In questo libro che fu già un best seller alla sua prima uscita nel 1989 (e fu poi genialmente ritoccato) Enzo Mandruzzato ci offre una «grammatica» da leggere e per leggere e che finisce con l'appassionare. Così il latino trova il suo spazio, lingua tra le lingue, e ci propone una sfida allettante: forse lo si può imparare senza sforzo, anzi con piacere.
In politica la realtà non è mai quella che appare. La narrazione dei vincitori «riscrive» la nuda trama dei fatti. Sugli ultimi trent'anni di storia italiana, paradossalmente, si è imposto il racconto dei vinti della storia. È la sinistra di matrice comunista e statalista - la grande sconfitta del secolo scorso, divenuta il sorprendente alfiere del liberismo selvaggio e del conseguente capitalismo finanziario - a raccontare cosa è successo, in sintonia con una parte della magistratura inquirente. Paolo Cirino Pomicino fa il controcanto alla storia «ufficiale» e - a forza di fatti, documenti e ragionamenti - offre una nuova e convincente lettura del passato prossimo e del presente. L'Italia vive una profonda crisi della democrazia, con la crescente invadenza del grande capitale finanziario e la progressiva trasformazione del ceto medio spaccato in due tronconi, il più piccolo dei quali è diventato una nuova classe dominante grazie alla finanza ingegnerizzata, mentre il ruolo dei corpi intermedi è pressoché scomparso. Serve una nuova rivoluzione borghese capace di rilanciare cultura e democrazia nel sistema politico italiano, «anonimo» e sempre più personalizzato. In questo quadro ha fatto irruzione, a fine febbraio, la guerra in Europa Orientale, con l'invasione russa dell'Ucraina. Migliaia di morti, milioni di profughi e danni materiali incalcolabili hanno commosso il mondo e compattato l'Europa e l'Occidente nel sostegno politico e materiale all'Ucraina e nelle sanzioni, durissime, alla Russia. Una svolta tragica, per un nuovo ordine mondiale.
In seguito alla pubblicazione nel 1905 di "Eretici" - una raccolta di saggi in cui l'autore attacca con stile brillante e corrosivo i dogmi della sua epoca - Chesterton fu sfidato dalla critica a indicare quale fosse la propria visione del mondo. Tre anni più tardi, nel 1908, diede alle stampe "Ortodossia". In quest'opera, ricchissima di idee e di suggestioni, lo scrittore inglese esprime la sua incrollabile fede cristiana, di cui argomenta con rigore, ma senza rinunciare al gusto per il paradosso, l'assoluta ragionevolezza. Tutte le obiezioni e le accuse che vengono di norma rivolte al cristianesimo sono affrontate con schiettezza, discusse e infine puntualmente rovesciate. Il risultato, spesso sorprendente, è la dimostrazione che anche i punti più astrusi della dottrina colgono una verità profonda dell'essere umano. In particolare, nel cristianesimo l'autore individua un insieme di valori spirituali e morali in grado di difendere l'uomo da ciò che, minando la bellezza e la santità della vita, lo rende infelice: le ingiustizie del capitalismo, le teorie materialiste e deterministe (in particolare l'evoluzionismo), le eresie del passato e del presente. Il cristianesimo, per Chesterton, è la sola risposta possibile a quell'aspirazione al Vero, al Bene, al Bello, al Giusto, che abita nel cuore di ciascuno di noi.
I brevi saggi raccolti in questo volume furono scritti nell'arco di vent'anni per due giornali inglesi, "The Illustrated London News" e "The New Witness". In essi Chesterton prende di mira alcuni aspetti del suo tempo (ma anche del nostro...), indicativi di un atteggiamento ideologico di irragionevole, e un po' ottuso, scetticismo nei confronti della Tradizione - assai diffuso tra i suoi (e nostri) contemporanei - e di ingenua fiducia verso tutto ciò che ha l'apparenza della novità. Tra gli argomenti fatti oggetto della sua critica, compaiono la venerazione per gli animali domestici, il proliferare delle sette, il consumismo, il divorzio, lo spiritismo, l'esotismo, la fiducia incondizionata nelle conquiste della scienza, l'ateismo, l'individualismo, la divulgazione pseudoscientifica e, come suggerisce il titolo del primo saggio di questa raccolta ("Sulla serietà"), l'incapacità di sorridere della (e alla) vita
Da mezzo secolo l'Europa «pianifica» con i paesi della Lega Araba la fusione delle due sponde del Mediterraneo in un nuovo, mostruoso agglomerato che Bat Ye'or ha suggestivamente denominato «Eurabia» (un'espressione subito fatta propria da Oriana Fallaci). Questo progetto, perseguito con coerenza attraverso il cosiddetto «Dialogo Euro-Arabo» ha portato alla graduale, ma inesorabile trasformazione del continente europeo in un ibrido asservito alle esigenze politiche e agli standard culturali del mondo arabo. Tutto ha avuto inizio con la crisi petrolifera del 1973 e con l'ambizioso progetto, soprattutto francese, di costruire un asse geopolitico e ideologico alternativo a quello americano e atlantico. In un arco di tempo relativamente breve l'Europa ha sacrificato la sua indipendenza politica, oltre che i suoi valori culturali e spirituali, in cambio di garanzie (in gran parte illusorie) contro il terrorismo e di qualche vantaggio economico. L'autrice ricostruisce le attività e gli strumenti che hanno prodotto questa folle deriva, dagli anni del pieno funzionamento del dialogo euro-arabo alle perverse scelte sul piano della politica estera (adozione di un'ideologia antisemita e antisionista, demonizzazione di Israele e degli USA, sdoganamento del terrorismo islamico e di Arafat). E naturalmente ne individua i molti responsabili politici, culturali e religiosi. Il bilancio è drammatico. Questa politica ha condotto (e conduce) alla mancata integrazione degli immigrati musulmani, al proliferare di cellule terroriste islamiche in tutto il continente, al ripudio da parte dell'Europa delle sue radici ebraico-cristiane e al conseguente stravolgimento della sua identità culturale, religiosa ed etica. Per altro, come scrive Bat Ye'or nella nuova introduzione, «per il momento non si vede alcun vero sforzo di riforma da parte delle autorità ufficiali musulmane. L'Occidente ha i mezzi non militari per esigere chiarimenti, ma avrà il coraggio di farlo?». Con un nuovo saggio introduttivo dell'autrice.
Tutto quello che la gente sa sul cosiddetto caso Moro, cioè sulla strage efferata della sua scorta in via Fani, la lunga prigionia dello statista democristiano e la sua sconvolgente morte, si basa in gran parte su una ricostruzione dei fatti frutto di un compromesso volto a formulare una «verità accettabile» sia per gli apparati dello Stato italiano, sia per gli stessi brigatisti. Tutto questo provocò un processo di rielaborazione, molto tortuoso ed ex post (durato oltre dieci anni, da quel tragico 1978 al 1990), su che cosa era veramente accaduto durante l'«Operazione Fritz», il nome in codice dell'«operazione Moro». E ancora oggi, a ben guardare, noi non sappiamo tutta la verità sulla morte di Aldo Moro. Le verità emerse dalla nuova Commissione d'inchiesta Moro 2 sono sconcertanti. Quattro anni di lavoro, migliaia di documenti desecretati degli archivi dei servizi segreti italiani, centinaia di nuove testimonianze, nuove prove della Polizia scientifica e dei RIS dei Carabinieri hanno rivelato molti nuovi, sorprendenti elementi. Qualche esempio. Moro guardò negli occhi chi gli sparava, non morì sul colpo, ma in modo atroce, dopo una lenta agonia. Il suo carceriere trovò rifugio da latitante in una palazzina dello IOR, la banca vaticana. L'omicidio ben difficilmente è potuto avvenire nel box di via Montalcini 8, così com'era nel 1978. Almeno 2 terroristi della Rote Armee Fraktion potevano essere in via Fani. Fu un imprenditore israeliano che fornì i 10 miliardi del riscatto consegnati a Paolo VI. Le fazioni palestinesi giocarono un pesante ruolo nella trattativa. Durante il sequestro passarono alle BR documenti top secret della NATO. Infine emerge uno scenario internazionale del delitto che i brigatisti hanno sempre negato. Purtroppo anche in molte rievocazioni in occasione dei quarant'anni del rapimento è stata riproposta la vecchia narrativa, messa a punto come un abito su misura. Allora, la sola «verità» dicibile, ma oggi del tutto insoddisfacente.
"Ci stiamo avviando alla fine dell'epoca storica iniziata nella seconda metà del 700 con la Rivoluzione Industriale. La crisi economica continua a far sentire i suoi effetti negativi da quasi un decennio. Nei Paesi industrializzati i livelli della disoccupazione aumentano soprattutto tra i giovani. La corruzione politica invade tutti i gangli del potere in forme sempre più spregiudicate e sempre più spesso impunite. Allo stesso tempo tutti i fattori della crisi ambientale continuano ad aggravarsi, anche perché i partiti non sono in grado di affrontarli. Non hanno un programma politico incardinato sui valori della sostenibilità ambientale, dell'equità estesa alle generazioni future e ai viventi non umani e della solidarietà. A loro interessa soltanto conquistare la maggioranza dei voti per governare nel modo che considerano più rispondente alle esigenze dei propri elettori, disinteressandosi della sostenibilità da cui dipende la continuità della vita sulla Terra. E del resto non si può pensare che un programma politico radicalmente nuovo possa essere gestito costituendo un partito con le stesse caratteristiche di quelli esistenti. Perché, come ricordava qualcuno, non si può mettere vino nuovo in otri vecchi. Il vino nuovo va messo in otri nuovi (Luca 5,37-38)." (Maurizio Pattante)
Le guerre finiscono con la vittoria o la sconfitta. L'11 settembre 2001 le frange radicali dell'islam hanno dichiarato guerra all'Occidente. Dopo diciassette anni di conflitti e attentati, che hanno causato la morte di 1500 europei, stiamo perdendo. Ci siamo ritirati dai fronti militari con la coda fra le gambe, ci siamo abituati all'orrore nelle nostre strade, abbiamo cantato Inshallah al Bataclan, abbiamo accettato che i nostri confini crollassero consentendo a milioni di varcarli, abbiamo tradito Israele e abbandonato i cristiani d'Oriente, abbiamo liquidato la tradizione giudaico-cristiana su cui l'Europa è fondata. La causa di tutto questo non sono soltanto gli islamisti asserragliati nei ghetti dell'«Eurabia», ma anche i relativisti, gli edonisti e i decostruzionisti. L'Occidente è ancora forte militarmente, ma si è suicidato culturalmente. Non pensiamo più che ci sia qualcosa per cui valga la pena lottare. Siamo arrivati stanchi alla sfida dell'islam radicale. Se non ritroveremo la volontà di difendere la nostra cultura e i nostri valori, la nostra civiltà finirà prima con uno schianto e poi con un lamento.
Siamo nel pieno di una crisi economica, politica, morale e ambientale che pare inarrestabile. L'Occidente sembra destinato a impoverirsi e a diventare trascurabile, mentre i Paesi dell'Est e del Sud del mondo continueranno a crescere. In Europa si fanno sempre meno figli, e aumentano le malattie non comunicabili e le cosiddette «malattie del benessere». Assieme alla nostra umanità, stiamo perdendo ciò che ci caratterizza e ci rende speciali: la nostra cultura, il nostro spirito, il contatto con la natura. Viviamo secondo quello che Eliot ha definito il principio del profitto e della perdita, governati dalle sole logiche dell'economia. In un vivace scambio di spunti e di riflessioni, Francesco Borgonovo, giovane e brillante giornalista, e Claudio Rise, noto psicologo-analista junghiano, ci forniscono gli strumenti per comprendere i mali della contemporaneità. Muovendo dalla psicoanalisi, dalla sociologia e dalla filosofia, ma anche dal pensiero di poeti e intellettuali come Ezra Pound, Thomas Stearns Eliot e Henry David Thoreau, delineano la fisionomia di una civiltà decaduta e ci mostrano, al contempo, la via per un possibile riscatto. Se è vero che nuvole fosche hanno coperto l'orizzonte, non tutto è perduto. Possiamo ancora cambiare il corso di molte cose, e tornare, infine, «a riveder le stelle».
In questo libro troviamo tutto ciò che chiamiamo «il latino», una lingua niente affatto morta, che permane e riaffiora, talvolta in incognito, anche nel parlato più quotidiano, espressione di una civiltà che permea ancora la nostra cultura. Nel suo cuore l'uomo occidentale conserva un'affezione per questa radice della propria identità e sogna forse un ritorno alla patria romana aperta all'Europa e al mondo. In questo libro che fu già un best seller alla sua prima uscita nel 1989 (e fu poi genialmente ritoccato) Enzo Mandruzzato ci offre una «grammatica» da leggere e per leggere e che finisce con l'appassionare. Così il latino trova il suo spazio, lingua tra le lingue, e ci propone una sfida allettante: forse lo si può imparare senza sforzo, anzi con piacere.
Ogni giorno interagiamo con l'ambiente e ne utilizziamo le risorse. Ma ogni comportamento, ogni azione, lascia un segno, determina una modificazione che pone le basi di quello che accadrà. Nel presente scriviamo il futuro, e sono in tanti a sostenere che, data la nostra attuale condotta, siamo ormai prossimi a quel punto critico in cui lo squilibrio biologico e climatico del pianeta produrrà cambiamenti tali da compromettere radicalmente la vita e la coesistenza pacifica degli esseri umani sulla terra. Infatti, non si tratterà soltanto di eventi calamitosi circoscritti, ma di una catastrofe globale che determinerà spostamenti di intere comunità e guerre per il controllo delle risorse ancora disponibili. "Domani" è il racconto di un viaggio: un viaggio nel mondo di oggi, là dove esistono iniziative e progetti, ricercatori e gente di buona volontà al lavoro per modificare da subito il corso delle cose. Dall'Islanda a San Francisco, da Copenaghen all'isola della Riunione, Dion ha percorso il mondo per parlare a coloro che operano in modo creativo e innovativo nei settori più disparati - agricolo, energetico, economico, politico, architettonico e urbanistico e dell'istruzione. Il risultato è un mosaico di piccole grandi storie che hanno spesso per protagoniste persone comuni e che ci aiutano a comprendere i problemi e le sfide da affrontare, indicandoci la strada da seguire per cambiare il nostro domani.
Nel 1905, all'età di trentun'anni, Gilbert Keith Chesterton riunisce in un unico volume gli articoli scritti per il liberale "Daily News". Nasce così Eretici, in cui il "principe del paradosso", facendo sfoggio di tutta la sua tagliente ironia, passa al vaglio le più importanti figure del suo tempo, in particolare del mondo della letteratura e dell'arte: Rudyard Kipling, Gorge Bernard Shaw, H. G. Wells, James McNeill Whistler. Ciò che soprattutto gli interessa è però combattere le "eresie" di cui si fanno banditori o interpreti e che si riflettono in quelli che l'autore identifica come i grandi mali della modernità: la cieca fede nel progresso, lo scetticismo, il determinismo, la negazione dell'esistenza di Dio e dei valori fondamentali del cristianesimo. Frutto di un sapiente dosaggio di umorismo e buon senso, "Eretici" suscitò le ire di alcuni critici, perché condannava le filosofie coeve senza fornire alternative. Lo scrittore inglese decise quindi di replicare qualche anno più tardi con un altro celebre titolo, "Ortodossia", di cui questo resta l'essenziale premessa. Prefazione di Roberto Giovanni Timossi.