Alessandro Manzoni è stato uno degli artefici che più profondamente hanno contribuito al processo costruttivo della nazione italiana moderna, per quanto lontano dall'attivismo politico e dall'impegno militante, e tuttavia presente senza incertezze nei momenti chiave del mutamento storico. Da sempre fedele all'idea di unità, ha espresso tale convinzione in testi emblematici (i cori delle tragedie, l'ode "Marzo 1821"), ha rivoluzionato una letteratura elitaria introducendovi il genere moderno del romanzo e facendo rispecchiare in esso un'intera società, ha costruito con rigore e pazienza estremi i presupposti perché nascesse la nostra lingua comune. Oggi, nel mondo globalizzato in cui siamo immersi, la storia della nostra e delle altre nazioni sollecita nuove riflessioni. La vicenda di Manzoni permette di cogliere come si sia sviluppato il processo di "immaginazione" del diverso spazio politico creato con la nazione moderna, in cui tanti intellettuali italiani si sono proiettati, sovrapponendolo e sostituendolo ad altri ambiti di relazioni precedenti, spesso superati. Questa raccolta di saggi intende ripercorrere anche secondo tale prospettiva l'impegno di Manzoni nella costruzione della nuova Italia, a conclusione dei festeggiamenti del Centocinquantesimo della nascita dello Stato unitario, nel segno di un omaggio della sua città al grande scrittore italiano.
C'è un filo rosso al femminile nella storia d'Italia ed è rappresentato da tre donne che hanno vissuto in prima persona la straordinaria epopea della famiglia Garibaldi: la brasiliana Anita, moglie di Giuseppe; l'inglese Costanza, moglie del loro figlio Ricciotti; l'americana Speranza, moglie di Ezio, nipote dell'eroe dei due mondi. Tre storie che si snodano attraverso centocinquant'anni, dal 1820 al 1970: dal Risorgimento al periodo postunitario, dalla prima guerra mondiale al fascismo e al dopoguerra. Il volume, grazie alla ricerca compiuta su centinaia di documenti, ufficiali e privati, racconta la storia di queste tre donne coraggiose e coerenti nel testimoniare senza ombre e tentennamenti i valori della dignità umana.
Roma, 11 luglio 1855. Antonio De Felici, cappellaio,reo di avere attentato alla vita del segretario di Stato cardinale Giacomo Antonelli, viene giustiziato.
Roma, 21 settembre 1861. Cesare Lucatelli, facchino, accusato dell’omicidio di un gendarme durante gli scontri fra i pontifici e la folla il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo, viene giustiziato.
Fra le due esecuzioni, fra un popolo e un governo che non ha più autorità su questa terra, il disfacimento dello Stato Pontificio, la fine del potere temporale del papa, l’Unità d’Italia e una città che attende di conoscere il suo destino. Messa troppo spesso in ombra da vicende che già allora occuparono le prime pagine dei giornali italiani ed europei – una su tutte, l’impresa dei Mille di Garibaldi – la storia romana, della città e dello Stato Romano, alla metà dell’Ottocento, dopo la gloriosa quanto breve avventura della Repubblica mazziniana, è poco conosciuta dal grande pubblico.
Roma, il papa, il re è la cronaca dettagliata, quasi accanita di tutto quel che accadde dentro e attorno a Roma negli anni che portarono alla proclamazione del Regno d’Italia.
Ancora una volta, come già in Storia avventurosa della Rivoluzione romana, Stefano Tomassini incrocia i pensieri e le azioni di Vittorio Emanuele ii e Pio ix, Cavour e Napoleone iii, Garibaldi e Mazzini, le osservazioni dei forestieri più o meno affezionati, i pregiudizi o le intuizioni dei diplomatici, i vizi e le virtù del clero, gli entusiasmi, le accidie, le ironie e le ire del popolo.