Negli anni Venti del XXI secolo - oggi - il mondo è all'incrocio di quattro crisi: la crisi pandemica, non ancora conclusa e che ha accelerato e fatto emergere evoluzioni già in corso; la crisi climatico-ambientale, che nell'estate ha cominciato a mordere in molte aree del pianeta; la crisi geopolitica, con una guerra che si prolunga nel cuore del «vecchio continente»; infine, la crisi economico-sociale, in parte innescata dall'innovazione tecnologica, complicata dalla crisi ambientale, dalla pandemia e dalla guerra. Queste quattro «crisi» - nel senso greco del termine, che si può rendere, nell'italiano di oggi, con «momento decisivo», quindi non necessariamente negativo - influenzano un'economia mondiale che sta perdendo i suoi caratteri di globalità e riducendo le proprie capacità di crescita. L'unica certezza è che il mondo non tornerà come prima: per affrontare le crisi, per coglierne le opportunità e non solo subirne i danni, abbiamo bisogno di pensieri nuovi, di nuove analisi, di uno sguardo lungo. Ed è quello che proviamo a fare in questo lavoro.
«Un contributo che dai credenti può venire alla sinistra è quello della radicalità. L'urgenza delle sfide che sono di fronte a noi esige proposte forti, non scolorite». Nel panorama politico del Novecento il Partito comunista italiano ha rappresentato una delle espressioni più originali del movimento comunista internazionale e della famiglia socialista europea. Alla radice di questa originalità c'è anche l'attenzione alla religione, presente già nell'opera di Gramsci. Gramsci, Togliatti e Berlinguer non erano credenti: incontrarono il cattolicesimo, che da noi ha carattere anche di popolo, approfondendo l'analisi della società italiana e le vie per il suo cambiamento. Da questo è derivata la condivisione di un impegno su questioni come il disarmo e la pace, ma anche un dialogo che ha approfondito l'interpretazione del marxismo, una sua rilettura in rapporto alle fedi religiose e soprattutto la scelta di un pluralismo di culture, a fondamento della laicità del partito. «Le radici si selezionano, non si recidono, altrimenti, come una pianta, la sinistra rinsecchisce e muore» scrive Chiti. E proprio perciò nasce questo libro: per condividere la storia del Pci, ma soprattutto per ritrovare nella radicalità - che non è radicalismo, né estremismo - quella tensione etica che è fondamento di ogni progetto di rinnovamento sociale e democratico.
Il dramma del popolo siriano non è soltanto racchiuso nella guerra devastante che dal 2011 ha ucciso migliaia di persone e distrutto gran parte del paese, ma si risolve soprattutto nell’esilio: il trauma della privazione e del distacco forzato dalla propria terra che si realizza anche nell’impossibilità di essere libero in patria. Il titolo esalta il carattere essenzialmente “politico” della condizione dell’esule – cominciato ben prima del 2011 e articolatosi attraverso vie di fuga e resistenza al regime degli Asad. Attraverso l’unione di competenze diverse, mutuate da un’esperienza diretta della Siria, comune a tutti gli autori di questo libro, il volume ha l’ambizione di proporre una sintesi dell’intreccio delle varie crisi politiche – nazionali, regionali e internazionali – oggi rappresentate dal dramma del conflitto siriano
Nel Kenya dei villaggi, quello con le strade in terra battuta, può capitare che l'autobus si impantani e che l'autista faccia scendere tutti per spingere al ritmo scandito di "Harambee!", un incitamento corrispondente al nostro "Oh issa!". È questa la metafora che Matteo Richetti utilizza per descrivere la politica e il suo senso più profondo: quello della generosità di chi non abbandona una situazione di difficoltà e quello di un impegno che ha bisogno del contributo di tutti. "Spesso, in questa stagione politica in cui le cronache dei giornali raccontano solo divisioni, ho invocato l'Harambee. Perché tu puoi rimanere diverso, con i tuoi distinguo, ma le tue braccia servono per spingere insieme agli altri". Un racconto passionale di come la politica senza umanità e coraggio, senza il riconoscimento di fatica e fragilità, perda il suo significato più alto. Un invito a crederci e a non tirarsi mai indietro rivolto a tutti, in particolare ai giovani.
La sfiducia nei confronti della capacità della politica di ascoltare, affrontare e risolvere i problemi dei nostri tempi si ripresenta periodicamente, confondendosi di volta in volta con la sfiducia verso i partiti o verso i politici (la casta!). Come conseguenza naturale appare il moto del disimpegno qualunquistico, ma è uno sfociare evitabile ed evitato in una moltitudine di casi. Per alcuni, infatti, la sfiducia individuale o collettiva diviene ragione di ancora più urgente premura, di solerzia nei confronti della comunità. Parliamo in questo caso di ostinazione civile, comportamento che può essere svelato da azioni e comportamenti, ma anche da semplici parole chiave. Ecco, quindi, una sorta di glossario dell'impegno civico, che sfugge alle teorie e alle analisi del "civismo" per calarsi nella concretezza della rigenerazione possibile della politica. Per le nuove, affascinanti sfide che attendono le nostre città.
Un'analisi lucida e imparziale sulle lunghe ombre politiche, economiche e sociali che dal ventennio della brutte époque si stendono sul Paese, e sulle "luci" che possono illuminare un progetto di rifondazione. L'appuntamento del Giubileo (2025) e quello probabile delle Olimpiadi (2024) devono essere spunto per impostare un grande progetto di risanamento e sviluppo dell'Italia, un progetto che gli autori presentano nella terza parte del libro indicando obiettivi, interventi, strumenti e azioni concrete, e proponendo "al Governo" la convocazione degli stati generali dell'Italia per coinvolgere finalmente le classi dirigenti, sin qui latitanti, in un vero progetto di rifondazione e rinascita del Paese. Lasciare Renzi "uomo solo al comando" - sostengono gli autori - è anche responsabilità di tutte le classi dirigenti del Paese, politiche e non, che invece devono tornare a suonare tutte assieme, in un concerto pluralista di suoni e voci, una sinfonia che sia un vero progetto di rinascita e sviluppo del Paese.
Un colpo al cuore? Ma perché mai? Il decreto Renzi di riforma delle grandi banche popolari accende il dibattito fra sostenitori e critici, qui rappresentati da Franco Debenedetti e Gianfranco Fabi. Il confronto fra loro è introdotto da Giulio Sapelli, per il quale il problema non è contrastare l'innovazione ma salvaguardare il rapporto fra banca e territorio, e da Lodovico Festa, il quale ritiene che bisognerebbe evitare l'ennesimo intervento sulle banche senza visione sistemica. Il modello cooperativo "una testa un voto", argomenta Debenedetti anche in base a personali esperienze, dà luogo a opacità e disfunzionalità gestionali. Smarrito l'originario spirito mutualistico, l'adozione del modello "un'azione un voto" da tempo sarebbe stata vantaggiosa; ora, con l'unione bancaria, diventa non procrastinabile. Fabi, invece, vede la riforma come un giallo: "C'è la vittima: le grandi banche popolari. C'è il colpevole: il Governo. C'è l'arma del delitto: il decreto legge del 20 gennaio. Ci sono i complici: il Parlamento. C'è il mandante: la Banca d'Italia e, in secondo piano, la Banca centrale europea".
Certamente Matteo Renzi è tutt'altro che un dilettante, a differenza di molti altri della sua generazione. È difficile, infatti, tenere lontana la sensazione che il ceto politico italiano sia stato invaso da una travolgente ondata di dilettantismo. Siamo, forse, di fronte al riavvio del moto oscillatorio che da sempre vede celebrare nel nostro paese la rappresentazione dell'antagonismo fra il vecchio e il nuovo. Vent'anni fa il pendolo cadde sul "nuovo" inteso come "lontano" dalla politica politicante e nacque il berlusconismo. In questo momento il moto armonico intercetta il "nuovo generazionale" come ultima possibilità, dopo aver consumato tutti i "nuovi" possibili in quattro lustri di imprudenti speranze e delusioni cocenti. Questo libro cerca, allora, di indagare i caratteri salienti del "nuovo" ceto politico italiano, esaminandone i vizi, le virtù, il linguaggio, lo scarso insediamento sociale, l'incerta formazione culturale e la distanza dai cittadini. Lo fa mettendo a confronto numeri e norme, il contesto italiano con quello di altri paesi democratici e il tempo odierno con stagioni passate. Lo fa, anche, gettando un occhio sul futuro.
Pagliacci e forcaioli, innovatori che non innovano nulla, élite senza patriottismo, un popolo senza speranza, vecchie cariatidi in pista da decine di anni e nuove speranze con poca cultura, tecnici stimati solo all'estero, medicine inutili somministrate agli italiani solo per rabbonire l'Europa... Sono alcuni dei temi trattati da Lodovico Festa e Giulio Sapelli in questo dialogo paradossale, ma niente affatto gratuito, il cui filo conduttore è quanto l'Italia di ieri, quella dei Medici e dei papi rinascimentali, assomigli a quella di oggi, da Tangentopoli a Renzi. Sicuramente è una forzatura estrema comparare il Moro a Cuccia, Giulio II a Napolitano o Carlo V alla Merkel, ma lo è un po' meno commentare i continui sacchi di Roma e l'accettazione passiva del dominio straniero. Per gli autori, la realtà attuale è così disgregata che il paradosso diventa strumento per guardare più a fondo la situazione italiana: a quanto da lontano vengano questioni e tendenze essenziali per la nostra società, e quanto siano ancora valide le riflessioni (contrapposte) di grandi intellettuali come Niccolò Machiavelli e Francesco Guicciardini. L'interrogativo finale riguarda tutti: oggi, in Italia, si può sperare in un nuovo Principe (cioè un Nuovo Stato) o si deve, invece, accettare l'opinione antica quanto corrente del: "Franza o Spagna purché se magna"?
Nuovi scenari si spalancano aperti dalle primavere arabe, dallo "shale gas", dall'accordo fra Asia e America del Sud. Mentre l'Europa si perde nella sua stagnazione più che nella sua depressione, la Russia appare sempre più isolata, la Cina potente e aggressiva, gli antipodi più lontani. La vecchia convergenza di crescita che ha garantito lavoro, commercio, stili di vita è finita: la faglia fra i continenti si allarga, con il disimpegno degli USA dalle aree transatlantiche a favore di quelle transpacifiche. Nella nuova geostrategia mondiale, la sfida decisiva resta pur sempre l'approvvigionamento energetico, ma lo sviluppo dello "shale, oil and gas" lima l'interesse usa per il Golfo e apre pericolosi vuoti di potere. Per questo, mentre le rivolte arabe mettono in crisi l'assetto europeo, soltanto l'integrazione della Russia può por rimedio al caos. E della Russia ha bisogno economicamente e diplomaticamente soprattutto l'Italia, che avanza verso il baratro pagando un dazio eccessivo a un asse nord-teutonico.
Il potere in Italia è allo stato gassoso, senza un centro e senza una vertebrazione. È solo fondato sul denaro, quindi instabile e non in grado di ottenere una legittimazione. I partiti si sono trasformati in strutture di dominio personalistiche. La solitudine è, quindi, la cifra di un potere via via disgregantesi in un'Italia sempre più frammentata.
È possibile oggi pensare un "modello italiano" per le politiche di integrazione, che tenga conto delle caratteristiche demografiche ed economiche, della storia e della tradizione culturale del nostro Paese. È il fatto nuovo che emerge dalle pagine di questo volume. Una "cultura diffusa" dell'integrazione già si manifesta spontaneamente nelle famiglie, nelle scuole, nei luoghi di lavoro, nelle associazioni, negli enti locali. È tempo che essa permei anche lo Stato, e che una regia statale gestisca l'immigrazione, accompagni il passaggio dall'emergenza a opportune politiche di integrazione. È ciò che è accaduto a partire dal novembre 2011, con la creazione di un ministero per la Cooperazione internazionale e l'Integrazione. "La nostra può essere una città migliore. Per chi viene da altre storie, per chi viene dalla nostra storia. Per chi costruirà, d'ora in poi, l'unica storia degli italiani di domani. C'è un gap da colmare, c'è una casa comune da edificare. Al di là degli umori, dei luoghi comuni, delle parole gridate o superficiali. Perché la realtà - ed è la realtà che ci viene presentata in questo volume - ci dice che i tempi sono cambiati, sono maturi, che è giunto il momento di passare dall'emergenza e dal silenzio all'integrazione" (dalla presentazione di Marco Impagliazzo). Contributi di Lorenzo Bini Smaghi, Gianpiero Dalla Zuanna, Umberto Eco, Andrea Riccardi.