. Ma dopo aver tolto alla natura ogni somiglianza con l'umano, lo scientismo pretende di dire all'uomo che anche lui non è altro che una parte di quella stessa natura: "Così parlare di sé come di un uomo finisce per apparire all'uomo stesso come una caduta nell'antropomorfismo". In questa situazione Robert Spaemann vuole tornare a porre la domanda sull'uomo rifiutando il riduzionismo scientista ma senza accontentarsi neppure di un'antropologia filosofica che ne ignori semplicemente la sfida. La chiave di un'antropologia adeguata sta per Spaemann in un'idea di natura che ne colga il carattere teleologico e in un'idea di ragione che non dimentichi il rapporto che c'è tra questa e la natura. Sono queste le idee sviluppate nei quattro saggi che costituiscono il presente volume. Dopo aver riflettuto nel primo saggio sul modo in cui la nozione di natura umana può sfuggire al sempre risorgente dualismo di "natura" e "spirito", l'autore nel secondo saggio rivolge la sua attenzione alla teoria dell'evoluzione. Confrontarsi con questo tema appare infatti necessario per un'antropologia che accetta il dialogo con la scienza.
Uno sguardo ricognitivo sul mondo rivela come, accanto a condizioni economiche diversificate alla radice dell'identità dei vari paesi, della loro cultura e della loro politica, ha un posto importante il modo in cui si concepisce, si valuta e si vive la relazione tra uomo e donna, con i conseguenti legami e le implicazioni sociali che da essa derivano. I repentini cambiamenti sociali e l'evolversi delle forme di interazione umana, hanno portato alla odierna emergenza antropologica: conoscere l'uomo comporta oggi una ricerca più ampia di quella intrapresa da Diogene. Uomo e donna sono in cerca di identità, e la conoscenza della loro relazione è la via per affrontare una prospettiva esistenziale la cui valenza è vitale e attende ancora di essere dispiegata. Se il messaggio, nonché il senso, di tutta la rivelazione cristiana è l'amore che Dio infonde in ogni cosa creata, in una prospettiva realistica e non virtuale è necessario riconoscere alla relazione uomo-donna una centralità strutturale rispetto a tutto il creato.