Il Decameron è l'opera principale del Boccaccio e quella che gli procurò la fama di grandissimo prosatore italiano. Fu composto tra il 1348 e il 1353 nel pieno della maturità artistica dello scrittore. Un gruppo di dieci giovani (tre uomini e sette donne), per sfuggire alla peste diffusasi a Firenze nel 1348, si riuniscono in un luogo appartato e si alternano nel racconto di cento novelle di contenuto e intonazione prevalentemente amorosi. Sono queste le dieci giornate più famose della letteratura italiana, raccontate dall'abile penna del Boccaccio.
"Volete avere, di questo nostro pianeta, l'opinione ch'esso meriti un certo rispetto, e che non sia poi tanto piccolo in rapporto alle passioni che ci agitano, e che offra molte belle vedute e varietà di vita e climi e di costumi; e poi vi chiudete in un guscio e non pensate neppure a tanta vita che vi sfugge, mentre ve ne state tutti sprofondati in un pensiero che v'affligge o in una miseria che v'opprime".
Allora disperato di dover morire, si mise a bastonare anatre e tacchini, a strappare gemme e sementi. Avrebbe voluto distruggere d'un colpo tutto quel ben di Dio che aveva accumulato a poco a poco. Voleva che la sua roba se ne andasse con lui, disperata come lui.
Le bugie, ragazzo mio, si riconoscono subito, perché ve ne sono di due specie: vi sono le buche che hanno le gambe corte e le bugie che hanno il naso lungo.
Straordinario romanzo della letteratura popolare e colta italiana, sottovalutato dai suoi contemporanei, I Viceré è una saga epica di inaudita ricchezza, che esplora la storia e le vicende esistenziali dell'antica famiglia catanese d'origine spagnola degli Uzeda di Francalanza. L'opera, pubblicata nel 1894, costituisce il secondo volume d'una trilogia e si cala a pieno in un'epoca di rivolgimenti di cui De Roberto è tra i massimi interpreti. Considerato oggi un grande classico della letteratura italiana, è la storia di ogni tempo, ricca di agganci storici e narrazioni incrociate tra i personaggi, nello scenario storico di una Sicilia splendida e decadente.
"Il fu Mattia Pascal" rappresenta una delle tappe fondamentali del complesso percorso compiuto da Pirandello nell'àmbito dell'introspezione e della rottura degli schemi narrativi del Verismo. Mattia Pascal, il protagonista, stanco e deluso dalla vita oppressiva che è costretto a condurre in famiglia, si allontana dalla sua piccola città di provincia e, approdato a Montecarlo, vince al gioco una somma considerevole. Gli si presenta inoltre l'opportunità di evadere dal mondo di false relazioni familiari e sociali: legge infatti, in un trafiletto di cronaca, che è stato ritrovato e identificato il suo cadavere. Superato l'iniziale sbalordimento, decide di approfittare delle circostanze per cominciare un'esistenza diversa; con una nuova identità, dunque, si trasferisce a Roma, alla ricerca di una vita solitaria. A dispetto delle sue modeste aspirazioni, però, le cose si complicano e la sua finzione si trasforma ben presto in un'altra forma di oppressione.
Petrarca si pone sullo spartiacque e sul discrimine fra Medioevo e Umanesimo, raccogliendo da un lato le tensioni e i messaggi più vividi e duraturi del primo e prefigurando, dall'altro, quell'assiduo amore per la parola dell'antico che pervase ed animò il secondo... Al pari del Dante paradisiaco, Petrarca è capace di ascendere, con il suo pensiero poetante, dalla terra al cielo, all'eterno dal tempo.
(dal saggio introduttivo di Matteo Veronesi)
Luigi Pirandello, assimilando e oltrepassando la lezione di rigore, oggettività, impersonalità lucida e feroce, impartitagli dal verismo di Verga e Capuana, seppe introdurre nei genere novellistico le note stridenti e dolorose dell'angoscia che attanaglia l'uomo contemporaneo, posto impietosamente di fronte allo specchio che illumina senza velo e senza appello le sue finzioni, le sue ipocrisie, i suoi inganni agli altri e a se stesso, le sue maschere fragili e fittizie.
"Uno, nessuno e centomila", pubblicato nel 1926, è il romanzo in cui appare in modo più articolato e coerente il pensiero pirandelliano circa la vita e la società, trattandosi della sua ultima opera che segna dunque il culmine di quella attualissima riflessione sulla complessità e sulla drammaticità della condizione umana iniziata con "Il fu Mattia Pascal" (1904). Il protagonista, Vitangelo Moscarda, esprime nella propria tragica vicenda ciò che potrebbe accadere a ognuno di noi: egli ha infatti scoperto di essere estraneo a se stesso, in quanto viene visto e costruito dagli altri a modo loro, dunque in "centomila" modi; prende così coscienza di non possedere una personalità, bensì tante quante gli altri gliene attribuiscono. L'ossessione lo travolge, gettandolo in un vortice di follia, e facendolo giungere a rinnegare perfino se stesso.
Luigi Pirandello, uno dei massimi geni del Novecento, seppe, forse meglio di chiunque altro, illuminare ed esplorare le angosce, le dissociazioni e i contrasti interiori che lacerano la coscienza e lo spirito della modernità. In "Sei personaggi in cerca d'autore", questa visione tormentata si traduce in un vero e proprio "teatro della mente" nel cui allucinato e straniato spazio scenico la coscienza osserva e tortura ossessivamente se stessa. In altri termini, si traduce nella geniale innovazione del "metateatro", del teatro "su" e "nel" teatro, della rappresentazione che rappresenta se stessa proprio nel momento e all'atto del proprio farsi, del proprio divenire, del proprio prender forma nel tumultuoso groviglio che avvolge e intreccia la vita e la forma, la realtà e la sua ombra, l'esistenza e la maschera, la "vita nuda" e il suo illusorio fantasma.
Dopo le prime prove di ispirazione civile, la crisi del 1819 ("dal bello al vero") segnò una svolta nella produzione leopardiana; alla stesura delle successive canzoni si associò la composizione dei cosiddetti "piccoli idilli", le une e gli altri supportati da un pensiero sempre più lucido sul valore della scrittura letteraria e, in generale, dell'esistenza. Infine, a partire dall'aprile del 1828, Leopardi trovò un'originale misura lirica, che fu capace di rivestire di bellezza una tematica arida e desolata e che culminò negli accenti eroici e polemici del periodo napoletano. Sedimentazione attiva di questa straordinaria vicenda poetica e umana furono i "Canti", caposaldo imprescindibile della nostra tradizione letteraria e testo fondante della nuova sensibilità romantica. Essi furono pubblicati in primis nel 1831, quindi nel 1835 e, postumi, nel 1845, subendo da una redazione all'altra significative modifiche e aggiunte e definendo così il senso di un'opera aperta, di un capolavoro d'introspezione psicologica e di riflessione esistenziale.