"Dio è presente ovunque sulla terra, e specialmente, con la sua grazia, nei cuori miti e umili. Poiché è l'Altissimo, Egli e anche l'Infinitamente Basso. Poiché è il Trascendente, Egli è anche l'Onnipresente. Gli umili e i docili sanno che Egli fa sì che tutto concorra al loro Bene, che il sassolino nella scarpa, la pozzanghera, lo scoglio e il pantano sono, per così dire, l'anticamera della sua santa Dimora. Perciò si abbandonano alla sua Volontà. E, dove questa Volontà si compie, noi viviamo sulla terra come fossimo in ciclo." (Fabrice Hadjadi)
È un momento drammatico per il cattolicesimo e per tutto l'Occidente. Il pontificato di Francesco scuote la Chiesa dalle fondamenta, mentre la sua parola viene spesso utilizzata dai nemici storici del cristianesimo per cancellarne ogni traccia dalla vita sociale e politica del pianeta. A ciò si aggiunge la violenza con cui l'islam tenta di accreditarsi come l'unica religione organizzata. La risposta, per i cattolici, non può arrivare che dal riconoscersi come comunità viva attorno a Cristo. Luigi Negri, teologo e vescovo, ripercorre in questo dialogo il cammino della sua esperienza di fede raccontando gli ultimi sessant'anni della società italiana e della Chiesa: in particolare la sua amicizia con don Giussani, l'associazionismo cattolico, il profondo contrasto con i modernisti dell'Università Cattolica, i pontificati di Montini e di Wojtyla, il '68 e il terrorismo. Senza timori reverenziali, con un linguaggio franco e diretto, Negri affronta i grandi temi dell'umanità e dell'esperienza cristiana: la fede, la politica, il senso della presenza della Chiesa nella nostra epoca.
"Misericordia" è oggi sinonimo di pietismo, paternalismo, buonismo. La virtù predicata da Gesù nel discorso della montagna è, per il comune sentire contemporaneo, un valore socialmente dubbio, sospetto quanto meno di falsa generosità e di altruismo autogratificante. Nel nostro mondo dominato dalla razionalità tecnologica si è infatti prodotta una separazione fra l'amore e la giustizia: il primo è diventato sentimentale e irrilevante, la seconda astratta e calcolatrice. E la nozione di carità, che originariamente traduce un tema di assoluta profondità teologica, è ridotta al banale significato di elemosina e beneficenza. A sgomberare il campo da questi equivoci e fraintendimenti provvedono - in questo secondo volume della collana dedicata alle beatitudini - un teologo e un filosofo. I due autori ricollocano la misericordia nel giusto ambito religioso e antropologico-culturale. Sequeri ne mette in rilievo il fondamento teologico, la sua profonda consonanza con l'agape (nell'accezione paolina, ripresa da Benedetto XVI nell'enciclica "Deus caritas est"). Demetrio, con un approccio più esistenziale, ne sottolinea il valore intimamente umano e universale, sia per i credenti sia per i non credenti "nobilmente pensosi".
"La denuncia del degrado civile indotto dai modelli culturali della società dei consumi e dello spettacolo, dell'eterna giovinezza e del denaro facile, è pressoché unanime. Guai però a chi è colto nel flagrante delitto di credere che questo indebolimento del pensiero non ci rappresenti affatto; e che forme di reazione determinata ai suoi presupposti siano realmente praticabili. Dove il logos perde forza, la reazione a catena del polemos (della guerra, della violenza, dell'aggressività di tutti contro tutti) guadagna terreno e si fa incontrollabile. In un mondo che rimane senza l'audace e creativa testimonianza dell'umanesimo cristologico di Dio, il politeismo degli dèi razzisti e corporativi occupa la scena. C'è insomma del lavoro urgente da fare: riguarda beni di prima necessità per l'ominizzazione, che il mercato ha dismesso. Questo libro, quasi in forma di "manifesto", offre il suo contributo. Non si limita a criticare gli idoli: per ognuno di essi, cerca di immaginare le contromosse necessarie. Noi, popoli cristiani d'Occidente, abbiamo meritato le conseguenze di questa ricaduta nel paganesimo. Ma ci è consentito un soprassalto di orgoglio: possiamo smascherare l'incantesimo della cultura nichilistica che pretende di rappresentarci, e aprire mille luoghi di liberazione. Ci sono rimasti assai più di dieci giusti, per convincere Dio, in favore delle generazioni che vengono, che non siamo così indegni dei doni ricevuti."
La memoria non è soltanto legata agli eventi passati della nostra esistenza, non ci parla soltanto di noi e della nostra vita. Nella memoria di quegli eventi possiamo rintracciare anche la loro origine: la memoria di Dio, quella fonte eterna che dà forma alla nostra vita e mette in ordine i frammenti della nostra storia. La nostra stessa identità è tracciata dalla memoria che Dio ha di noi. "Fare memoria" significa quindi vivere la relazione che Dio ci offre, il cui contenuto più profondo è l'amore. In questo libro, che vuole contribuire al recupero della memoria di Dio nella cultura contemporanea, l'autore articola il suo discorso in tre passaggi. Il primo analizza la visione tecnologica del mondo, che riduce tutto al "fare" e non lascia spazio allo stupore, ovvero alla contemplazione dell'origine di cui siamo noi stessi parte e che sola può dare vera dignità all'essere umano. Il secondo, partendo dall'esperienza dei figli di genitori divorziati, indaga il mistero della nostra figliolanza divina. Se va perduta la memoria di questa figliolanza, va perduta anche la nostra identità e il rapporto con la fonte primaria che ci fa esistere, e di conseguenza la nostra vita resta priva di ogni bellezza. Il terzo passaggio ci svela come la memoria di Dio sia tutt'altro che un evento intimo: essa genera cultura. Dio ha bisogno della collaborazione creativa dell'uomo, donandoci la possibilità di sorprenderci di fronte al miracolo dell'essere e di riscoprire la gioia legata al mistero di essere nati.
La parola "giustizia" ricorre sia nella quarta sia nell'ottava Beatitudine. Alla prima delle due, che si rivolge a "quelli che hanno fame e sete della giustizia", è dedicato questo libro. Su di essa riflettono e si confrontano Luigi Ciotti, da sempre impegnato nella lotta contro tutte le ingiustizie e per la difesa della legalità, e Salvatore Natoli, un filosofo laico sensibile ai temi religiosi e all'universalità del messaggio cristiano. Nei due saggi che compongono il volume gli autori sottolineano il valore non solo teologico e religioso, ma anche etico, civile e politico della giustizia annunciata e promessa nel Discorso della Montagna. Dimostrano come nella società secolarizzata contemporanea - attraversata da una fenomenologia dell'ingiustizia che assume di volta in volta nomi e forme diverse (disuguaglianze sociali, povertà, schiavitù, violenza e guerra) - la parola evangelica conservi la sua concretezza umana e, anzi, la sua attualità e radicalità rivoluzionaria. Ci ricordano come il Vangelo esprima un'universale aspirazione degli uomini e li motivi a un'azione comune per la costruzione di un mondo più giusto, tenendo viva la speranza anche per i non credenti.
Nella società contemporanea la mitezza è spesso assimilata alla passività, alla debolezza, alla mancanza di coraggio. L'essere miti appare un comportamento assolutamente inadeguato ad affrontare le durezze della realtà. Un grande merito di questo volume è quello di riscoprire, in controtendenza rispetto al pensiero prevalente, il significato autentico di questo concetto, rivalutandone il valore etico-politico. Da due prospettive diverse ma complementari, l'una religiosa e l'altra laica, Givone e Bodei sviluppano un discorso esauriente e approfondito sotto il profilo filologico, teologico e storico. Nei due saggi sono confrontati i diversi significati che la mitezza assume nel pensiero greco e nella cultura giudaico-cristiana, in particolare nell'Antico Testamento (i Salmi), nelle lettere di san Paolo e nella concezione ascetica e mistica del cristianesimo tipica del Medioevo. Uno spazio importante è poi dedicato al pensiero religioso e politico dei grandi interpreti moderni della mitezza evangelica, da Tolstoj a Gandhi, da Schweitzer a Bonhoeffer, fino alle più recenti riflessioni di Bobbio e di Zagrebelsky. Di particolare interesse è anche l'analisi che i due autori conducono sulla reinterpretazione del concetto di "eredità della terra" formulata dal pensiero ecologico che pone l'accento sulla necessità di salvaguardare la terra ricevuta in eredità per le prossime generazioni.
Nell'attuale linguaggio dominante, costituito prevalentemente da un lessico economico e quantitativo, non ricorre mai l'espressione "purezza di cuore". Nella nostra società secolarizzata sono scomparsi i "puri di cuore" ai quali è promessa la futura visione di Dio (Mt 5,8)? A questa domanda cercano di rispondere Salvatore Mannuzzu e Goffredo Fofi, che si confrontano, in modi diversi ma ugualmente liberi da pregiudizi ideologici e da dogmatismi religiosi o laicisti, con la sesta beatitudine. Il personaggio creato da Mannuzzu, un ottuagenario cristiano senza qualità, si misura con la parola evangelica, ne esplora la valenza teologica alla luce dei Salmi e della grande tradizione filosofica cristiana; confessa, in un coraggioso e spietato diario dell'anima, la sua tormentosa e tormentata ricerca di una purezza del cuore, ahimè perduta con i lontani e irrecuperabili natali dell'infanzia. Fofi analizza le ragioni storiche e sociali della perdita della purezza di cuore, causata dalla mutazione antropologica avvenuta con il passaggio dalla civiltà contadina alla civiltà industriale e poi all'attuale, disumanizzata, società dei consumi; solo nell'Italia pre-industriale, arcaica e pasolinianamente innocente, ormai irrimediabilmente scomparsa, in certe personalità straordinarie come Elsa Morante e Aldo Capitini e in alcuni personaggi dei romanzi di Tolstoj e Dostoevskij, si possono ritrovare i puri di cuore.
Fra tutte le Beatitudini, Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati è oggi la più difficile da accettare. Nella società attuale, dominata dall'edonismo, il paradosso espresso da Matteo 5,4 risulta incomprensibile. La cultura secolarizzata, che promuove l'illusione che la scienza e la medicina possano sconfiggere definitivamente il dolore, non è in grado di rispondere alla domanda radicale di Giobbe e di Dostoevskij: perché gli innocenti continuano a soffrire ingiustamente, senza ragione? Nel suo saggio Lucetta Scaraffia ripercorre la storia del rapporto fra il cristianesimo e il mistero della sofferenza, mettendo in luce le implicazioni teologiche, etiche ed esistenziali dei due atteggiamenti fondamentali assunti dai cristiani nei confronti di questa terribile realtà connaturata alla condizione umana: la carità attiva nell'amore del prossimo e l'esaltazione del valore del dolore nelle pratiche del misticismo più radicali ed estreme. "Consolatore degli afflitti" è la professione esercitata dal protagonista e voce narrante del racconto di Eraldo Affinati. Lo scrittore romano prosegue, in forma narrativa, l'analisi e il commento del messaggio evangelico che, nutrendo per così dire personaggi, situazioni e ambienti del mondo "fantascientifico" e surreale di un Regno intermedio, conserva la sua perenne validità per la nostra vita quotidiana.
Nessuna strategia politica, nessuna battaglia sociale è riuscita finora a realizzare la giustizia su questa terra. Ovunque nel mondo uomini e donne patiscono l'iniquità e vengono perseguitati se lottano contro di essa. Della giustizia, nella sua dimensione alta, non nell'accezione banalizzante di "legalità" oggi di moda, si occupano lo storico Franco Cardini e la filosofa Luisa Muraro in questo volume dedicato all'ottava Beatitudine. Cardini ne considera soprattutto le varie declinazioni valoriali espresse nella tradizione biblica e cristiana dell'Antico e del Nuovo Testamento, e nel pensiero occidentale non solo cristiano (da Aristotele a sant'Agostino), nonché il suo tormentato percorso storico; Luisa Muraro ne prende in esame, in particolare, i riflessi, per così dire intimi, nelle scelte esistenziali delle persone. Il discorso sviluppato dai due studiosi, al tempo stesso teologico, filosofico e storico-sociale, mette in evidenza il carattere rivoluzionario del tipo di giustizia predicato da Gesù, per il quale i "giusti" non sono quelli che si limitano a osservare esteriormente la legge, ma quanti dimostrano il loro amore per Dio attraverso quello nei confronti del loro prossimo. E per questo sono perseguitati. Profonda meditazione a due voci, questo libro è anche un invito alla speranza. Ai perseguitati per la giustizia non è promesso un premio in un lontano futuro. Di essi "è" adesso, subito, il regno dei cieli...
In questo testo, pubblicato nel 1972, Jean Daniélou si interroga sul ruolo degli intellettuali nella società contemporanea e in particolare sul loro contributo a quella ricerca della verità che appassiona l'uomo fin dalle origini. Di fronte al rapido sviluppo delle scienze e al proliferare delle filosofie fai-da-te, un ritorno allo studio della metafisica, intesa come rigorosa "scienza dello spirito", è per Daniélou il primo e decisivo passo verso la riappropriazione dell'essenza dell'uomo nei suoi rapporti con il mondo che lo circonda (e che si è fatto sempre più complesso). Dopo una sezione descrittiva, in cui si sofferma sugli effetti di tre atteggiamenti errati dell'età moderna - il positivismo, gli esistenzialismi e lo storicismo, che rappresenterebbero tre diverse degradazioni dell'intelligenza applicata allo studio dell'umano -, l'autore argomenta la necessità di mantenere sempre vivo e fecondo il dialogo tra fede e ragione. Per Daniélou lo studio dell'uomo implica infatti il riconoscimento di un dato reale e di un'essenza spirituale, elementi entrambi ineludibili e soggiacenti a quel "mistero sotto gli occhi di tutti" che solo una metafisica priva di ipocrisie e compromessi può cogliere.
"Misericordia" è oggi sinonimo di pietismo, paternalismo, buonismo. La virtù predicata da Gesù nel discorso della montagna è, per il comune sentire contemporaneo, un valore socialmente dubbio, sospetto quanto meno di falsa generosità e di altruismo autogratificante. Nel nostro mondo dominato dalla razionalità tecnologica si è infatti prodotta una separazione fra l'amore e la giustizia: il primo è diventato sentimentale e irrilevante, la seconda astratta e calcolatrice. E la nozione di carità, che originariamente traduce un tema di assoluta profondità teologica, è ridotta al banale significato di elemosina e beneficenza. A sgomberare il campo da questi equivoci e fraintendimenti provvedono - in questo secondo volume della collana dedicata alle beatitudini - un teologo e un filosofo. I due autori ricollocano la misericordia nel giusto ambito religioso e antropologico-culturale. Sequeri ne mette in rilievo il fondamento teologico, la sua profonda consonanza con l'agape (nell'accezione paolina, ripresa da Benedetto XVI nell'enciclica "Deus caritas est"). Demetrio, con un approccio più esistenziale, ne sottolinea il valore intimamente umano e universale, sia per i credenti sia per i non credenti "nobilmente pensosi".