Giovanni Taulero (Johannes Tauler, 1300 ca.-1361), domenicano strasburghese, è il più importante discepolo diretto del confratello Eckhart, e la sua importanza storica è dovuta soprattutto al fatto che i suoi sermoni hanno trasmesso l’essenziale del messaggio spirituale del Meister. Muovendosi rigorosamente nell’ambito ecclesiale, Taulero evitò infatti la censura che aveva colpito Eckhart, e così la sua opera fu stampata più volte fin dal XV secolo, tradotta in latino, diffondendo in tutta Europa (pensiamo ad esempio a San Giovanni della Croce) quei concetti di “fondo dell’anima”, di totale distacco, di annichilimento dell’ego, di nascita del Cristo nell’anima, che costituiscono il cuore della mistica tedesca, il cui eco risuona ben oltre il medioevo, in Hans Denck, Sebastian Franck, Daniel von Czepko, Angelus Silesius.
Non meraviglia perciò che Taulero sia stato posto ai vertici della spiritualità da personaggi anche molto diversi tra loro, come ad esempio Lutero e Schopenhauer.
Del resto, lo strasburghese non è un mero ripetitore dell’insegnamento eckhartiano. I suoi sermoni testimoniano un’esperienza interiore personale e una finezza psicologica per nulla inferiore a quella del Meister, costituendo perciò a buon diritto uno dei “classici” della mistica cristiana.
In questo volume sono presenti i primi dieci sermoni di Taulero dell’edizione tedesca Vetter-Hoffmann, tradotti, annotati e introdotti da Marco Vannini, già curatore dell’intera opera di Eckhart e di tutta la predicazione tauleriana.
Marco Vannini è il maggior studioso italiano della mistica tedesca, pre- e post-protestante, traduttore di Eckhart, della Teologia tedesca, di Valentin Weigel, Sebastian Franck, ecc. In questa stessa Collana ha pubblicato Contro Lutero e il falso evangelo (2017) e curato (con Giovanna Fozzer) Seicento distici di sapienti di Daniel von Czepko, Il pellegrino cherubico di Angelus Silesius (2018) e Scritti religiosi di Hans Denck (2019).
Giovanni Vannucci (Pistoia, 1913-Firenze 1984) dell’Ordine dei Servi di Maria, ha vissuto come protagonista silenzioso la storia del cattolicesimo italiano della seconda metà del ventesimo secolo, attraversandone con faticosa, dolorosa lealtà le contraddizioni e la crisi.
La sua grandezza è apparsa in tutto il suo rilievo solo dopo la morte, attraverso la pubblicazione postuma di una quantità di opere, di cui questa che presentiamo è certamente una delle più importanti. Sono qui raccolte le Lezioni sull’Alchimia e quelle sull’Anno liturgico che Vannucci tenne all’Eremo di San Pietro alle Stinche
nell’inverno 1980-1981: si tratta dunque di una delle ultime opere del religioso servita, frutto più maturo della sua lunga, appassionata ricerca a tutto campo nel regno dello spirito. Troviamo qui illustrata una tesi per molti versi paradossale e sconvolgente: la liturgia cristiana deriva dall’ermetismo antico, attraverso la mediazione dell’alchimia, verso la quale si ha perciò il grosso debito di aver mantenuto vivo, nascostamente, l’insegnamento della tradizione ermetica, da quando, con la chiusura della Scuola di Atene, la filosofia classica fu messa al bando dall’Impero romano diventato cristiano e braccio armato della Chiesa ormai vincitrice sul paganesimo. Seguendo questo filo conduttore, appaiono in una luce completamente nuova molte delle pratiche di quella liturgia cristiana cui l’uomo contemporaneo non partecipa più, anche perché non comprende nel suo vero, profondo significato.
Questa che presentiamo, a cura di Marco Vannini, è la prima traduzione italiana degli scritti di uno dei personaggi più significativi della storia religiosa tedesca dei primi del XVI secolo.
Nella sua breve vita (1500 ca.-1527), Hans Denck fu infatti testi­mone ed attore importante in quel periodo cruciale in cui stava nascendo la Riforma protestante. L'umanesimo di origine italiana, in­sieme alla lezione filologica di Erasmo, avevano messo in crisi non solo la credenza tradizionale, ma anche, e soprattutto, la fede nella Scrittura secondo la "lettera". L'umanista cristiano Denck combatte perciò l'i­pocrisia dei riformatori, che si appoggiano su questo o quel passo della Scrittura, mettendo da parte i passi di significato opposto, incapaci di cogliere il vero come l'intero perché privi di comprensione secondo lo spirito. Per lui, la salvezza si può avere "senza prediche e senza Scrit­tura", giacché dipende da una conversione interiore, apertura alla luce divina, nella rinuncia a ogni "appropriazione", owero a ogni forma di egoità, in conformità con la lezione della mistica medievale, e in parti­colare del Libretto della vita perfetta (alias Teologia tedesca), tante volte citato.
La precocissima morte impedì a Denck di diventare uno degli espo­nenti principali della storia religiosa di quegli anni, ma già questi suoi Scritti religiosi dimostrano come la moderna libertà di fede e di pensiero trovi la sua origine nell'apporto comune di filologia e mistica.
Il capolavoro di Czepko, i "Sexcenta monodisticha sapientum", è la raccolta poetica che ha ispirato all'amico Angelus Silesius il "Pellegrino cherubico" e, al pari di questo, si può considerare una vera e propria summa della tradizione spirituale classica e cristiana. I distici di Czepko trattano, con concettosa brevità, il tema cruciale del destino dell'uomo e dell'unione dell'anima con Dio. Il materiale speculativo dei versi è fornito all'autore dalla filosofia greca, dal mondo cristiano antico, ma soprattutto dalla mistica tedesca, medievale (Eckhart, Taulero, la Theologia deutsch) e rinascimentale (Franck, Weigel, Böhme). Con sublime arditezza il poeta ci parla così di distacco da se stessi, di "morte dell'anima", di ritorno all'origine e ricongiungimento a quell'Uno da cui, in realtà, non siamo mai usciti.
Medico e filosofo tedesco, di famiglia protestante ma passato al cattolicesimo e diventato prete, Johannes Scheffler (1624-1677), che assunse lo pseudonimo di Angelus Silesius (angelo della Slesia), è stato giustamente definito "versificatore di Eckhart", ma il suo "Pellegrino cherubico" è in realtà una sintesi completa della tradizione mistica occidentale. Esso fonde mirabilmente la riflessione di origine classica, soprattutto neoplatonica, filtrata attraverso i mistici medievali tedeschi, con i motivi più profondi della pietà cristiana. Il versante speculativo del libro è stato altamente stimato da pensatori quali Hegel e Schopenhauer, e la sua profondità psicologica ha causato l'ammirazione di psicoanalisti come Lacan. Il "Pellegrino cherubico" non è però un'opera facile: i suoi distici racchiudono spesso, nel breve spazio di due versi, concetti tra i più elevati del misticismo. La versione qui presentata, con l'accuratezza della traduzione e la ricchezza della introduzione e delle note, permette al lettore la comprensione e il godimento di questo capolavoro della poesia tedesca e di quella spirituale di tutti i tempi.
L'evangelo è l' annuncio della realtà dello spirito, luce divina presente nell'uomo completamente distaccato dalla propria egoità psichica. Espresso pienamente dalla filosofia classica, l'evangelo è stato ripreso nella mistica cristiana, ed è lì che Lutero l'ha incontrato, ribaltandone però completamente il senso. Partendo proprio dalla mistica medievale germanica, questo libro mostra il rovesciamento dell'evangelo operato dal Riformatore. Col suo odio per la filosofia, esaltando il sentimento particolare e negando la ragione universale, la teologia luterana gonfia ipertroficamente l'ego ed eleva al massimo grado quella menzogna che di ogni teologia è costitutiva essenziale. Oggi, a cinquecento anni della Riforma protestante, mentre il mondo laico saluta in Lutero il fondatore di quell'individualismo in cui vive, le Chiese celebrano in lui un cristianesimo del mero sentire, senza spirito e senza verità: "non credenti" e "credenti" finalmente uniti nella negazione dell'evangelo.
Il distacco, via regia per la realizzazione della Realtà autentica sia negli insegnamenti evangelici che nel Buddhadharma, è praticato attraverso una costante presenza mentale e un ricordo continuo della fondamentale istruzione: recidi l'amore verso te stesso." Due insegnamenti spirituali in apparenza lontani si incontrano e dialogano nell'esperienza personale dell'autrice che intuisce l'armonia di fondo che collega le parole di Saggezza e di Amore del Buddha e di Gesù, svelando che il distacco dall'ego è il fondamento comune ad entrambe le Vie. Buddhadharma e Vangeli sono presentati al lettore attraverso una visione che coglie l'unità dell'autentica esperienza spirituale, esperienza universale che precede etichette e nomi che differenziano e separano ciò che all'origine è uno: l'antica sempre nuova esperienza dell'Essere che si presenta in modi diversi secondo tempi, luoghi e culture ma è fondamentalmente la stessa sotto ogni cielo, così come le coordinate dell'interiorità umana sono le stesse pur nella molteplicità di espressione.