Esiste un percorso possibile per ogni donna cattolica, a partire dal giorno in cui si accorge di aver dato per scontato che quelle come lei sono sempre periferiche nella Chiesa, idealizzate e messe su un piedistallo, ma tenute lontane dagli altari e fuori dai processi decisionali? Attraverso un racconto che è personale e collettivo, perché in dialogo con tante altre donne, l'autrice di queste pagine ha provato a rileggere la propria esperienza ecclesiale: le sofferenze e le frustrazioni, ma anche le sfide. E l'attuale impegno, insieme a tante donne di tutti i continenti, per promuovere la piena dignità e parità del genere femminile nella Chiesa cattolica, dalla fondazione dell'associazione Donne per la Chiesa alla costituzione della rete globale Catholic women's council.
Il libro presenta il ritratto di dodici cristiani appartenenti a una piccola fraternità di persone omosessuali e transgender. Come succede a ogni cristiano, il loro percorso di fede somiglia più a un sentiero scosceso che a un'autostrada. Ci sono periodi di smarrimento, di lotta interiore, e poi istanti di rivelazioni e di conversione, ma il tratto che li accomuna tutti è una forte esperienza di Dio nella preghiera. Un credente omosessuale o transessuale impiega poco tempo per capire che la sua posizione nella Chiesa non viene riconosciuta come tale, obbligandolo a un percorso di pericoloso avvitamento su se stesso. La non accettazione porta al nascondimento. Il nascondimento porta all'invisibilità. L'invisibilità genera la sensazione di non esistere. Ciò che non esiste non viene considerato. Punto. Per rompere questa catena perversa occorre spezzare qualche anello e far emergere il diritto di essere ascoltati, se necessario anche mettersi a gridare come fece Bartimeo in mezzo all'ostilità dell'entourage di Gesù. L'amore incondizionato che Gesù mostra nei vangeli per ogni uomo e donna che si accosta a lui è il modello da riprendere nella nostra pastorale.
L'importanza del tema della dignità umana è evidente, soprattutto se si considera come questa categoria risulti presupposta e impiegata nei dibattiti pubblici, e prima ancora nelle solenni Dichiarazioni degli organismi internazionali, dando quasi per scontata la sua portata semantica. Il rischio dell'usura delle parole, fino alla loro insignificanza, invade anche la prerogativa della dignità con la quale si è pensata la differenza antropologica e un corrispettivo criterio fondamentale per la relazione etica tra i soggetti umani. La dignità, non da oggi, rischia l'evanescenza in un puro concetto in cui rifugiarsi quando si è in difetto di più perspicue modalità argomentative. Coltivando magari l'illusione che la semplice posizione di un argomento di dignità riesca dirimente e in grado di chiarire situazioni la cui complessità imporrebbe una più pesata consequenzialità argomentativa. Se la dignità risulta un postulato, non di meno è necessaria un'operazione di pensiero per definirne la mappa concettuale delle potenzialità e precisare come essa possa essere riconosciuta, sostenuta e difesa nei differenti ambiti in cui prende forma l'attività e l'interazione dei soggetti umani. Questo volume, oltre che approcciare un nodo fondamentale dell'antropologia e della morale, raccoglie i contributi del progetto sulla "dignità umana" che ha impegnato il gruppo di ricerca in etica sociale "In dialogo".
Donne tradite da chi diceva di amarle e poi le ha "buttate via". Donne tradite dalle loro famiglie che non hanno saputo trovare abbastanza amore per accoglierle e offrire loro un'altra possibilità di vita. Donne tradite anche dalla Chiesa, perché hanno trovato in essa "o più esattamente in uomini della Chiesa, regole di moralità disastrose, invece di trovarvi una primaria difesa". Questo libro, dopo una prima pubblicazione nel 1937, venne "custodito" per molti anni da Elisa Salerno, che solo nel 1950 lo pubblicò con lo pseudonimo di Maria Pasini. Elisa Salerno, femminista cristiana dei primi del '900, sa affrontare con coraggio e determinazione temi che, con altri volti e altre storie, sono ancora profondamente attuali. Ripubblicare il testo all'interno della collana Sui generis, con alcuni contributi utili a comprendere meglio il contesto storico e l'impegno dell'autrice, ci aiuta a non dimenticare le tradite del nostro tempo; ci obbliga a non "voltare la faccia" di fronte alle violenze di ogni tipo perpetrate contro le donne. Rileggere, nelle parole della Salerno, la sua passione per la "causa santa della donna" e la sua denuncia sulla "doppia morale" nei confronti dei due sessi, ci interpella sulla responsabilità di ognuno nel "prendere la parola" per denunciare ogni violenza, sostenere chi ne è vittima e non tradire il nostro poter essere donne e uomini per relazioni e tempi nuovi.
Charlotte von Kirschbaum non è stata soltanto un'indispensabile collaboratrice di Karl Barth, ma anche una ricercatrice e teologa originale e autonoma. Le sue riflessioni teologiche sulla "questione della donna" sono l'espressione di un certo contesto storico-culturale, ma anche della sua stessa biografia. L'uguaglianza e la disuguaglianza tra donna e uomo nella società civile e nella comunità cristiana si risolvono, per lei, non con un'emancipazione forzata della donna, ma solo con una vera relazione di amore e di mutuo rispetto tra uomo e donna, vissuta nell'orizzonte più ampio della volontà e della grazia di Dio che trascende ogni sottomissione a un essere umano. Le sue tesi sulla "donna vera" e sul suo ruolo nella chiesa, sviluppate mediante una lettura attenta di importanti e controversi passaggi e figure della Bibbia, possono essere ancor oggi una provocazione su cui riflettere e discutere.
Nella lettera apostolica Salvifici doloris, Giovanni Paolo II scrive: "All'interno di ogni singola sofferenza provata dall'uomo e, parimenti, alla base dell'intero mondo delle sofferenze appare inevitabilmente l'interrogativo: perché?". Commentando le parole del papa, Padre Buschini sottolinea come la sofferenza appartenga al mistero della natura più profonda dell'uomo. Chi soffre, spesso, non vede immediatamente l'amore di Dio: è solo attraverso il nostro amore che possiamo infondere la speranza che il dolore possa diventare salvifico. Cogliere l'amore di Dio anche nella sofferenza significa aprirsi a un dono inestimabile: quello del perdono, che è tale solo se non lascia intatta la mediocrità della nostra vita, ma si fa impegno serio di andare alla radice del male, oltre l'illusione di liberazioni effimere. Per questo, secondo Padre Buschini, il perdono è la condizione necessaria per costruire un futuro veramente umano.