“C’è, nella storia, una continuità secondo ragione, che è il futurum. È la continuità di ciò che si incastra armonicamente, secondo la logica del prima e del dopo. Secondo le categorie di causa ed effetto. Secondo gli schemi dei bilanci, in cui, alle voci in uscita, si cercano i riscontri corrispondenti nelle voci in entrata: finché tutto non quadra.
E c’è una continuità secondo lo Spirito, che è l’adventus.
È il totalmente nuovo, il futuro che viene come mutamento imprevedibile, il sopraggiungere gaudioso e repentino di ciò che non si aveva neppure il coraggio di attendere.
In un canto che viene eseguito nelle nostre chiese e che è tratto dai salmi si dice: “Grandi cose ha fatto il Signore per noi: ha fatto germogliare i fiori tra le rocce!”. Ecco, adventus è questo germogliare dei fiori carichi di rugiada tra le rocce del deserto battute dal sole meridiano.
Promuovere l’avvento, allora, è optare per l’inedito, accogliere la diversità come gemma di un fiore nuovo, come primizia di un tempo nuovo. Cantare, accennandolo appena, il ritornello di una canzone che non è stata ancora scritta, ma che si sa rimarrà per sempre in testa all’hit parade della storia”.
Qui non vi è stata alcuna rivoluzione dei lenzuoli. Qui si continua a dire che non vi è "alcuna infiltrazione mafiosa". Tutti dicono "qui" e non "da noi" e forse anche questo vuol dire qualcosa. La mafia rende tutto cenere. Se soffi sulla cenere non c'è nulla in essa che opponga resistenza per non volarsene via. Rendere cenere ogni cosa è la sua forza. Dove vi è cenere non vi è più nulla. Non c'è Stato. Non c'è sviluppo. Immutabile. Così com'è.
"Papa Francesco si è presentato al mondo con la sua semplicità. Subito abbiamo saputo riconoscere i segni dell'essenzialità e della libertà, della sua assoluta autonomia: povero per essere massimamente libero senza cedere a forme sentimentali di pauperismo di facciata. Mai un papa nella storia recente si è permesso così 'tante libertà'. Ci sta facendo sognare una Chiesa capace di accogliere la sfida sempre nuova di ritornare al Vangelo. L'elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio a Pontefice è stata salutata con la parola 'novità'. I suoi comportamenti, il suo abbigliamento, la sua croce pettorale, le sue sorridenti e spesso gioiose avventure sulla jeep o a piedi, in mezzo a decine di migliaia di persone in piazza San Pietro, i suoi discorsi, le sue prese di posizione, il continuo richiamo alla 'Chiesa povera e dei poveri': tutto 'nuovo', dunque, e tutto meritevole di attenzione? O tutto invece radicato in una tradizione evangelica che va solo recuperata? Questo libro è qualcosa di molto diverso rispetto alla pubblicistica corrente. L'autore, un fratello della famiglia benedettina, presenta Francesco non come un 'nuovo', ma come un 'figlio' immutato del Dio altrettanto immutato che ha incontrato a diciassette anni dopo una confessione; e come il frutto di una visione della fede cristiana e della Chiesa in cui si compenetrano l'uno con l'altro il passato, il presente e il futuro." (dalla Prefazione di Beppe del Colle)
Che cosa intendeva Gesù con “la buona notizia del Regno di Dio”?
La metafora del Regno usata da Gesù per condensare il suo messaggio, più che la descrizione di un evento futuro, comunicava una visione, una logica, una denuncia, un’utopia. Oggi diremmo: “I have a dream”: io ho un sogno. Una visione.
Il messaggio evangelico è arrivato fino a noi filtrato da millenni di tradizione teologica che hanno solidamente fondato la “religione cristiana” sulla salvezza, meglio sulla paura di Dio. La salvezza promette di evitare la pena eterna dell’inferno, grazie al sacrificio di Gesù Cristo, morto in croce per i nostri peccati e salito in cielo dove “siede alla destra di Dio Padre onnipotente”.
È questo il messaggio di Gesù di Nazareth?
Queste pagine prendono le mosse dal bisogno di ricercare, nel testo evangelico, le tracce di un diverso messaggio di salvezza. Basta sostituire “Vangelo” con la traduzione letterale del greco eu angelion: buona notizia, annuncio di una gioiosa novità.
Infatti, Gesù ha dedicato gli anni della sua vita pubblica a proclamare la sua buona notizia. Gesù aveva avvertito i suoi discepoli che, per accogliere il suo annuncio, era necessaria una profonda conversione: “il regno di Dio è qui. Cambiate mentalità e credete in questa buona notizia” (Mc 1,14-15), ma chi lo ascoltava ha resistito ad accoglierla, meritandosi più volte l’accorato rimprovero: tardi e lenti di cuore a credere! Cosa intendeva dire Gesù con la metafora del “Regno di Dio”?
I discepoli continuavano a pensare che annunciasse un evento eclatante, prodigioso, in grado di cambiare la storia di Israele a opera della potenza di Dio.
Invece, la metafora usata da Gesù per condensare il suo messaggio, più che la descrizione di un evento futuro, comunicava una visione, una logica, una denuncia, un’utopia. Oggi diremmo: “I have a dream”: io ho un sogno.
La visione di Gesù rivela una nuova comprensione del mondo di Dio e del mondo degli uomini. Ma la condivisione di questo sogno si è scontrata con le categorie mentali e culturali del tempo, con i modelli martellati per secoli dalla casta sacerdotale. E forse, siamo ancora qui.
"Le lettere e le storie di questo libro non sono di semplici delinquenti. Sono "i mafiosi" e non quelli che hanno avuto a che fare con la mafia: ergastolani perché hanno ammazzato e ordinato di far ammazzare. Eppure l'Alta Sicurezza per loro non è la migliore difesa per noi. Perché il carcere che funziona non è quello che priva della libertà ma quello che produce libertà. Tra chi è "dentro" e chi è "fuori" si gioca la partita vera della legalità."
Bruciare il mare è sradicare ed è per sempre. Non si torna indietro. Il mare ingoia, strappa di dosso la storia, lascia nudo, uccide oppure permette di rinascere. "Siamo qui per raccontarvi la storia di un giovane uomo, un poeta, Mariano Scalesi oppure, come lui amava farsi chiamare, Marius Scalési. Un senza nome, costretto a lasciare la Tunisia, dove era nato, uno dei tanti dimenticati che però, a differenza di altri, è ritornato con la forza della sua poesia. Questa che segue è la sua storia e la storia di altri senza nome e senza destino."
Organizzare una festa per un bambino può trasformarsi in un gioco tra genitori e figli. Giocare, infatti, è il miglior modo per educare perché ci si conosce a vicenda, si condividono esperienze piacevoli che creano apprendimento reciproco, si stimola l'iniziativa dei bambini in un contesto di affettività e si permette all'immaginazione di essere creativa. Mentre si progetta una festa a tema sarà possibile parlarsi in modo diverso, ad esempio organizzando le varie attività preparatorie: attività di pittura, manipolazione e trasformazione di materiali vari, attività musicali, canzoncine e filastrocche, attività creative per la preparazione di regalini, addobbi, biglietti di invito, costumi e scenografie, attività culinarie e teatrali di memorizzazione e di interpretazione di un semplice testo, di mimica, di postura, di impostazione della voce, di movimenti corporei, attività educative. L'attuazione e la condivisione di questo processo creativo solleciterà i genitori al piacere dell'esperienza, con risultati spesso imprevedibili, coinvolgenti e magici. Nel libro troverete proposte di menù, possibili testi di scenette teatrali, idee per realizzare costumi, addobbi, scenografie. Lo scopo è offrire materiale per farsi la "propria" festa. Unica e irripetibile. E crescere insieme.
Ormai è evidente il legame tra mezzi di comunicazione e sentimento d'impotenza. Ogni giorno c'è una notizia drammatica che si presenta davanti agli occhi dello spettatore globale. La logica dei media impone che, per fare audience, si propongano sempre le notizie più drammatiche. Eppure essere spettatori del dramma di altri uomini e non far nulla crea un senso di colpa. L'unico modo per non sentirsi in colpa è affermare la propria impotenza: se non posso fare nulla, non mi posso sentire responsabile di nulla. In tal modo l'ascolto del telegiornale ogni sera è diventato un quotidiano rito collettivo di impotenza. I laboratori qui descritti propongono una strada esattamente contraria: uscire da un atteggiamento passivo nei confronti dei media e imparare ad usarli, uscire dall'impotenza e ritrovare la creatività. Questi laboratori aiutano a costruire uomini e donne che non sono prigionieri della paura e dell'impotenza, perché usano tutti i mezzi a loro disposizione per allargare i loro orizzonti e andare incontro, con fiducia, agli altri.
Sotto la pressione della crisi economica mondiale, il processo di erosione e delegittimazione del welfare ha subito un'accelerazione fatale che tende a scardinare una delle più importanti conquiste istituzionali dei sistemi sociali e politici dal dopoguerra a oggi. L'ipoteca sul welfare, accesa da politiche rigoriste sulle quali incombono colossali speculazioni finanziarie, rischia di rovesciare un caposaldo delle democrazie occidentali, che ha assicurato l'equilibrio e la coesione, la crescita economica e lo sviluppo dei diritti di cittadinanza. Questo è il rischio. Anzi la sfida: dimostrare la vitalità del welfare come progetto generatore di opportunità e non come vulnus endemico dei sistemi sociali. Assumendo una diversa prospettiva, i contributi raccolti in queste pagine propongono una visione produttiva del sistema di tutela dei diritti civili e sociali che chiamiamo Stato Sociale. Non certo in termini di difesa autorefenziale o per mera contrapposizione di principio rispetto alle ricette di messa in liquidazione a buon mercato. Le riflessioni proposte accompagnano all'esplorazione del modello attuale, con una forte matrice regionale, che, nonostante i suoi limiti e malgrado l'endemica esiguità delle risorse disponibili, sviluppa un complesso di interventi, progetti, piani e programmi di lavoro con ricadute positive dirette su una quota significativa della popolazione italiana. E con effetti positivi indiretti sull'intero sistema-Paese...
Prima parola d'ordine è: fermarsi. Fermarsi consente di ascoltare. Cancellare la parola fretta. La fretta non permette di sentire e osservare. Seconda parola d'ordine è: scegliere. Scegliere consente di cambiare. Cancellare la parola abitudine. L'abitudine non permette di agire e impegnarsi. Terza parola d'ordine è: fare. Fare consente di stare bene. Cancellare la parola indifferenza. L'indifferenza non permette di condividere e partecipare. Scegliere di fermarsi per fare è la strada da percorrere per riappropriarsi del tempo. Un percorso, rivolto a genitori, educatori, insegnanti, animatori, che invita al "fare insieme ai bambini": creare giochi e oggetti da usare e conservare oppure preparare semplici ricette per la merenda. Riprendersi il tempo per crescere bene con se stessi, conoscersi e conoscere. Un tempo per essere, insomma, felici.