Il volume indaga sul contributo che la narratività può offrire alla teologia morale. Le domande che accompagnano la riflessione sono le seguenti: quale relazione intercorre tra narratività e discernimento morale? Qual è la ricaduta della pratica narrativa sul discernimento morale? La prospettiva da cui sono considerate tali questioni è quella del pensiero filosofico di P. Ricoeur. Punto di approdo dell'intero percorso è l'individuazione di un metodo narrativo di discernimento.
Gli interrogativi sollevati da una rilettura della tradizione fenomenologica ed ermeneutica del Novecento, da alcuni elevata a paradigma filosofico, sono numerosi e non riassumibili in un singolo testo. L'intento è soprattutto quello di ricostruire l'unità del pensiero fenomenologico-ermeneutico, restituendo legami in grado di suggerire una direzione ad un panorama filosofico frastagliato e prospettico. Viene così affrontata nei diversi autori l'ispirazione fenomenologica che, sia pure in nuce con esiti teorici alquanto differenziati, ha comunque caratterizzato unitariamente e originalmente una grande stagione filosofica, annettendo nuovi motivi al tradizionale quadro teorico (Husserl - Heidegger - Gadamer), come il rapporto tra Gadamer e Derrida e il debito fenomenologico di autori quali Lévinas e lo stesso Derrida. Le indagini svolte e gli spunti provocati vorrebbero dimostrare l'importanza e l'attualità di una impostazione di pensiero che ha dovuto fare i conti, fino a considerarsi superata, con le nuove tendenze filosofiche impegnate a ribattere in modo parassitario i risultati delle scienze positive.
Il presente volume inaugura una nuova collana dell'editore dedicata ad offrire strumenti per la scuola, il dibattito e l'aggiornamento culturale. A cominciare dal tema del male che è l'oggetto del primo numero. Ogni commento alle tragedie moderne è misurato dall'orrore di Auschwitz, vero spartiacque della nostra storia, evento che sembra rifiutarsi ad ogni spiegazione, destinata ad apparire una consolazione a poco prezzo e dunque un'ulteriore ingiustizia nei confronti delle vittime. L'impossibilità di spiegare il male ha tuttavia condotto ad atteggiamenti di rassegnazione, assuefazione, finanche di complicità, che l'autore si incarica di analizzare per contrapporli alla domanda di Giobbe, il personaggio biblico vittima delle peggiori disgrazie che pure non rinuncia ad invocare giustizia per l'uomo. La sua è una protesta contro il silenzio di Dio di fronte alle vittime, ma proprio percorrendo quel silenzio l'autore vi troverà un appello alla libertà dell'uomo affinché diventi responsabile verso l'altro uomo. Appello che conduce l'uomo ad un più intimo e sofferto colloquio con Dio. La protesta di Giobbe ci consegna così una nuova immagine di Dio, disponibile ad accogliere le domande e i dubbi più inquietanti dell'uomo moderno.