A sessant'anni dalla legge che aprì le porte della magistratura alle donne, affondiamo lo sguardo nelle storie delle otto vincitrici del primo concorso. La fotografia di un'Italia che faticosamente cambiava volto. Graziana Calcagno, Emilia Capelli, Raffaella d'Antonio, Giulia De Marco, Letizia De Martino, Annunziata Izzo, Ada Lepore, Gabriella Luccioli sono le «temerarie» vincitrici del primo concorso che, nel 1963, aprì le porte della magistratura alle donne: figure d'eccellenza, sconosciute ai più, che si misero in gioco sfidando il pregiudizio maschilista fortemente radicato in ambito giudiziario. Nel seguirne il percorso biografico e professionale - ricostruito attraverso documenti e testimonianze di discendenti e colleghi - ci si addentra in un'Italia caratterizzata da profondi mutamenti sociali e culturali, in una storia che è corale e individuale.
Che cos'è stato effettivamente il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, quali sono state le sue origini e come si è sviluppato, chi sono le donne e gli uomini che ne hanno fatto parte, qual è stato il suo contributo alla storia socio-economica e a quella politico-istituzionale? Frutto di una ricerca pluriennale, in gran parte condotta su fonti dirette e inedite, questo libro ricostruisce la storia del CNEL, dalle origini sino al 2000. Ne evidenzia le potenzialità, l'alto profilo dei suoi componenti, la qualità di molti suoi contributi; ma anche i problemi di un organo che ha incontrato non poche difficoltà, supporti deboli e discontinui (persino dalle forze sociali), una diffusa opposizione alla sua ascesa. Eppure il CNEL ha resistito, ha lavorato più di quanto è apparso e si è mosso spesso in senso contrario alle tendenze prevalenti. Alla logica del conflitto fra le diverse componenti del sistema socio-economico, che prevaleva nelle piazze e nei palazzi del potere, ha cercato di contrapporre il dialogo e la cooperazione. L'avanzata del neoliberismo, il fascino della cosiddetta democrazia decidente, l'insistenza sulla semplificazione lo hanno condannato pubblicamente, ma non sono riusciti a cancellarlo.
Dominio e sottomissione sono i due termini di un rapporto di potere fortemente asimmetrico che innerva la storia dell'umanità e che nella civiltà occidentale ha conosciuto numerose metamorfosi. Di questa vicenda millenaria il libro offre una magistrale ricostruzione, mettendo a fuoco alcuni momenti esemplari e sempre soffermandosi sulle teorie filosofiche che hanno plasmato i nostri modi di pensare, sentire, agire, e sulle implicazioni antropologiche, politiche e culturali connesse ai cambiamenti. A partire dalla tradizione antica della schiavitù che trova in Aristotele la sua più potente legittimazione, il racconto si snoda lungo i secoli per concentrarsi sull'evoluzione delle macchine chiamate a sottrarre il lavoro umano prima agli sforzi fisici più pesanti, poi a quelli mentali più impegnativi. Un processo che continua oggi con i prodigiosi sviluppi dei robot e degli apparecchi dotati di Intelligenza Artificiale o, detto altrimenti, con il trasferimento extracorporeo di facoltà umane come l'intelligenza e la volontà, e il loro insediamento in dispositivi autonomi.
Per tutta l'età moderna, lo Stato della Chiesa fu un principato ben radicato nel sistema degli Stati italiani: articolato in un intreccio piuttosto fitto di piccole e medie città, rette a regime patriziale e interessate da processi di trasformazione urbanistica e abbellimento che ne definirono l'identità. Questo libro ripercorre la vicenda della formazione dello Stato, gli anni di massimo fulgore e la successiva progressiva crisi, conseguenza di una struttura economica fragile, della tempesta rivoluzionaria e della impossibile modernizzazione. Con il tramonto del potere temporale si conclude la vicenda dello Stato della Chiesa, lasciando importanti tracce nel tessuto culturale, artistico, urbanistico e religioso di un'ampia area dell'Italia centrale e soprattutto nella città di Roma.
Le nostre creature sono diverse da noi e talvolta più forti. Per poterci convivere dobbiamo imparare a conoscerle Vagliano curricula, concedono mutui, scelgono le notizie che leggiamo: le macchine intelligenti sono entrate nelle nostre vite, ma non sono come ce le aspettavamo. Fanno molte delle cose che volevamo, e anche qualcuna in più, ma non possiamo capirle o ragionare con loro, perché il loro comportamento è in realtà guidato da relazioni statistiche ricavate da quantità sovrumane di dati. Eppure possono essere in certi casi più potenti di noi: ci osservano continuamente, e prendono decisioni al nostro posto. E allora come incorporarle nella nostra società senza rischi ed effetti collaterali? Questo libro - rigoroso, pungente, originale nell'approccio - ci spiega come siamo arrivati sin qui, e indica il percorso che ci aspetta prima di poterci fidare di questi nuovi agenti «alieni». La tecnologia non basta, occorre un dialogo tra scienze naturali e umane: è il passaggio cruciale per una convivenza sicura con questa nuova forma di intelligenza.
Un regime di alternanza politica caratterizza normalmente le democrazie liberali. L'Italia non è mai riuscita a raggiungere questo livello di sviluppo del suo sistema politico. Nella prima Repubblica questo ebbe forma 'centrista' e fu, come lo definiva Aldo Moro, una 'democrazia incompiuta', essendo l'alternativa che il partito comunista proponeva, ideologicamente e politicamente respinta da tutte le altre forze democratiche. Cadute storicamente tali pregiudiziali, neppure la seconda Repubblica, dopo il 1992, è riuscita a dare stabilità a un regime di alternanza, per la debolezza dei partiti e delle coalizioni che vi si sono contrapposte nell'affrontare i problemi nodali di carattere economico e sociale. Sono maturati nel frattempo anche in Italia quei processi di intrinseca modificazione del modello stesso di democrazia rappresentativa, che caratterizzano anche altri paesi democratici e vengono definiti di 'postdemocrazia'. All'analisi di questa lenta trasformazione della nostra democrazia si uniscono, nelle pagine che seguono, i profili di quattro uomini politici, Aldo Moro, Ugo La Malfa, Enrico Berlinguer e Bettino Craxi che, fin dagli anni Settanta del secolo scorso, si posero il problema della necessità di un cambiamento politico del sistema, senza risolverlo.
Il nome di Spartaco è legato alla terza e più nota delle guerre cosiddette servili, ribellioni di schiavi e non solo, che afflissero lo Stato romano fra secondo e primo secolo a.C. All'indomani di conflitti che avevano lasciato strascichi spaventosi di rovine, lutti, odio, Spartaco riuscì a coagulare attorno a sé lo scontento delle popolazioni meridionali, soprattutto appenniniche, non ancora integrate. Fu dunque l'ultimo condottiero di un'Italia disperata e furibonda, da secoli in lotta con Roma. Crasso mise fine alla guerra, ma Roma, provata, fu infine costretta a cedere pienamente alle richieste degli Italici. «Brizzi apre il dossier dell'"altra Italiaµ, quella del mondo appenninico e meridionale che fino all'inizio del I secolo a.C. prese più volte le armi contro Roma» (Paolo Mieli).
È necessario rivedere le nostre idee, le nostre categorie, la nostra interpretazione del passato oltre che del presente. Perché anche le categorie e le interpretazioni, come tutti gli oggetti storici, deperiscono e alla fine si inabissano, o cambiano talmente di significato da diventare creature nuove, malgrado portino il vecchio nome. Il Covid e l'invasione russa dell'Ucraina hanno illuminato di colpo l'evoluzione e la crisi delle società occidentali e facendo ciò, hanno reso evidente quanto le categorie con cui siamo cresciuti e abbiamo interpretato il Novecento, e, le nostre stesse vite, siano ormai logore. Andrea Graziosi riflette sulle cause e le conseguenze dei mutamenti che hanno progressivamente trasformato l'Occidente scaturito dal secondo conflitto mondiale. Fine del mondo contadino, individualizzazione, crollo delle nascite e straordinario balzo in avanti nell'attesa di vita che ha reso e rende tutte le società più vecchie e meno vitali, coagularsi di nuove istanze reazionarie, ricomposizione faticosa di collettività plurali dal punto di vista etnico e del colore, crisi dell'azione e delle forme della politica sono alcuni degli aspetti sui quali si sofferma. Su che cosa potremmo far leva per salvare, innovando, un tipo di Occidente e di Modernità che è in crisi ma era riuscito, pur con tutti i suoi difetti, ad aumentare libertà e dignità umane più di ogni altro sistema conosciuto, e il progetto europeo che ne è uno nei nuclei fondamentali?
«Quello costruito da Giorgia Meloni insieme ai suoi coetanei della generazione Atreju è, a tutti gli effetti, non solo nel simbolo, il terzo partito della Fiamma e, al tempo stesso, l'espressione di una destra a-fascista, nazional-conservatrice che, diventata centrale nella politica italiana, tenterà di cambiare gli equilibri della politica europea». Secondo Giorgia Meloni, Fdi è costituito da «uomini e donne che corrono da un'epoca all'altra, da una generazione all'altra, portando con sé una fiamma che non si è mai spenta completamente». Proprio da qui nascono gli interrogativi sul suo partito, sui legami con il fascismo di ieri e la «destra radicale» di oggi. Interrogativi alimentati dalle apparenti contraddizioni di un partito chiuso, gerarchico, old style, con a capo una donna, una leader pop, capace di usare tanti registri comunicativi e di rivolgersi con gli stessi termini a pubblici diversi, alternando rivendicazioni di coerenza e duttilità, teorie del complotto e amore materno, estremismo verbale e realismo. Alla luce di una analisi articolata, documentata, rigorosa, condotta senza pregiudizi e senza sconti, il libro propone una ricostruzione da cui emergono continuità e rotture con Msi e An, un resoconto su persone e circostanze che hanno segnato la costruzione di Fdi, di cui analizza la struttura organizzativa, il profilo ideologico, il network internazionale, la comunicazione, l'elettorato. Infine, riannoda questi vari elementi in una lettura compiuta sul percorso fatto e l'identità costruita nei primi dieci anni di vita, sulle fortune e le virtù che hanno portato gli eredi di una tradizione politica destinata ad estinguersi alla «guida della Nazione».
Bruto è il nome della libertà, accomuna i due uomini che armarono la propria mano l'uno contro Tarquinio il Superbo, l'altro contro Cesare. Nel primo caso, Lucio Giunio Bruto caccia il tiranno e diventa il fondatore della libertà, nel secondo caso, Marco Giunio Bruto si fa congiurato nel tentativo, disperato, di fermare la storia e riportare indietro le lancette del tempo. Per i Romani, Lucio Giunio Bruto era il padre della patria per eccellenza, l'uomo cui si doveva la cacciata dell'ultimo re, Tarquinio il Superbo. La sua vita era stata avventurosa: aveva visto padre e fratello uccisi dal tiranno e aveva dovuto fingersi sciocco per sfuggire all'orgia di sangue scatenata dal re, poi aveva guidato la rivolta che avrebbe posto fine alla monarchia ed era diventato il primo console della neonata repubblica. Nei secoli successivi, venne ricordato come il fondatore della libertà romana: un'icona rispettata ma tutto sommato inerte. Eppure, le cose stavano per cambiare: quando al suo quasi omonimo Marco Giunio Bruto fu proposto di aderire alla congiura che stava maturando negli ambienti ostili a Cesare, proclamatosi nel frattempo dittatore a vita, fu proprio l'ombra del remoto antenato a rivelarsi decisiva per le scelte del futuro cesaricida. Per la seconda volta, Bruto imprimeva così alle vicende di Roma una svolta che ne avrebbe cambiato per sempre il corso. Questo libro racconta la storia in due tempi della lotta alla tirannide a Roma.
Un itinerario nella cultura medievale, attraverso luoghi oggi tanto distanti quanto allora vicini al punto da rendere comune il dialogo tra un arabo di Córdoba e un monaco di Bamberga. L'Europa nel Medioevo era un mondo aperto, varcato e attraversato da migliaia di uomini in movimento, assieme alle loro idee. Prelati e monaci percorrevano distanze anche molto lunghe da un monastero o un'abbazia all'altra per visitare comunità o impiantarne di nuove. Penitenti e pellegrini intraprendevano lunghi viaggi allo scopo di visitare i sepolcri dei martiri o le vestigia di Cristo, per non parlare di quelle forme particolari di pellegrinaggio che furono le crociate o le ben note migrazioni di popoli. Senza scordare i mercanti, che via mare e via terra, oltre alle loro merci, trasportavano idee, immagini, racconti, forme artistiche, invenzioni a loro volta acquisite ed ereditate - in Siria come in Egitto, in Africa come in Spagna e in Sicilia - dal millenario patrimonio della tradizione orientale ed ellenistico-romana.
Le monete, quasi più degli uomini, si sono sempre spostate liberamente in tutta Europa: l'ampiezza della loro diffusione ci parla dell'intensità dei loro scambi. Fino all'invenzione della stampa nessuno strumento ha fatto circolare informazioni, progetti, scelte religiose o notizie di cronaca con la velocità e la capacità di penetrazione delle monete. Quasi ogni passaggio della storia dell'Europa può essere raccontato, e compreso, attraverso le vicende delle monete che l'hanno accompagnata: la nascita dell'impero romano sotto Ottaviano, gli splendori del Rinascimento italiano e il siglo de oro spagnolo, la meteora napoleonica. L'itinerario si snoda attraverso i luoghi di conio di dieci monete famose - dal sesterzio, al fiorino, dallo zecchino al tallero per citarne alcune - ciascuna legata a una svolta significativa nel cammino compiuto dal Vecchio Continente, fino a giungere all'ultimo passaggio: la decisione di affidare a una moneta unica la funzione trainante nel progetto europeo.