In un mondo segnato dalla fretta e dalla superficialità, leggere pagine sulla contemplazione può essere un gesto controcorrente. E se sono pagine scritte da uno dei più celebri scrittori del Novecento, tale scelta sarà ripagata dalla scoperta di una profondità intellettuale di cui la piattezza di certa cultura contemporanea nemmeno sospetta l'esistenza. Mentre scriveva questi testi, Thomas Merton, il bohémien marxista diventato trappista, viveva ancora la scoperta della propria interiorità alla luce del mistero cristiano. E riversava in questo libro la ricchezza della propria meditazione sul senso della contemplazione: «La profonda, penetrante visione di una verità che ne abbraccia tutti gli elementi essenziali in un unico colpo d'occhio». A questo sono chiamati tutti i credenti: non solo frati, suore, preti o monaci, ma anche chi abita a Harlem o la casalinga presa dalle proprie faccende - sostiene il trappista americano. Contemplare vuol dire vedere Dio attraverso un'infinità carità che ci restituisce il dovere di un amore altrettanto infinito per ogni creatura. La contemplazione non è sinonimo di «raffinato estetismo spirituale» bensì la possibilità di «trovare Dio per vie ignote e impercettibili». In altre parole, resistere alla «bancarotta spirituale» dei tempi moderni. Leggere Thomas Merton, «un straordinario americano» secondo papa Francesco, vuol dire iniziare un viaggio verso la verità di Dio, il quale si nasconde (anche) dentro di noi.
Sessantamila malati psichici accolti in 25 anni in quattro paesi africani. Pur non essendo né laureato in medicina né psichiatra di professione, Grégoire Ahongbonon ha compiuto un piccolo grande miracolo nel suo impegno fra Costa d'Avorio, Benin, Togo e Burkina Faso. Questo marito e padre di famiglia, un passato da imprenditore, è diventato un paladino degli «ultimi tra gli ultimi» in Africa: le persone con malattie psichiche, stigmatizzate due volte perché additate come vittime di stregoneria e spesso prigioniere di pseudo-santoni che le incatenano con disumanità nell'intento di «liberarle» grazie a sortilegi magici. La malattia psichiatrica in vari contesti africani significa emarginazione, catene, prigionia, limitazione della libertà. E un mare di sofferenza. Per Grégoire, «fino a quando ci saranno un uomo o una donna incatenati, tutta l'umanità sarà incatenata». Per questo dagli anni Novanta si dedica anima e corpo a liberare, accogliere e integrare - attraverso un approccio che l'Oms ha voluto studiare - le persone rese fragili dalla vita. Come Janine, una donna malata incatenata per 36 lunghissimi anni, che Grégoire ha accolto in uno dei tanti centri da lui fondati, oggi la nuova casa per 25mila malati che diventano talvolta guaritori di altri sofferenti. Quella di Grégoire Ahongbonon è un'epopea di carità e di fede che rappresenta una luce di indomita speranza dentro il dolore del mondo. Prefazione di Eugenio Borgna.
Annuncio o dialogo? Troppo spesso il pensiero teologico e la pratica della Chiesa, ad esempio quando si tratta di missione, si sono divise su questa (falsa) alternativa. Come se il dialogare con l'altro fosse cedere qualcosa della propria identità. E, di rimando, l'affermazione esplicita delle verità di fede rappresentasse una superba attestazione di fondamentalismo. Erio Castellucci, oggi vescovo ieri teologo e parroco sempre «in ascolto», come si è definito, ci accompagna in un viaggio della ragione e del cuore per capire che non esiste l'aut aut tra l'annunciare Cristo e il parlare con chiunque in spirito di reciproca attenzione. Gli estremi da evitare sono l'integrismo da una parte e il relativismo dall'altra. Entrambe queste derive non tengono conto della singolarità della vicenda di Gesù, l'uomo-Dio che diventa modello per ogni credente invitato a dare ragione della propria fede, della speranza e della carità che lo anima. In queste pagine - che intessono esegesi, teologia e vita quotidiana - Erio Castellucci ci fa comprendere come il confronto con le altre religioni, con la cultura secolare e la dimensione sociale diventano per tutti i cristiani occasioni propizie per mettere positivamente in circolo la propria adesione ai valori evangelici.
Non c'è solo il "land grabbing", l'accaparramento della terra che fagocita, in particolare, il continente africano. Nella smania neoliberista di possedere le risorse naturali anche l'acqua è diventata oggetto di scontri commerciali, tensioni sociali e guerre internazionali. Tanto più che l'"oro blu" sta diventando un bene molto prezioso: entro il 2030 una persona su due al mondo vivrà in zone ad elevato stress idrico. Già oggi multinazionali che imbottigliano l'"acqua del sindaco" rivendendola a peso d'oro mettono le mani su sorgenti, laghi e fiumi. Perché acqua ne serve molta, anzi moltissima. Per tutto. Per produrre la Coca-Cola che viene quotidianamente venduta servono ogni giorno 75 miliardi di litri d'acqua. In queste pagine si viaggia dal Michigan del fracking al Bangladesh dalle falde superinquinate, si percorre il Mekong "assediato" dal sale marino e si toccano con mano - in Swaziland, Brasile e altrove gli effetti delle monocolture sulla possibilità, per i poveri, di avere acqua per mangiare, bere e lavarsi. In pratica, per vivere. Un viaggio intorno al globo molto documentato, appassionato e appassionante, per conoscere un problema che riguarda milioni di persone, soprattutto gli ultimi. La geopolitica e l'economia iniziano a fare i conti con l'acqua, anzi con la sua mancanza. Qui si comprendono il dove, il come e il perché di una questione che ci tocca tutti. Non solo quando abbiamo sete. Prefazione di Gianfranco Bologna.
Agenda quotidiana incentrata sul tema della pace in occasione del 100° anniversario della fine della prima guerra mondiale. L’agenda contiene: • i riferimenti liturgici del giorno • una riflessione poetica di don Pedro Casaldáliga, vescovo in Brasile da sempre schierato con gli ultimi • un personaggio di caratura internazionale di ieri e di oggi impegnato in primo piano sul tema della pace e della non violenza • le Giornate internazionali più significative • un ampio spazio per appunti «Impegniamoci, con la preghiera e con l'azione, a diventare persone che hanno bandito la violenza dal loro cuore, dalle loro azioni e dai loro gesti» Papa Francesco
Agenda biblica e missionaria pace in terra 2018.
Agenda quotidiana incentrata sul tema della pace in occasione del 100° anniversario della fine della prima guerra mondiale. L’agenda contiene: • i riferimenti liturgici del giorno • una riflessione poetica di don Pedro Casaldáliga, vescovo in Brasile da sempre schierato con gli ultimi • un personaggio di caratura internazionale di ieri e di oggi impegnato in primo piano sul tema della pace e della non violenza • le Giornate internazionali più significative • un ampio spazio per appunti «Impegniamoci, con la preghiera e con l'azione, a diventare persone che hanno bandito la violenza dal loro cuore, dalle loro azioni e dai loro gesti» Papa Francesco
Dentro le contraddizioni dei tempi attuali, la parola di Luis A. Tagle funziona come una bussola che indica la direzione di una piena umanità. In queste pagine l'arcivescovo di Manilaci guida su due binari: una lettura sapiente della parola nella sacra scrittura, e una interpretazione teologica della vita quotidiana, potente comunicazione di Dio. Un incontro con alcuni giovani; una decisione presa come educatore in seminario; il dialogo con i suoi fedeli di Manila; un colloquio casuale durante un viaggio aereo. Prendendo spunto da questi (e altri) fatti, Tagle ci fa intuire che la speranza abita ancora il nostro tempo e che la risurrezione di Cristo è capace di squarciare il male che ci circonda. Sta a noi vedere questa bellezza dentro lo scorrere dei giorni. Grazie a una teologia narrativa che affonda le radici nel pensiero asiatico, il quale predilige le storie ai ragionamenti, Tagle ci conduce a una comprensione feconda della risurrezione di Gesù. Dal mistero di morte e vita del nazareno la Chiesa deve assumere lo stile di servizio e di povertà che l'incarnazione di Dio esige. Solo così i credenti in Cristo potranno testimoniare l'autentica solidarietà con gli ultimi, vera cartina di tornasole di quanti seguono il risorto.
Tonino Guerra e Platone, il maestro Manzi e Baden-Powel1, don Lorenzo Milani e Gianni Rodari. E poi le tante esperienze di scuola creativa che incontrava nei suoi viaggi. Gianfranco Zavalloni ha insegnato ispirandosi a questi maestri di vita e di pensiero. Ma al contempo ha dimostrato in concreto che è possibile fare scuola in un modo altro, basato sull'attenzione ai tempi degli alunni, condito con la manualità di chi lavora la terra, attingendo alla sapienza del gioco e facendo vivere agli studenti la propria città come fonte di continue scoperte. E cosi nella scuola di Zavalloni si cura la bella scrittura, si costruiscono colorati aquiloni, si lavora nell'orto, si dialoga con gli anziani, addirittura gli insegnanti viaggiano per aggiornarsi. E un proverbio ispira ogni lezione: «Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara». Gianfranco Zavalloni ci accompagna in un nuovo, affascinante percorso: scoprire che l'avventura dell'imparare è ancora più bella quando insegnanti e alunni la vivono insieme, con lentezza e semplicità.
Molto di noi si gioca sulle parole: incontri e scontri, dialoghi e rotture, prese di posizione e scelte di vita. Siamo artigiani della comunicazione, i nostri attrezzi sono le parole. Ma siamo capaci di usarle bene? Come fare affinché il nostro comunicare sia pacifico e non ostile? Sappiamo che verba (non) volant, anzi possono ferire e creare fossati difficili da superare? Queste pagine, ricche di esempi pratici e di consigli fruttuosi, ci aiutano a far sì che le nostre parole diventino carezze e propostele non risultino pugni o comandi. Saper parlare con consapevolezza, responsabilità e rispetto è un compito cui non possiamo sottrarci. Per vivere in maniera costruttiva con gli altri.
Il Vecchio Continente pare avvitato su sé stesso. L'unità politica è lontana, la finanza ha preso il sopravvento in una palese spinta antidemocratica, la deriva turbocapitalistica sta minando lo stato sociale. L'immigrazione viene vissuta come minaccia, le spese militari si impennano. L'Europa come l'avevano sognata i suoi fondatori non c'è. Ci sarà? Un missionario, che dall'Africa è tornato nel cuore dell'Europa, traccia un cammino di rinascita del sogno europeista: meno finanza e più beni comuni, maggior impegno eco-solidale e meno austerità.
«Plata o plomo»: soldi o una pallottola. Ogni anno in Messico transitano mezzo milione di migranti indocumentados che dal Centroamerica in preda alla violenza tentano di raggiungere gli Stati Uniti in cerca di un futuro migliore. Sulla loro strada trovano la ferocia dei narcos, banditi che - oltre a far soldi con la droga - si arricchiscono sulla pelle dei migranti grazie a rapimenti, traffici di organi, schiavismo e prostituzione. Alejandro Solalinde non è rimasto a guardare. Dopo una vita da prete «normale», ha iniziato ad aprire le porte del cuore e di casa agli stranieri che cercavano un rifugio, un pezzo di pane, una parola di conforto. Non ha taciuto, padre Alejandro: ha denunciato i soprusi dei trafficanti, le connivenze della politica, la corruzione della polizia. I narcos gliel’hanno giurata: sulla sua testa pende una taglia di 1 milione di dollari. Di qui le minacce, i tentati omicidi, una scorta di 4 uomini per difendere un uomo che difende gli indifesi.
La vicenda di padre Alejandro - per la prima volta qui raccontata da Lucia Capuzzi - si intreccia con i 20 mila migranti rapiti ogni anno in Messico, uomini, donne e bambini che spariscono nel nulla. E con i 20 mila indocumentados accolti da questo prete tenace. Persone alle quali Solalinde dedica la vita in nome di quel Dio schieratosi dalla parte degli ultimi.
«I sequestri. Cominciarono senza che ce ne accorgessimo. Gruppi di migranti sparivano. Mi misi ad indagare. I conti non tornavano. Era evidente che molti si perdevano per strada. Dove finivano? Con molta pazienza riuscimmo a ricostruire la macchina dei sequestri. Ero un prete: mi occupavo di teologia e psicologia. Capii che mi stavo per infilare in un enorme guaio. Eppure non potevo né volevo evitarlo. Non c’era tempo per pensare a me. C’erano delle persone indifese in pericolo, in tremendo pericolo. Sapevo che dovevo fare qualcosa» Alejandro Solalinde