Il tema di Dio ha una dignità filosofica? Sullo sfondo delle correnti più significative della filosofia del Novecento, gli interventi di alcuni docenti di chiara fama consentono di illustrare i principali modelli teorici che caratterizzano il dibattito contemporaneo. L'interrogativo se si dia una "ragione" per "Dio" sollecita una verifica della "ragione" stessa alla prova del soggetto effettivo: cosa dice "Dio" in rapporto all'istanza dell'unicità personale? A cornice di questo dibattito pubblichiamo la prolusione del Rettore Magnifico della Statale di Milano per l'inaugurazione dell'anno accademico della Facoltà.
La fede senza la ragione non diventa umana (J. Ratzinger). Ciò che rende umana la fede non è la fondazione razionale della teologia - improponibile nel contesto "postmoderno" e "postmetafisico" - ma l'esplicitazione argomentata della destinazione universale del discorso cristiano. La teologia non necessita di alcuna fondazione filosofica, perché il suo centro - il mistero di Dio in Gesù Cristo - non è riducibile ad una logica fondativa, né tantomeno dimostrativa. Tuttavia il discorso teologico esige una legittimazione filosofica perché esso non può risolversi esclusivamente come teologia della rivelazione senza impegnarsi in un'analitica della libertà. L'umanità della fede rinvia ad un'antropologia della libertà che è correlativa al realismo cristologico. Il saggio attraversa il travagliato ripensamento della teologia filosofica dopo la duplice provocazione heideggeriana e barthiana attraverso il confronto serrato con tre teologi - Henri Bouillard, Karl Rahner e Christoph Theobald - che assumono fino in fondo la sfida di superare l'estrinsecismo filosofico della teologia. Solo riconoscendo alla libertà un rilievo concostitutivo nell'evidenza della verità è possibile riconoscere Gesù come verità di Dio e dell'umano.
Il volume raccoglie il lavoro seminariale che ha coinvolto docenti e studenti della Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale e dell'Università Cattolica di Milano. La prospettiva teorica all'interno della quale i vari contributi si dispongono può essere caratterizzata ad un doppio livello: da una parte si è cercato di evitare l'enfasi sulla categoria di "male assoluto", dall'altra di superare una certa interpretazione metafisico-ontologica che, accontentandosi di identificare nel male sempre e solo un non-essere, ha finito per perdere di vista l'ampiezza e lo spessore dell'esperienza che il soggetto compie attraversando questo "lato oscuro" della sua e altrui vita. Per quanto riguarda l'interpretazione metafisico-ontologica del male, i diversi contributi si sono sforzati di restare il più possibile aderenti all'esperienza del soggetto, e a tale scopo, anche quando si sono confrontati con alcuni dei momenti più alti della speculazione teologico-filosofica, non hanno mai abbandonato la via dell'analisi e della riflessione antropologiche.