Con la sua esigenza di un ritorno alle "cose stesse", la fenomenologia husserliana si è sempre proposta di esibirne la costituzione, ovvero la fondazione. In questo modo ha preso coscienza di sé come nuova "filosofia prima" recante il principio di legittimazione assoluta della conoscenza fenomenologica. Cosa legittima quest'ultima tanto rispetto ai dati attestati da un procedimento puramente descrittivo quanto alla loro origine negli atti della soggettività trascendentale? Questo libro intende ripensare tale questione alla sua radice: è con l'obiettivo di realizzare il progetto di legittimazione assoluta della costituzione del senso dei fenomeni che Husserl procede - oltrepassando i limiti di una fenomenologia descrittiva - a delle costruzioni fenomenologiche che non sono costruzioni speculative, ma "sistemi di coordinate" che il fenomenologo deve introdurre per rendere conto di questo o quel contenuto fenomenologico. I fondamenti di una fenomenologia costruttiva avranno dunque come scopo di chiarire lo statuto di ciò che si presenta al fenomenologo nelle sue analisi concrete - il che implica un approccio in cui sovente, per la natura stessa della "cosa", "ci mancheranno i nomi".
Una raccolta di saggi scritti lungo il corso di tutta la vita di uno dei più grandi filosofo dello scorso secolo che si interroga sui fatti che la storia impone.
Nell’anno in cui ricorre il cinquecentesimo anniversario delle 95 tesi di Wittenberg è parso opportuno riproporre in alcuni suoi aspetti fondamentali il pensiero di una delle più significative personalità della cultura cristiana ed europea del Novecento, qual è Ernst Troeltsch. Le sue ricerche, sollecitate, alla svolta dall’Ottocento al Novecento, dall’avvertimento di una profonda crisi della teologia, si sono sviluppate in una molteplicità di ambiti disciplinari (teologia, filosofia della religione, etica, sociologia della religione, politica, filosofia della storia) concentrandosi, però, su due linee principali: la relazione tra Cristianesimo e storia, tra Cristianesimo e modernità, e la questione dello storicismo, al cui fondo è la tensione tra la ricerca di principi e valori universalmente validi e il rispetto dell’individualità e mutevolezza dell’esperienza storica. È qui «il tormento del mondo moderno». Troeltsch non ha aggirato le ombre del «nichilismo europeo», ma ha cercato di comprenderlo e di prendere posizione di fronte ad esso. Così come, all’indomani della catastrofe della grande guerra, ha sentito il bisogno di avviare una riflessione critica sull’identità dell’Europa, anticipando la consapevolezza di problemi, che continuano ad inquietare profondamente il nostro presente e insieme suggerendo anche una traccia per affrontarli.
Il centro di questo libro è fuori del libro, in altri libri: nell'opera di Vincenzo Vitiello, con la quale gli autori si sono nel tempo confrontati. Per gli ottant'anni del filosofo, hanno accolto volentieri l'idea di proseguire un colloquio, che riprende figure e domande fondamentali del pensiero occidentale - da Platone a Aristotele, da Kant a Hegel, da Nietzsche a Heidegger a molti altri -, in una pluralità di proposte che dimostra la fecondità del dialogo tenuto nel corso di questi anni da alcune delle maggiori voci della filosofia contemporanea.In filosofia non esistono tradizioni che non vengano sempre nuovamente rimesse in questione. La forma stessa del mettere in questione, del logon didonai, ha da essere interrogata circa il suo statuto e la sua legittimità. Una scepsi radicale attraversa dunque il pensiero filosofico. «Chi vuole che la sua parola abbia senso, deve farsi forte di ciò che a tutti è comune e ha senso»: così si legge in un frammento di Eraclito. Nei testi che qui si presentano, la filosofia e i filosofi che la praticano danno forza a ciò che è loro comune, ma sperimentano anche l'infirmitas di questa forza, secondo la lezione più cara a Vincenzo Vitiello. Interventi di: M. Adinolfi, A. Bellantone, S. Benso, G. Bensussan, M. Cacciari, G. Cantillo, G. Carillo, J.-F. Courtine, B. de Giovanni, D. Di Cesare, G. Di Tommaso, M. Donà, F. Duque, R. Esposito, A. Fabris, F. Ferrari, E. Forcellino, B. Forte, R. Gasparotti, G. Giorello, G. Goria, E. Lisciani-Petrini, N. Magliulo, E. Mazzarella, E. Mirri, G. Moro, G. Petrarca, G. Rametta, E. Redaelli, V. Rocco Lozano, R. Ronchi, E. Severino, C. Sini, A. Tagliapietra, L. V. Tarca, F. Tessitore, F. Tomatis, A. Trione, F. Valagussa, C. Invernizzi.
Ha perfettamente ragione Vincenzo Vitiello, quando, nell'introduzione a questo volume afferma: "Pochi scrittori - poeti, romanzieri, ma anche critici e storici, filosofi e scienziati - abitano il linguaggio al modo in cui accade a Carlo Invernizzi, poeta". Le cui parole vogliono davvero essere "cose". E, proprio per questo, prendono drasticamente le distanze da quelle che tutti pronunciamo ogni giorno... parole vuote, magari efficaci, ma sempre fraintese, impotenti o quanto meno fragili. Carlo Invernizzi cerca, infatti, una parola che sia in grado di essere la cosa stessa. La roccia, l'altura, la luce, il colore, il confine, il dolore, la gioia... devono dunque lasciarsi contorcere, dire, ma anche disdire, dalle parole in cui "dovranno" a tutti i costi trovare casa. Per questo, nessuno dei lemmi "intuiti" dal nostro poeta avrebbe potuto risolversi nella mera conformità a una sintassi e a una concettualità che, del mondo, non sarebbero mai riuscite neppure a lambire il cuore imprendibile. Lo stesso in relazione a cui, invece, Invernizzi osa; azzardando il disegno di uno sguardo che, trapassando inquieto, di soglia in soglia, sappia farsi davvero poesia. Postfazione di Massimo Donà.
"La comprensione della spiritualità nelle culture francese e tedesca" fu redatto da Levinas in lituano e poi pubblicato nel luglio 1933 in una rivista lituana dal nome «Vairas». Scomparso al tempo della seconda guerra mondiale, è stato ritrovato per caso su un ripiano nella sala periodici dell'Università di Vilnius. Sotto diversi aspetti, l'analisi di Levinas si presenta come il simmetrico del testo comparso nel 1934 nella rivista «Esprit», "Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo". Il testo rappresenta, in tal senso, un punto decisivo per la conoscenza di questa grande opera filosofica, segata in maniera indelebile dalla barbarie della storia e dall'importanza assegnata al rapporto con l'altro uomo in quanto essere unico.
Pasquale Galluppi (Tropea 1770 - Napoli 1846) è stato uno dei più importanti filosofi italiani della prima metà dell'Ottocento. La Memoria sul sistema di Fichte è un documento prezioso, perché costituisce il primo confronto sistematico di un filosofo italiano con l'idealismo trascendentale del grande pensatore tedesco. Ma il testo in questione è un documento importante anche perché permette di mostrare la centralità che nell'ultima fase del suo pensiero Galluppi attribuiva al confronto con l'idealismo tedesco, che egli considera come il legittimo sviluppo del pensiero di Kant e del suo «razionalismo assoluto». In maniera analoga a quanto aveva sostenuto Jacobi, Galluppi vede nell'idealismo una forma estrema di negazione della realtà, che egli non esita a definire come «nichilismo assoluto». Inserendo la sua interpretazione all'interno di un'ampia ricostruzione storico-filosofica, che dall'antichità greca giunge alla filosofia moderna di Cartesio e Leibniz, egli cerca di mostrare che solo la «filosofia dell'esperienza» può recuperare un corretto senso della realtà, e porsi alla base di un coerente «realismo» filosofico.
La questione circa l'«Essere» è al cuore della riflessione filosofica di Emmanuel Levinas. Essa costituisce da un lato una critica radicale dell'ontologia fondamentale e dall'altro essa sposta l'esperienza della soggettività del soggetto verso la questione dell'identità ebraica, irriducibile, secondo Levinas a ciò che egli stesso chiama «Essere ebreo». La discussione sull'Essere ebreo è condotta con gli accenti tragici del dopo guerra, nella misura in cui Levinas non separa mai l'esistenza ebraica dalla sua precarietà e dalla coscienza di una identità segnata per sempre dalla Shoah. La riflessione di Levinas in questo testo del 1947 trova un prolungamento in una lettera inedita rivolta a Maurice Blanchot, del maggio 1948, scritta al momento della creazione dello Stato di Israele.
Dalla quarta di copertina
Carlo Michelstaedter rappresenta un lampo dissonante nel panorama della cultura italiana ed europea del ventesimo secolo, nel corso del quale molteplici sono stati i tentativi di comprenderne e spiegarne il pensiero. In questo libro l’autore tenta di fornire una nuova interpretazione di questa filosofia che si ponga come radicalmente diversa rispetto alle precedenti. Essa prende forma attraverso una meticolosa attenzione nei confronti del capolavoro del Goriziano, La Persuasione e la Rettorica, del suo rapporto con Parmenide, e di un inedito dialogo con le fondamenta del pensiero di Emanuele Severino. Proprio a quest’ultimo, e al suo significato nella vita dell’uomo nell’attuale epoca tecnico-scientifica, protende l’intera esperienza di pensiero condotta assieme a Michelstaedter.
Se con "immediatezza" la tradizione filosofica ha indicato qualcosa di semplice, che non richiede alcuna ulteriore fondazione, il pensiero dialettico ha rotto e rifiutato una tale semplicità ed autoevidenza, giungendo a mediare ciò che si pretendeva immediato. Attraverso un costante riferimento alla storia del concetto, Arndt affronta teoreticamente questo nodo concettuale. Nello sfaccettato panorama della filosofia classica tedesca, la critica hegeliana all'immediatezza rappresenta una svolta, che però - ad eccezione di Marx, il quale la accetta non senza una significativa variazione - sarà rifiutata da quasi tutti i successori di Hegel, le cui posizioni appaiono accomunate dal tentativo di riabilitare l'immediatezza. Attraverso rapide incursioni nella filosofia contemporanea, Arndt intende mostrare l'attualità della critica di Hegel e Marx all'immediatezza, centro di quel pensiero dialettico di cui, da più parti e forse troppo frettolosamente, si è annunciata la morte.
La trama logica dell'essere": espressione che può sembrare paradossale se consideriamo che si tratta di un autore noto per la sua radicale critica dell'ontologia. La tesi del presente lavoro intende tuttavia interrogare questa rimessa in questione dell'ontologia o meglio della differenza ontico-ontologica. La radicalità della critica impegna in qualcosa come una contro-ontologia, come una nuova "ontologia fondamentale", legata alle seguenti domande: Su quale "ente esemplare" leggere "il senso dell'essere"? Come definire la relazione dell'esistente, con l'essere, l'ente, gli enti, il mondo, Dio &? I primi capitoli si sforzano di prendere sul serio l'ipotesi di un'altra ontologia, di un'altra "fenomenologia materiale", o ancora dell'abbozzo del motivo della traccia e della diacronia. La seconda parte dell'opera non abbandona del tutto le acque levinassiane. Innanzitutto perché si fa carico del rischio di una esplorazione della dimensione teologica e politica di questo pensiero, e poi perché, anche quando si dirige verso Schelling, Rosenzweig o Benjamin, sono ancora dei temi legati alla temporalità e alle sue stratificazioni che sempre attraggono il nostro proposito.
"Quando ho incontrato l'opera di Levinas, una questione si è posta naturalmente: questa aveva qualcosa da apportare alla riflessione sulla politica o bisognava collocarla, al contrario, come si tendeva a fare, solo dalla parte dell'etica, considerando anche che vi era in questo filosofo, se non un disprezzo, almeno una mancanza di considerazione della politica? Molto presto, quest'ultima posizione mi è apparsa del tutto inesatta. Sono rimasto infatti impressionato dal testo che Levinas aveva dedicato alla critica dell'hitlerismo nel 1934 nella rivista Esprit, "Alcune riflessioni sulla filosofia dell'hitlerismo". Mi aveva colpito il fatto che questo filosofo, che si diceva essere estraneo o indifferente ai problemi politici, aveva visto le cose con molta più perspicacia e precisione rispetto a dei pensatori che si consideravano specialisti della politica o delle lotte sociali e che, in realtà, non avevano assolutamente misurato ciò che rappresentava l'hitlerismo. Presto, dunque, il respiro e il gesto di quest'opera mi sono apparsi non solamente nella loro aspirazione utopica, ma nel loro tentativo di pensare la politica secondo un altro paradigma rispetto a quelli classici."