Un «manifesto dell’accoglienza degli stranieri» in cinque capitoli: Vincenzo Passerini, già leader della Rete e assessore provinciale dell’Istruzione del Trentino, ha dedicato il suo impegno politico agli ultimi, e dopo la politica – tra volontariato in Africa e la presidenza del Punto d’Incontro fondato da don Dante Clauser per dare pasti e dignità ai senzatetto – ha proseguito la lotta culturale e sociale per un’eguaglianza vera tra «noi» e «loro», in fuga dalla guerra e dalla miseria, e in cerca di rifugio nel nostro Paese. Da Nord a Sud, la tentazione dell’egoismo e la prospettiva della fraternità.
I cinque capitoli: Spezzare le catene; Praticate l’ospitalità (potreste accogliere degli angeli); Costruire la convivenza; «Violenti e immorali»: albanesi di oggi? No, trentini di ieri; Ci salveranno i figli di un Dio minore.
Un «manifesto dei migranti»
di bruciante attualità
Un gruppo di giornalisti haitiani e brasiliani raccontano l'isola dopo il disastroso terremoto del gennaio 2010, con i suoi trecentomila morti e un Paese in ginocchio. Tra dolore e speranza la rinascita di un popolo poverissimo che cerca di costruirsi - nonostante tutto - un futuro diverso. Da un'agricoltura in agonia ai tentativi di sviluppo sociale, dalle scuole alle radio comunitarie, la parola d'ordine è resistere. Come un popolo. Il popolo di Haiti.
"Sono nato a Tripoli, in Libia, da una ricca e rispettata famiglia ebrea ortodossa radicata nel Nord Africa da due millenni. Ero il quarto di sei figli e, con i miei genitori, sono stato uno degli esiliati dalla Libia nel 1967, dopo la Guerra dei Sei Giorni. Siamo emigrati in Italia, arrivandovi privi di beni e di ogni altro documento all'infuori di un attestato di rifugiati delle Nazioni Unite. La mia storia rientra in una storia più grande: quella degli ebrei sefarditi cacciati dalla Spagna nel 1492 e fuggiti attraverso dieci Paesi arabi". Così comincia la difficile e appassionante storia di David Gerbi, raccontata in questo libro.
A cura di Maria Luisa Crosina
Sandali ai piedi e borsa di lana a tracolla, il missionario olandese Frans van der Hoff ha fondato nel 1989 il primo marchio equo e solidale, Max Havelaar. Nel suo Manifesto dei poveri, un testo conciso, appassionato e profetico, spiega che un altro mondo è davve­ro possibile e lui l'ha sperimentato e continua a viverlo tra i contadini coltivatori di caffè dello stato messicano di Oaxaca.
L'idea è semplice e insieme rivoluzionaria: il lavoro umano ha una sua dignità e un suo prezzo. Se la logica delle multinazionali sfrutta la fatica dei produttori, bisogna metterli in contatto diretto con i consumatori, aggirando così l'idolo e il Moloch delle leggi del mercato. Con il commercio equo e solidale - spiega - si smonta la sacralità del mercato, oggi intoccabile e indiscutibile. E quando si rimette l'economia al suo posto, che non è il primo, che spetta invece alla vita delle donne e degli uomini, al loro lavoro, alla loro dignità, il mondo diventa davvero migliore. Per la nostra generazione, e soprattutto per le generazioni che verranno.
"Il capitalismo non esiste che da duecento anni e noi abbiamo potuto constatare, in modo definitivo, che le contraddizioni che gli sono proprie portano in se stesse i germi del suo superamento: il commercio equo e solidale è uno di questi".