Il credente sa che Dio salva, per questo deve essere missionario: per annunciare tale verità a tutti. Un'affermazione che pare assodata e semplice nella sua ovvietà Ma è davvero così? La natura profonda della missione della Chiesa sta tutta lì?
In queste pagine Jean - Marc Aveline, che prima di essere cardinale e pastore d'anime è (stato) teologo, scandaglia con finezza il rapporto fra dialogo, salvezza e missione. Con parole semplici, intessute di riferimenti a pensatori come Henri de Lubac e Michel de Certeau, appoggiandosi sugli scritti di Joseph Ratzinger e Paolo V. Aveline traccia una prospettiva illuminante di quale sia il compito della Chiesa nella storia: "La missione si ridurrebbe a semplice propaganda se non imparasse. operando umilmente con lo Spirito Santo, a riconoscere che è Lui che la precede sempre e così prepara il dialogo della salvezza".
Vescovo di una città multietnica come Marsiglia, Aveline conosce bene la ricchezza dell'incontro con l'altro. Per la fede questo confronto non è mero esercizio sociale, bensì qualcosa di più radicale: "Quando è in mezzo ai poveri la Chiesa e più pienamente cattolica, perché è lì che apprende dal suo Signore tutta la grandezza, l'ampiezza e la profondità della compassione di Dio per il mondo" Queste pagine lo dimostrano con grazia e bellezza.
L'Enchiridion, raccoglie i testi del Concilio Vaticano II, del Magistero pontificio (da Giovanni XXIII a Francesco), quelli di alcuni organismi della Curia romana (Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, Pontificio Consiglio per la Cultura, Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Commissione Teologica Internazionale), di raggruppamenti di Chiese continentali (Federation of Asian Bishops' Conferences, Consejo Episcopal Latinoamericano) e, finalmente, quelli dei Sinodi dei Vescovi d'Africa. In questi testi viene affrontato il rapporto del vangelo con la cultura e le culture - progressivamente espresso con il termine "inculturazione" - focalizzando i suoi presupposti, fondamenti e implicazioni teoretiche e pratiche allo stesso tempo, nel quadro dei processi di comunicazione della fede, una questione decisiva per la vita della Chiesa e per la sua missione evangelizzatrice.
Il nuovo libro del Pontefice il quale per la prima volta racconta ciò che significa la missione di annunciare il Vangelo oggi nel mondo. Dialogando con Gianni Valente, giornalista dell'agenzia missionaria Fides, Papa Bergoglio interviene a suggerire in maniera puntuale e sistematica quali sono la sorgente e le dinamiche proprie dell'essere missionari, una vocazione che riguarda ciascun cristiano. In questo testo semplice e profondo, denso di aneddoti personali, di riflessioni legate all'esperienza e di sapienza evangelica, Francesco fa comprendere come il vero protagonista della missione non sia il missionario né la sua abilità, le sue strategie pastorali o le sue tecniche di marketing. Tutto ciò, spiega il Papa riecheggiando il predecessore Benedetto XVI, è infatti "proselitismo". Invece la Chiesa cresce soltanto per "attrazione", quando i credenti lasciando spazio all'azione dello Spirito Santo fanno emergere il vero Protagonista senza il quale "non possiamo far nulla". Il libro-intervista della Libreria Editrice Vaticana sulla missione rappresenta un'opera per comprendere ciò che il pontificato di Papa Francesco sta suggerendo a tutta la Chiesa, da lui chiamata ad essere "in uscita" con un rinnovato spirito missionario fin dalla prima esortazione apostolica "Evangelii gaudium" - e per andare all'origine, a ciò che fa scaturire la testimonianza cristiana. Una testimonianza che non può mai essere frutto di ragionamenti a tavolino, di teorie astratte o di strategie per essere meglio convincenti, ma nasce dal riverbero gratuito della bellezza che si è incontrata e della misericordia che si è ricevuta. Nasce, la testimonianza cristiana missionaria, dalla vita che si comunica come per osmosi.
Alfonso Giorgio all’interno del suo lavoro «accoglie l’invito di Papa Francesco a riscoprire la bellezza evangelizzante della liturgia e, inserendosi nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II, riporta al centro il tema dell’inculturazione della fede e dell’annuncio del Vangelo che una Chiesa “in uscita” realizza primariamente mediante la singolarità della liturgia, convinti che la bellezza non è un fattore decorativo dell’azione liturgica ma, piuttosto, suo elemento costitutivo, in quanto è attributo di Dio stesso e della sua rivelazione» (dalla Presentazione di mons. Rino Fisichella).
Chi di noi non si sente a disagio nell'affrontare anche la sola parola "povertà"? Ci sono tante forme di povertà: fisiche, economiche, spirituali, sociali, morali. Il mondo occidentale identifica la povertà anzitutto con l'assenza di potere economico ed enfatizza negativamente questo status. Il suo governo, infatti, si fonda essenzialmente sull'enorme potere che il denaro ha acquisito oggi, un potere apparentemente superiore a ogni altro. Perciò un'assenza di potere economico significa irrilevanza a livello politico, sociale e persino umano. Chi non possiede denaro, viene considerato solo nella misura in cui può servire ad altri scopi. Ci sono tante povertà, ma la povertà economica è quella che viene guardata con maggior orrore. In questo c'è una grande verità. Il denaro è uno strumento che in qualche modo come la proprietà - prolunga e accresce le capacità della libertà umana, consentendole di operare nel mondo, di agire, di portare frutto. Di per sé è uno strumento buono, come quasi tutte le cose di cui l'uomo dispone: è un mezzo che allarga le nostre possibilità. Tuttavia, questo mezzo può ritorcersi contro l'uomo. Il denaro e il potere economico, infatti, possono essere un mezzo che allontana l'uomo dall'uomo, confinandolo in un orizzonte egocentrico ed egoistico.