La malattia è sempre un'esperienza sconvolgente; degrada, o raffina, l'animo del paziente, ma non lo lascia mai inalterato. Specie se si tratta di una patologia invasiva come il cancro. L'autore, invece di chiudersi a riccio, ha preferito confrontarsi a viso aperto con questa esperienza devastante e raccontarla da un duplice punto di vista: di medico e di credente. In quanto medico egli ritiene di aver imparato a mettersi nella pelle dei pazienti che incontra ogni giorno e, conseguentemente, a rendere più empatica la relazione terapeutica. In quanto credente, poi, ritiene di avere imparato ad accettare la vita con le sue valenze opposte, ora esaltanti ora avvilenti, nella speranza che anche ciò che appare assurdo possa rivelare un giorno il suo senso nascosto.
La confusione diffusa fra etica, normativa giuridica e deontologia professionale coinvolge l'ambito sanitario a tutto campo. In particolare il tema del consenso informato è divenuto uno degli aspetti più critici e controversi del rapporto tra medico e paziente. Soprattutto in conseguenza del dibattito mediatico suscitato da casi riguardanti l'accanimento terapeutico, il testamento biologico e l'eutanasia, la discussione si è trasferita su un piano esclusivamente giuridico. Al tradizionale prevalere del ruolo del medico nella gestione del malato, oggi si oppone una sempre maggiore rivendicazione della priorità e della volontà del paziente. E, se tale diritto è innanzitutto rivendicato su base medico-legale viene poi, ambiguamente, identificato con principi etici. L'assoluta priorità del diritto-dovere morale (e non legale) del medico e del paziente nella gestione centrale per ricollocare nel giusto ambito il dibattito su temi tanto delicati ed affrontare da una prospettiva cristiana l'etica dell'informazione per il medico e quella del consenso/dissenso per il malato.