L'aviatore Herberts Cukurs è considerato un eroe nazionale lettone. Eppure durante la Seconda guerra mondiale militava nel Commando Arâjs, una brigata della morte al servizio dei tedeschi. Mentre nella Lettonia di oggi si indaga su Cukurs per decidere se processarlo, Linda Kinstler scopre che suo nonno Boris, di cui si sono perse le tracce nel 1949, era legato allo stesso famigerato Commando. Ma quale ruolo aveva? Era un collaboratore dei tedeschi o una spia dei russi, o entrambe le cose? Kinstler prova a dipanare i fili della storia familiare e collettiva interrogandosi sulle ondate di revisionismo, sui meccanismi della giustizia, sulla conservazione e manipolazione della memoria, nonché sugli strumenti che abbiamo a disposizione per sconfiggere l'oblio.
L'attività saggistica di Del Giudice ha prodotto molte più pagine rispetto alla sua narrativa. Sono prefazioni, articoli su rivista, conferenze e interventi a convegni, scritti spesso inediti o poco conosciuti. Per tutta la sua vita di scrittore e di saggista, Del Giudice ha riflettuto su cosa significhi raccontare un sentimento, su come rappresentare il tempo, su come la percezione degli oggetti cambi il modo di pensare e di vivere e dunque di scrivere. Lo ha fatto guardando l'invisibile, sia quando esplora il nucleo primo della materia fisica, sia quando ricorda il suo viaggio nelle terre antartiche, sia quando legge gli autori che più ha amato. Anche parlando di sé e del proprio lavoro di scrittore, Del Giudice illumina «l'emergenza», cioè quel che affiora in superficie nella «zona» del narrare, riflettendo su come si entra e come si esce dalla trama di un racconto, sempre lavorando con precisione sul linguaggio, il nostro «ethos naturale». Questo volume, curato da Enzo Rammairone sulla base dei materiali conservati nell'archivio dello scrittore dopo la sua morte, appronta una scelta di testi, la prima parte dedicata ad alcuni autori prediletti come Conrad, Primo Levi, Calvino, Svevo, Bernhard e Stevenson, la seconda all'atto del narrare. Un ulteriore tassello che ci aiuta a comprendere maggiormente chi appare sempre più come uno snodo imprescindibile nella letteratura europea dei nostri tempi.
Il viaggio alla ricerca di una donna che Kristófer pensava scomparsa dalla sua vita per sempre. Tra il fascino scandinavo dell'Islanda e l'incanto del Giappone, una meditazione toccante e poetica sulle occasioni perdute e il riverbero, implacabile, dei ricordi. Con l'arrivo della pandemia, Kristófer, vedovo di 74 anni, è costretto a chiudere il suo ristorante a Reykjavík, sprofondando in una spirale di incertezza e malinconia. Fino a quando un messaggio su Facebook di Miko Nakamura, una donna che aveva conosciuto da giovane a Londra, lo trascina inesorabilmente in una storia d'amore che credeva di aver dimenticato e lo costringe a partire, dopo tanti anni, per il Giappone. In un itinerario che lo porterà non solo a rivedere Miko, ma anche a ripercorrere più di cinquant'anni della sua esistenza. Lirico, sentimentale e ricolmo di grazia, un romanzo che esplora il peso che gli amori e le amicizie del passato continuano ad avere sulla nostra vita. «Forse credevo di lasciarmi alle spalle quella città, con tutto ciò che aveva attinenza con essa; forse credevo che con il tempo sarei riuscito a ricominciare daccapo. Ma l'ho portata con me, allo stesso modo dei libri che avevo chiuso nello scatolone, e della tazza da tè che ho tenuto in mano per tutto il volo, la stessa che stamattina ho lasciato sul tavolo della cucina. Nel mio bagaglio ho messo la città, i ricordi, la gioia, la tristezza, la rabbia... e quell'amore che mi è stato d'ostacolo in tante cose, per tutti questi anni».
La comunicazione è un gioco molto serio: tutto quello che diciamo e scriviamo può essere usato contro di noi. Le trasformazioni sociali, culturali e tecnologiche dell'ultimo decennio hanno cambiato le carte in tavola. Viviamo negli stessi spazi reali o virtuali, ma parliamo tutti «lingue» differenti. Questo libro aiuta a orientarsi nel mondo nuovo. Comunicare è come respirare: lo facciamo tutti, in ogni momento. Comunichiamo con la voce, con il corpo e sempre di più - chi lo avrebbe detto trent'anni fa? - per iscritto, attraverso Internet e i social network. Lasciamo tracce durature e siamo letti potenzialmente da chiunque. Cosa potrebbe andare storto in questo processo? Molte cose. Potremmo offendere un solo individuo, se va bene, o un milione di persone in una volta sola, se va malissimo. Potremmo compromettere per sempre la nostra immagine pubblica, renderci ridicoli o essere considerati dei mostri. Già, i tempi sono cambiati, e quello che solo una decina di anni fa sembrava inoffensivo è diventato più serio; tutto ciò che prima si faceva con leggerezza richiede oggi una nuova gravità. Ma attenzione, i tempi non cambiano mai in maniera uniforme, non è mai esistito e non esiste un unico «spirito del tempo»: così ci ritroviamo a muoverci tra sensibilità differenti, tra contesti in cui «non si può più dire niente» e altri in cui si dice molto, persino troppo. Se il respiro è un dono innato, la comunicazione richiede invece competenze articolate. Come prima cosa bisogna imparare un alfabeto e una lingua, questo diamolo per scontato. Ma dobbiamo inoltre conoscere i codici culturali: ovvero quello che si può dire o non si può dire in funzione del luogo, del momento e dell'interlocutore che ci troviamo davanti. Perlomeno se vogliamo controllare il modo in cui verremo giudicati noi che parliamo. Insomma: se non vogliamo fare danni.
«Non abitiamo più la terra e il cielo, bensì Google Earth e il Cloud. Il mondo si fa sempre più inafferrabile, nuvoloso e spettrale». Abbiamo perso il contatto con il reale. È necessario tornare a rivolgere lo sguardo alle cose concrete, modeste e quotidiane. Le sole capaci di starci a cuore e stabilizzare la vita umana. Una massa di informazioni ci investe ogni giorno. Come ogni inondazione, anche questa agisce sulle nostre esistenze, spazza via confini, rimodella geografie. Ormai sono i dati e non più le cose concrete a influenzare le nostre vite. Le non-cose stanno prendendo il sopravvento sul reale, sui fatti e la biologia. E così la realtà ci appare sempre più sfuggente e confusa, piena di stimoli che non vanno oltre la superfice. Con la sua consueta lucidità e veemenza, Byung-chul Han, critico severo ma acuto della contemporaneità, ci offre una peculiare e sferzante riflessione sulla comunicazione, la Rete e il futuro che stiamo costruendo.
Fu il 20 settembre 1918, in uno sperduto convento del Gargano, che padre Pio da Pietrelcina vide iscriversi sul proprio corpo le cinque piaghe di Gesù. Non era un momento qualunque nella storia d'Italia. Alla carneficina della Grande Guerra si era aggiunta l'ecatombe dell'influenza spagnola. Perciò, il "crocifìsso vivo" venne investito da una smisurata offerta di preghiera e da un'accorata domanda di grazia. Ma suscitò anche una sorda diffidenza e un'aperta resistenza. La diffidenza dell'Italia laica, nell'infuocato clima politico del "biennio rosso". La resistenza del Vaticano, ostile alle forme più spinte di religiosità carismatica. Così, fin dagli anni Venti la storia di padre Pio si intrecciò strettamente con la storia della Chiesa e con la storia d'Italia. Denigrato dal frate-medico Agostino Gemelli, e quasi perseguitato dai presuli del Sant'Uffizio, il cappuccino con le stigmate trovò potenti difensori all'interno del Partito nazionale fascista. Seguirono decenni di vicende gravi e perfino rocambolesche, tra conversioni e ritorsioni, pellegrinaggi e sciacallaggi, congiure e abiure, finché l'avvento al soglio pontificio di Pio XII non permise il pieno dispiegarsi del culto garganico. Ma neppure allora la storia potè dirsi finita. Giovanni XXIII scatenò contro padre Pio un'ultima offensiva, prima che il papa polacco ne riconoscesse le virtù e lo elevasse agli altari.
"I fratelli Karamazov sono il romanzo più grandioso che mai sia stato scritto, l'episodio del Grande Inquisitore è uno dei vertici della letteratura universale, un capitolo di bellezza inestimabile... Non è certo un caso che tre capolavori di tutti i tempi trattino lo stesso tema, il parricidio: alludiamo all'Edipo re di Sofocle, all'Amleto di Shakespeare e ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij. In tutte e tre le opere è messo a nudo anche il motivo del misfatto: la rivalità sessuale per il possesso della donna." (Sigmund Freud)
Essere in dialogo con la solitudine significa entrare in relazione con gli abissi della nostra interiorità. In un mondo collegato continuamente in ogni suo aspetto, la solitudine rappresenta l'occasione per scendere lungo i sentieri che portano dentro di sé, e ascoltare le ragioni della immaginazione e del cuore. Eugenio Borgna ci indica in questo libro la direzione, molto spesso confusa e difficile, per aprirsi al dialogo con la solitudine. L'esperienza della pandemia, che ancora permane, ha posto tutti di fronte al significato della solitudine e a quanto essa sia un valido strumento per conoscere il mondo esterno, nelle sue luci e nelle sue penombre. La solitudine è l'anima nascosta e segreta della vita, ma come non avere la sensazione che oggi, nel mondo della modernità esasperata e della comunicazione digitale, sia grande il rischio di naufragare nell'isolamento?
Durante una missione di recupero al largo della costa del Mississippi, Bobby Western vede quel che non avrebbe dovuto vedere: un JetStar apparentemente intatto adagiato sul fondale e, in cabina, chiome fluttuanti, bocche aperte e occhi vuoti, nove corpi senza vita. Da dove viene quell'aereo, che fine ha fatto la scatola nera, e che ne è stato della decima persona sulla lista passeggeri? Queste le domande a cui Bobby, perseguitato da due emissari governativi «con un'aria da missionari mormoni», non sa dare risposta. Capisce allora di dover scomparire. Del resto a fuggire ci è abituato, da tanto tempo è inseguito dai sensi di colpa nei confronti del mondo e di lei, Alicia, l'amore del suo cuore, la rovina della sua anima. Alicia Western, sua sorella. Mente matematica sopraffina ed esperta mondiale di violini cremonesi, donna bellissima e perciò più difficile da perdere, «perché la bellezza ha il potere di suscitare un dolore inaccessibile ad altre tragedie», anche Alicia, come Bobby, ha guardato dove non doveva guardare, nel cuore delle tenebre. Visitata sin da bambina dalle «coorti», un'accozzaglia di allucinazioni da vaudeville capeggiate da un piccolo focomelico scurrile chiamato il Kid, e afflitta da un amore che offende, Alicia ha provato a opporre l'ordine del numero al caos della vita ma non ce l'ha fatta perché «certe cose un numero non ce l'hanno». Ora cosa resta a Bobby, se non la fuga? Via da New Orleans, Knoxville e la baia petrolifera della Florida, da bettole, bagnarole e topaie. Un mondo popolato di reietti, ubriaconi e reduci - dall'amorevole trans Debussy al killer di blatte Borman al dandy dissacrante Sheddan - ma brulicante di vita e inventiva. Via da tutto quel rumore, via dalle oscure macchinazioni del potere e dai peccati ereditati come da quelli bramati, verso una nuda bicocca dall'altra parte dell'oceano, verso un posto senza compagnia né legge né letteratura, dove non c'è altra realtà del ricordo e la fisica si fonde nella metafisica. Perché questo siamo noi: «dieci percento biologia e novanta percento mormorio notturno».
Tre romanzi in cui nessuna verità sembra reggere e ogni certezza è capovolta. Tre indagini che hanno dato vita alla detective più tosta del noir italiano. Il Lupo mannaro è un killer del tutto privo di sensi di colpa, e dunque imprendibile: di giorno è un padre di famiglia e un imprenditore di successo, di notte uccide a morsi giovani prostitute. L'Iguana corre per la città coprendone i rumori con il rock metallico, e ruba di volta in volta la vita delle proprie vittime. Il regno del Pit bull, invece, è una doppia rete, reale e virtuale: da un lato le autostrade, da cui entra ed esce cambiando sempre identità, dall'altro Internet, dove vende i suoi servizi professionali. Sulle tracce di questi tre serial killer "animali", incarnazioni maledette di un'Italia criminale nel profondo, c'è una donna, fragile nell'aspetto ma con una determinazione da vendere, e un intuito che non sbaglia un colpo: il suo nome è Grazia Negro, e non esiste assassino che possa sfuggirle.
Professore all'University of California, Berkeley, Peter Brown mette a fuoco in questo libro uno dei punti chiave della società e della sensibilità dei primi secoli della cristianità, ricostruendo i rapporti tra i fenomeni della superstizione e lo stabilirsi delle pratiche mortuarie e del culto ai santi. Il testo è strutturato in sei parti: Il santo e la tomba, "Un luogo elegante e privato", Il compagno invisibile, I morti eccezionali, "Presentia", "Potentia".
La vita umana, quando perde il suo fuoco, è destinata a diventare fredda come la morte. Questa nostra epoca pare aver smarrito il fuoco. Quando tutto smette di avere senso, l'unica cosa che sembra delinearsi davanti a noi è trovare qualcosa che ci distragga da questa assenza di significato. Viviamo vite imprigionate in un eterno intrattenimento, ed è difficile dissentire da una società che pare ormai organizzata solo per creare esigenze di consumi e vendere. Ma se tutto questo a un tratto finisse? Se tutto il mondo che conosciamo crollasse lasciando solo macerie e rovine? Che ne sarebbe di noi? Cormac McCarthy (1933-2023), tra i più grandi scrittori americani contemporanei, ha messo in scena un racconto nel suo romanzo "La strada" che conduce a un ribaltamento dello sguardo. Persino il padre protagonista del racconto di McCarthy nel suo pessimismo cosmico riesce a conservare al fondo di se stesso un desiderio di felicità. È la vita di quel figlio l'olio della sua fiamma, il combustibile vero del suo fuoco. Le persone felici sono quelle che hanno trovato il tesoro nascosto. Non hanno nulla, secondo la logica del mondo, ma hanno un motivo, un fuoco e per questo hanno tutto.