Il saggio si prefigge di analizzare il tema dell'evoluzione spirituale nel pensiero del Padre della Chiesa orientale, definito "il più mistico di tutti". Un profondo conoscitore di Gregorio scriveva negli anni cinquanta: "Egli ha effettivamente provato quello che ha rappresentato e trasmesso agli altri, egli possedeva la experientia in alto grado". Questo studio si pone come riferimento obbligato per la figura del grande Cappadoce.
Il Libro del Sé (divino), è il secondo trattato del grande sûfî andaluso Muhyî 'l-Dîn ibn 'Arabî (m. 1240) che vede la luce nella collana I Gioielli. Per quanto breve, l'opera è di notevole interesse poiché evoca il tema metafisico per eccellenza: l'unicità, l'esclusività, l'assolutezza e l'onnipervasione del Sé divino, radice ultima e profonda di ogni esistente. La traduzione dall'arabo è preceduta da un'ampia introduzione della curatrice che, attraverso la Scienza delle Lettere, ci fa accostare alla Scienza alchemica, a quella dei Nomi e a quella dei numeri, nonché da una saggio di Paolo Urizzi in cui la dottrina di Ibn 'Arabî sul Sé divino viene messa a confronto con gli unanimi insegnamenti dell'advaita Shankariano.
La memoria è essenziale per chi, come Marcel Proust, va alla ricerca del tempo perduto ma è pure fondamentale per chi va alla ricerca delle ricette del tempo che fu. Curiosando nelle cucine dei Guermantes, dei Verdurin, di Françoise e del Grand Hotel di Balbec questo volume ci conduce nel mondo della Belle Epoque proponendo i piatti del romanzo più sontuosi come la Salade Japonnaise, più tradizionali come il Boeufen gelée e più semplici come la Madeleine, quel dolcetto dal nome tanto grazioso che scatenò nella mente del romanziere francese il viaggio a ritroso nel tempo nel quale le papille gustative diventano l'organo che scatena i ricordi più deliziosi ma anche più terribili.
"Non detti in pianto vedendo la luce. Il che manifestò il mio carattere pacifico". Così Carlo Goldoni presentando se stesso nei Mémoires. La capacità di opporre ai dolori la serenità, gli permise di "ciacolare" sulle pecche dei contemporanei come proprie di tutta l'umanità. Così, se pranzeremo con i suoi personaggi, li riconosceremo immediatamente: l'avaro ci servirà "roba brodosa"; la donna emancipata "intingoletti e salsette", mentre la scaltra "cioccolata in guantiera". L'onestà dei difetti di ognuno sarà garantita da Arlecchino, il più difettoso servitore del mondo: "Se t'inganno, prego el cielo de perdere quello che gh'ho più caro: l'appetito".
La vita di Muhammad, di Martin Lings, è diversa dalle altre apparse finora: è un'importante e autorevole biografia del Profeta, scritta da un autore occidentale per lettori occidentali. Basata su fonti arabe dell'ottavo e nono secolo, delle quali alcuni passi importanti vengono qui tradotti per la prima volta, essa deve la sua immediatezza di approccio alle parole di uomini e donne che udirono parlare Muhammad e che furono testimoni della sua vita. Martin Lings ha adottato uno stile scorrevole, che riflette e la semplicità e la grandezza della storia. Tradotto in lingue che solo in Europa spaziano dal bosniaco allo svedese, è considerato una vera pietra miliare nella letteratura storiografica/religiosa riguardante l'Islam.
Gli antichi eremiti cristiani sapevano guarire le malattie, dominare le forze della natura, prevedere il futuro; lottavano contro i demoni e conversavano con gli angeli; vivevano un'esistenza di stenti e privazioni difficile da immaginare, che li poneva però in una condizione privilegiata nel rapporto con Dio; dimoravano nelle solitudini dei deserti o in aride lande, ma godevano al tempo stesso di rilievo sociale e grande prestigio. Bastano queste poche caratteristiche a delinearne l'eccezionale profilo: la loro straordinaria storia si sviluppò nel mondo romano tra il III e il VII sec. d.C., in particolare nei territori di Egitto, Siria, Palestina e Asia Minore. Questo libro ripercorre le vicende dei "solitari", proponendo nuove prospettive di studio ed evidenziando un aspetto finora inedito:nello stesso arco cronologico alcune donne decisero di seguire la strada dei Padri del deserto e divennero eremite; scegliendo forme di solitudine adeguate alla natura femminile, sfidarono i pregiudizi di quel tempo e trovarono la loro strada verso la "Città di Dio".