Il 2 novembre 2004 un olandese di origine marocchina uccide nel pieno centro di Amsterdam con un coltello e in nome del Corano il regista Theo Van Gogh. Era "colpevole" - lui e la sceneggiatrice somala Ayaan Hirsi Ali - di aver girato un film ritenuto blasfemo per l'Islam. Per Buruma è un brutale punto di svolta che segna la crisi di un modello di integrazione - il multiculturalismo - in un Paese che vantava di essere un bastione della tolleranza, che aveva accolto turchi, marocchini, siriani, iraniani, egiziani, cinesi. Dopo quel gesto la crisi politica e identitaria è stata gravissima e ha dato voce a chi urlava che l'Islam è "una religione arretrata", i musulmani "un popolo di bruti", e che non è tollerabile accettare una cultura che tramanda pratiche inaccettabili e violenze. Ma è possibile azzerare le culture di provenienza costringendo gli immigrati ad adeguarsi agli standard culturali occidentali in una sorta di integrazione forzata? Secondo Ian Buruma, tutto ciò è impossibile. E questa presa di posizione è all'origine di uno scontro tra intellettuali di diversa estrazione che ha preso toni di dimenticata durezza. Ma che la lettura di questo libro può collocare nella giusta prospettiva.
Che cosa succede quando un re, desideroso di regalare al suo Paese il segreto della felicità, convoca un ateo, un ebreo, un musulmano, un induista, un buddista affinché si confrontino e discutano le rispettive credenze? È possibile arrivare alla Verità? Il libro consente di penetrare i contenuti delle religioni più conosciute e nella forma della narrazione tocca i nodi più profondi del dibattito teologico.