Sapevate che Pandora ha scoperchiato il celebre vaso perché era una maniaca della pulizia e voleva spolverarlo? E che Achille è stato un bambino cagionevole e si è preso tutte le malattie esantematiche, pure quelle che non esistono? Per non parlare di Ulisse, che per smascherare Achille e arruolarlo si è travestito da venditore ambulante di borse taroccate. La mitologia classica come non l'avete mai letta, rivisitata dal talento irresistibilmente comico di Enrico Brignano. Da quando sua figlia ha imparato a memoria le fiabe più conosciute, Enrico Brignano ha dovuto architettare nuovi modi per intrattenerla e per farla addormentare. Ha cominciato allora ad attingere dal serbatoio infinito di storie della letteratura greca, pescando tra le reminiscenze scolastiche e lavorando di fantasia per colmare le lacune ed evitare le domande scomode della sua piccola ascoltatrice. Nasce così questa divertentissima raccolta di miti classici reinventati, in cui la sua scatenata immaginazione ci mostra dèi, eroi e personaggi tragici in una veste inedita ed esilarante. «Può sembrare niente, ma l'Olimpo era il condominio divino con guardia alla reception h24, un luogo molto esclusivo dove non è che potessero entrare pizza e fichi, ma solo gente selezionata, un po' come nel backstage dei Maneskin! E a Zeus, il capoccia di tutto il cucuzzaro di divinità, stava talmente simpatico Prometeo che a un certo punto lo convocò e gli disse: Prome', senti, qui si sta bene per carità, il vicinato è ottimo, si mangia bene, le case sono belle e non ci manca niente. Però un po' ci si annoia. Allora avrei pensato, no?, perché non ti occupi di impastare degli esseri a nostra immagine e somiglianza, così li piazziamo sulla terra e vediamo un po' che combinano? Ci mischiamo a loro, gli mandiamo qualche maledizione... insomma, passiamo il tempo».
Una stazione, due uomini che aspettano un misterioso convoglio partito da lontano e un «brogliaccio» pieno di barzellette da leggere per ingannare l'attesa. Sono storielle popolate da naufraghi e cannibali, carabinieri e politici, scienziati e filosofi, preti, suore, ebrei e musulmani, mariti e mogli impegnati nell'eterna lotta tra i due sessi, e ancora animali, suocere, amanti. Storie che non appartengono a nessuno, ma sono a disposizione di tutti. Ci dicono cosa siamo diventati, ci consentono di scavare nel torbido senza diventare persone torbide. E, soprattutto, fanno letteralmente morire dal ridere.
È "maoista" ma va in chiesa, è devota al marito ma non rinuncia al collettivo femminista. Per merenda ti propina la solita rosetta con margarina e zucchero, ed è convinta che due colpi di battipanni ben assestati sul sedere non possano che temprarti il carattere. Insegna in una scuola di periferia e fa il bagno al mare anche in dicembre. Se le chiedi perché, ti risponde: lo so io. Se le racconti una cosa, ti risponde: lo so già. È la mamma di Francesco. Nato come una serie social a episodi, questo libro mette in scena una giocosa, inarrestabile dialettica tra madre e figlio che, tra una risata e l'altra, ci commuove.
Come nel "Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo" di Galileo Galilei, tre autori-personaggi in questo libro entrano in scena e raccontano al lettore alcune storie, a partire dal testo dello spettacolo "Itis Galileo", ricco di invenzioni di rara comicità. Marco Paolini, con il coautore dello spettacolo Francesco Niccolini e lo storico e filosofo della scienza Stefano Gattei trattano da punti di vista diversi la figura di Galileo, così vicino a noi, coraggioso e pavido, scienziato e meccanico, scrittore affascinante al servizio della ricerca del vero e della lingua italiana, rivoluzionario instancabile senza mai dichiararlo: "Galileo non è un mito della scienza, è un uomo che ci assomiglia, pieno di limiti, di contraddizioni, ma dotato di una costanza e di una resistenza che con gli anni non sfioriscono". Non serve identificarsi in Galileo, serve trovare ancora quella sua energia e sana diffidenza che rimette tutto in movimento, che rende nuove le cose. Ognuno di noi la può inventare. Il DVD contiene l'anteprima della diretta televisiva trasmessa su La7 dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
È difficile immaginare di leggere questo libro senza una matita e un taccuino a portata di mano. Perché il gioco linguistico, come la risata, è contagioso. E ciascuno potrà aggiungervi il proprio. Se Il fagiano Jonathan Livingstone (nel gioco sui titoli dei libri «meno ambiziosi») vi pare offensivo, che dire di Un'email di Jacopo Ortis, o del Bulgakov degradato a Il supplente e Margherita? Se invece amate il cinema si può cominciare col Fellini dimezzato di Quattro piú. Su Twitter è anche nata una variante mescolando il titolo di diversi film, come nel capolavoro mai girato Tre metri sopra il cielo sopra Berlino o nell'ambiguo Un borghese piccolo piccolo grande uomo. Se si aggiunge una definizione si può rischiare con «Ti boccia già all'appello: Fotte prima degli esami». E per i piú esperti, si continua con i tautogrammi, i falsi prefissi, i palindromi, gli acrostici, i falsi derivati, le parodie. Il mondo si deforma, perde per un attimo la sua identità, e di fronte a noi se ne spalanca uno parallelo, un po' sghembo, assurdo, sorprendente, che prende forma nel nostro taccuino.
Ventuno racconti umoristici che cercano di descrivere la rassicurante mostruosità dei nostri anni, l'abnorme e incredibile normalità del mondo che troviamo fuori della porta di casa, tutte le volte che usciamo. Piante d'appartamento che diventano star del piccolo schermo, uomini onesti che, per la loro rarità, si trasformano in fenomeni da circo, nuove forme virali fuori controllo che costringono le persone infettate a innamorarsi di continuo: tutto ciò probabilmente accadrà, o forse sta già accadendo. L'impressione è che l'evoluzione dell'essere umano stia proseguendo, e in una direzione non troppo rassicurante. L'Homo sapiens sapiens sta per cedere il campo all'Homo absurdus: quando l'avvicendamento sarà ufficiale e definitivo, questi racconti, forse, saranno considerati un modesto esempio di neorealismo. Con "Il paradosso terrestre" Marco Presta, voce del leggendario programma radiofonico "Il ruggito del coniglio", si fa testimone attonito della nostra epoca. Alla fine, solo l'umorismo come estrema tecnica di sopravvivenza ci potrà salvare
I primi libri, i primi tacchi alti, il primo bacio. I secondi libri, le centesime scarpe e i millesimi baci. L'approccio femminile alla vita a tutte le età. Un inventario dei comportamenti tipici di maschi e femmine di fronte all'amore, dagli anni Trenta a oggi. Un dialogo in cui si parla di tutto. Cucina ed eleganza, economia domestica e chirurgia estetica. Coppia, figli, sesso e lavoro. Della noia e della gioia di vivere da donne. Due voci diverse e perfettamente intonate dialogano in modo comico, ironico e universale sulle donne, gli uomini e l'amore.
Tra Vecchio e Nuovo Testamento, regole kasher, insegnamenti rabbinici, storielle ebraiche e ricette che contengono un antico sapere, il viaggio di Ovadia alla ricerca di un'etica del cibo. Un omaggio alla memoria e all'accettazione dell'Altro, ultimo antidoto slow all'intolleranza e al tempo frenetico di oggi. La tradizione ebraica della kasherut indica i cibi che si possono consumare perché conformi alle regole della Torah. Ma oltre a questo, il cibo ebraico ha prodotto un'enorme mole di storielle, divieti, ricette e prescrizioni che Ovadia ripercorre con la consueta miscela di umorismo e santità: cullandoci tra pasti e digiuni, tra falafel, molokheya, hommus e altre leccornie, tra antiche osterie e contaminazioni culinarie, e una musica che accompagna l'ospite a tavola, con l'ironia tipica dell'ebreo errante. Per un viaggio che guarda al cielo con il gusto della terra. Un viaggio dalla manna del deserto, il cosiddetto "pane degli angeli", fino a Pesakh, la Pasqua, dove un Gesù ebreo mangia agnello, pane azzimo, erbe amare e dessert.
I luoghi comuni devono dire qualcosa, ma quel qualcosa deve essere detto sempre nella stessa forma, e possibilmente sempre con lo stesso tono. Sono a metà tra il genere letterario e la categoria del pensiero e sono applicabili, letteralmente, a qualsiasi possibile campo del sapere (e del non-sapere) umano. Sono gli spot di ciascuno di noi, come quelle pubblicità che ripetono pigramente sempre le stesse cose, senza crederci troppo («da oggi puoi», «è arrivato il nuovo», «scopri i nuovi»), o come certi cliché giornalistici, utili per caratterizzare una notizia, o meglio una serie, senza dover stare a rispiegare tutto da principio. Ma non siamo qui per parlare di luoghi comuni. Siamo qui per parlare di luoghi comuni al contrario, di cui questo volume raccoglie una strepitosa collezione: «La pianura è stata fatale ai due alpinisti». Oppure «Appena svengo vedo il sangue» o «Se ci sono eterosessuali nel calcio, io non ne ho mai visti». O ancora «Il sacrificio è sport». E nell'inversione del luogo comune, spesso, oltre a un senso di profonda comicità, emerge il significato vero e profondo dei luoghi comuni, o, al contrario, la loro totale e incompresa assurdità.
La tradizione ebraica della kasherut indica i cibi che si possono consumare perché conformi alle regole della Torah. Ma oltre a questo, il cibo ebraico ha prodotto un'enorme mole di storielle, divieti, ricette e prescrizioni che Ovadia ripercorre con la consueta miscela di umorismo e santità: cullandoci tra pasti e digiuni, tra falafel, molokheya, hommus e altre leccornie, tra antiche osterie e contaminazioni culinarie, e una musica che accompagna l'ospite a tavola, con l'ironia tipica dell'ebreo errante. Per un viaggio che guarda al cielo con il gusto della terra. Un viaggio dalla manna del deserto, il cosiddetto «pane degli angeli», fino a Pesakh, la Pasqua, dove un Gesú ebreo mangia agnello, pane azzimo, erbe amare e dessert.
La storia è nota a pochi.
A ogni elezione di un nuovo papa, una delegazione della comunità ebraica romana si recava nei sacri palazzi portando un'antica pergamena sigillata che, regolarmente, il sommo pontefice rifiutava di accettare. Finché, un giorno, il papa, d'accordo con il rabbino capo, decise di consultarne il contenuto. L'intestazione recitava: «Il conto dell'Ultima Cena». Non si sa con esattezza l'ammontare dell'importo richiesto per quel celebre pasto, anche perché, per risapute ragioni, gli apostoli e Gesú non riuscirono a onorare il debito. Però si sa qualcosa riguardo a quell'ultima cena.
Parte da qui il viaggio di Moni Ovadia all'interno della tradizione kasher. La casa dell'ebreo errante Moni Ovadia, che tra l'altro è vegetariano, è un'enorme cucina affacciata sul mondo. Dove lui se ne va in giro tra una «fiera dell'Est» e regole kasher, insegnamenti rabbinici e storielle ebraiche, ricette tipiche e cucina che se la fa con la religione.
Nel girovagare tra salse mediterranee, melanzane, ceci e uova, incontriamo l'arzilla Janette, una egiziana novantenne che ci spiega la cucina dell'esilio e della diaspora, insieme alle ricette di Edith, unica depositaria della tradizione familiare sefardita di casa Ovadia. E un atteggiamento all'assaggio che è prima di tutto interiore, predisposizione dell'animo di chi è abituato a guardare al cielo attraverso gli odori e i sapori della terra.
Perché, in fin dei conti, dovremmo tutti imparare a essere kasher, ovvero adatti alla nostra dignità di essere umani.
Il libro: L'epopea di una maschera. Paolo Villaggio. Il paradosso, l'iperbole, il grottesco è un libro originale in cui Valentina Pattavina racconta in modo dettagliato e godibile l'intero percorso artistico di Paolo Villaggio ed è insieme uno sguardo critico complessivo sulla sua opera. Pattavina coglie gli elementi di fondo del linguaggio comico di un attore che ha elevato un monumento all'iperbole e all'arte della trasfigurazione della verità.
Il Dvd: Diretto da Gianni Canale, questo Dvd raccoglie il meglio delle apparizioni televisive di Paolo Villaggio. Dai memorabili sketch dell'aggressivo e sadico professor Kranz «tetesco di Cermania», al pavido e strisciante Giandomenico Fracchia, con la «partecipazione straordinaria» del servile, disperato e fumettistico ragionier Ugo Fantozzi. E con una fulminante intervista girata apposta per questa edizione.
La grande tradizione dell'umorismo ebraico ha trovato in Moni Ovadia una voce inconfondibile. Come scrisse Giovanni Raboni, "ci sarebbe impossibile ormai fare a meno di tutto ciò che Ovadia è riuscito in pochi anni a renderci, da remoto e straniero che era, famigliare e quasi nostro". Il mondo che Ovadia attraversa nei suoi spettacoli, con la leggerezza e il pathos di un moderno cantastorie, viene in questo libro raccontato nella sua genesi e nel suo significato. Variando tra il racconto sapienziale talmudico e il fulminante motto di spirito, tra I'excursus storico sullo shtetl e le storielle sulle ineffabili nevrosi materne della yiddish mame trapiantata a New York, Ovadia ci guida alla scoperta di un umorismo profondamente dialettico che racconta la precarietà e la naturale diversità di un popolo che nasce esiliato da se stesso e dagli altri, che coltiva le proprie radici senza una terra in cui riconoscersi. Mostrando il legame inestricabiie tra il riso ebraico e il divino, Ovadia mette in luce l'irresistibile carica anarchica e liberatrice dell'umorismo yiddish. Un umorismo che scardina l'intero patrimonio di certezze, di ideologie, di pregiudizi, in cui una comunità riconosce se stessa.