Possono essere toccati e guardati, ascoltati, annusati e, perché no, gustati: i materiali sono l'orizzonte della nostra esperienza fisica. Da quelli consolidati, come l'acciaio e la plastica, ma anche il cioccolato, a quelli futuribili, come i tessuti elettrocromici, i nanomateriali, il grafene, tutti necessitano di materie prime ed energia per la loro produzione. Per troppi decenni il nostro modello economico si è basato unicamente sul bilanciamento di costo e prestazioni, senza considerare che le risorse di cui disponiamo sono limitate e in progressiva diminuzione. Se il futuro materiale non dovrà consumare ma prendere in prestito, quali possono essere allora le istruzioni d'uso per uno sviluppo sostenibile?
Perché facciamo così fatica a dirci cittadini e a riconoscere chi detiene il potere, chi lo controlla e chi lo rappresenta? In questo nostro tempo di crisi, sospeso tra un populismo sovranista e le nuove tendenze oligarchiche e tecnocratiche, dei concetti di stato e di politica abbiamo più che mai bisogno: per difendere le nostre incerte identità, impaurite a causa della globalizzazione, per ridefinire in chiave solidale e civilizzatrice l'indispensabile spazio pubblico entro cui si svolge la nostra vita di relazione.
Negli ultimi decenni il ruolo della memoria nella vita pubblica è cresciuto costantemente, ma in parallelo è diminuito il peso della storia nel costruire la nostra conoscenza e sensibilità del passato. Un processo accentuatosi con il sempre maggiore intervento della politica e delle istituzioni nel creare «leggi di memoria», «luoghi di memoria», monumenti, memoriali; ma anche con il contributo che i mass media, la letteratura, il cinema e la televisione danno a una lettura e ricordo del passato spesso lontani dalla coerenza di una narrazione storica rispettosa della verità. Il libro analizza questo contraddittorio e complesso rapporto tra storia e memoria, per quanto riguarda sia l'Italia e l'Europa sia un mondo sempre più globalizzato e propenso a guardare al passato in termini strumentali rispetto alle esigenze del presente.
Scegliere fra più alternative è qualcosa che facciamo tutti e per tutta la vita, fin da quando, bambini, decidiamo se dividere o meno la merenda con il compagno di banco. Decidere è un processo incerto, difficile, anche logorante. Ma si può imparare a gestirlo? Quali strategie adotta la mente per non essere condizionata dai tanti potenziali inciampi cognitivi ed emozionali cui è esposta? Una guida per orientarsi tra la fatica di decidere, le false credenze, le paure in gioco e la tentazione di affidarci al caso o, magari, agli algoritmi.
La questione del rapporto tra Chiesa ed economia in Italia interessa da tempo la ricerca storica a livello sia nazionale che internazionale, tuttavia non era stata sinora svolta un'indagine sugli aspetti finanziari delle diocesi. Si tratta di una lacuna di non poco conto considerate le ricchezze possedute dalla Chiesa cattolica italiana, la sua rilevante influenza culturale e politica, nonché il suo radicamento storico e territoriale. Grazie a nuove scoperte documentarie emerse presso alcuni archivi vaticani, il libro recupera dall'oblio della storia un interessante soggetto attivo in ambito finanziario a livello diocesano: la Cassa diocesana - anche detta Promotoria o Cassa ecclesiastica -, mediante la quale venivano raccolti e amministrati capitali destinati a opere di carità e religione. Riccardo Semeraro ricostruisce la storia tra gli anni postunitari e la Seconda guerra mondiale di questi «endowment funds» diocesani, analizzandone la struttura, il funzionamento e la gestione finanziaria volta al perseguimento dei fini stabiliti dai legati pii. Fra i temi affrontati, emergono le strategie anticonfisca degli enti ecclesiastici, il dialogo tra Vaticano e diocesi e il rapporto tra Chiesa e capitalismo.
Quando, nel giugno 1960, Giovanni XXIII nominò il cardinale Augustin Bea a capo del Segretariato per l'unità dei cristiani, molti, come il domenicano Yves Congar, restarono sbalorditi da quella che ritenevano una singolare scelta. Cosa aveva a che fare un porporato settantanovenne, esegeta conservatore tra i più fidati collaboratori di Pio XII e suo confessore personale, con la primavera ecumenica che dal Vaticano II, e proprio da quel Segretariato, ci si attendeva? Eppure il gesuita tedesco si sarebbe in breve tempo rivelato uno dei protagonisti più autorevoli del rinnovamento conciliare e tra gli interpreti più fedeli dell'eredità roncalliana. Cosa si cela dunque dietro quella che agli occhi di molti apparve come un'improvvisa conversione? Proprio tale interrogativo, che la storiografia ha indicato come "l'enigma Bea", è al centro dell'indagine del volume, che, sulla base della documentazione degli archivi privati (tra cui l'inedito carteggio con il vescovo di Paderborn Lorenz Jaeger pubblicato integralmente in appendice), ricostruisce l'attività del gesuita nel decennio precedente al concilio, quando, dal 1949, era consultore del Sant'Uffizio. Quello che emerge è un originale profilo del futuro cardinale, divenuto progressivamente avvocato e intercessore dell'ecumenismo cattolico, in particolare tedesco, durante l'ultimo periodo del pontificato pacelliano. Fu proprio in quegli "anni di pazienza" che Augustin Bea maturò gradualmente le competenze e i contatti in ambito ecumenico che nel 1960 lo avrebbero reso tra i più stimati collaboratori di Giovanni XXIII e paladino di quell'ecumenismo destinato a rivoluzionare la chiesa cattolica durante il Vaticano II.
Si direbbe che la storia italiana dal 1969 al 2010 e oltre abbia fatto propri i tratti della fiction e del thriller. Il 12 dicembre 1969, con l'esplosione della bomba alla Banca nazionale dell'agricoltura in piazza Fontana a Milano, si fa largo il sentire diffuso che forze occulte, magari anche straniere, abbiano dato il via alla «strategia della tensione». Seguiranno 50 anni di diffidenze e sospetti verso la politica e le istituzioni, scanditi da una serie di eventi luttuosi e non solo che renderanno iconici molti luoghi della penisola: fra tutti, piazza della Loggia a Brescia, la stazione di Bologna, via Fani a Roma, la base di Gladio ad Alghero. Ripercorriamo allora la mappa topografica di quei tempi difficili, in cui azione politica e condotte opache si sono spesso confuse, in un intreccio ancora indistricato fra terrorismo, servizi segreti, P2, caso Sindona, Banco ambrosiano.
È urgente imboccare la strada di un futuro più giusto, prendendo di petto il problema dei problemi: le gravi disuguaglianze e il senso di ingiustizia e impotenza che mortificano il paese. La crisi Covid-19 ha reso ancora più evidente questo stato di cose e ha aperto molteplici scenari. Come evitare che gli squilibri di potere e di ricchezza crescano ancora? O che prevalga una dinamica autoritaria? Quali sono le cause delle disuguaglianze e le responsabilità della politica e delle politiche? È possibile indirizzare l'accelerazione della trasformazione digitale alla diffusione di conoscenza e alla creazione di buoni lavori? E come? Come far funzionare la «macchina pubblica» e assicurare il confronto democratico sulle decisioni? Come assicurare dignità e partecipazione strategica al lavoro? Come affrontare la crisi generazionale? Sviluppando le «15 proposte per la giustizia sociale» elaborate dal Forum Disuguaglianze Diversità, alleanza originale di cittadinanza attiva e ricerca, il volume offre una risposta a queste domande, fornendo uno schema concettuale per affrontare l'incertezza e soluzioni operative per cambiare rotta.
Con l'armistizio del settembre 1943 e il conseguente rovesciamento delle alleanze, i militari italiani si ritrovarono nemici degli ex alleati tedeschi. Salvo quelli, pochi, che accettarono di affiancarsi ai tedeschi e confluire nell'esercito della neonata repubblica di Salò, oltre mezzo milione di soldati italiani furono deportati in campi di concentramento nazisti. Nel libro, una completa e approfondita descrizione dell'esperienza di prigionia degli Imi, gli internati militari italiani in Germania: l'atteggiamento tedesco, le direttive per la loro gestione come forza lavoro nell'industria bellica, le condizioni materiali di vita e di lavoro, dalla caduta di Mussolini al rientro in patria dopo la fine della guerra.
Educazione. Per alcuni un peso di cui disfarsi, per altri una risorsa senza la quale qualsiasi gruppo è destinato prima o poi a sgretolarsi. Educare oggi si può? L'educazione è solo una tecnica e una costruzione di competenze? Che si parli di ammonimenti o di «prediche», di modelli o di esempi, il problema attraversa la famiglia, la scuola, le associazioni del tempo libero e le relazioni di lavoro, e chiama sempre in causa la questione dei valori. Di certo, anche per le generazioni dell'era virtuale lo scambio diretto a fini educativi tra le persone - adulti-giovani, maestro-allievo - resta qualcosa di insostituibile.
Una parola che sembra quasi da evitare, un ricordo di tempi lontani e di perdute ingenuità intellettuali. Eppure, l'idea di progresso esprime qualcosa di profondo e di essenziale: una rappresentazione della storia senza la quale la nostra identità e la nostra capacità di progettare il futuro sono a rischio. Scritte appena prima che iniziasse la crisi del Coronavirus, queste pagine, cui tocca oggi la più implacabile delle verifiche, si interrogano sulla funzione progressiva della tecnica e della scienza, che non sono una potenza estranea: sono nostre figlie, siamo noi.
Il volume ricostruisce in un ampio e accurato affresco l'architettura istituzionale romana. Attingendo alla storia politica, economica e sociale, l'autore illustra la complessa macchina del diritto romano e il suo contributo al metodo di governo e all'espansione politica, dalla conquista della Penisola all'impero sino al Corpus iuris civilis dell'imperatore bizantino Giustiniano. Ne traccia altresì i punti di debolezza, che portarono, a fronte del colossale successo politico-militare, alla crisi della repubblica e all'impero.