Dopo Scacco alla superclass (Mimesis, 2016), Giorgio Galli e Francesco Bochicchio tornano in libreria con un saggio che intende fare chiarezza sul rapporto tra crisi e ruolo delle multinazionali. È corretto affermare che l'attuale situazione abbia coinvolto tutti i livelli della scala sociale, oppure qualcuno ne ha persino tratto vantaggio? La seconda parte, del giurista e esperto finanziario e di diritto bancario Francesco Bochicchio, certifica la natura endogena della crisi. Contrariamente da quanto sostenuto da Schmidt e Robbins, l'economia attuale si è alterata a tal punto da non poter essere più considerata una scienza dei mezzi. L'opera a quattro mani di Galli e Bochicchio si propone di descrivere i danni causati da questa preoccupante mutazione.
Il presente libro si compone di due parti, frutto delle idee congiunte e convergenti dei due autori nell'ambito di un'impostazione comune ed unitaria. La prima parte, di Francesco Bochicchio, evidenzia la crisi della democrazia e del diritto, anche di natura formale, e così della stessa libertà non solo come libertà positiva. La seconda parte, di Giorgio Galli, si incentra sulla crisi della democrazia rappresentativa, di cui si evidenziano la profondità e la gravità.
Cosa ha a che fare l'economia con la sfera del divino, dello spirituale, del mistico? Dove troviamo le interconnessioni? Ci si rende conto che la proposta è di grande rilevanza teoretica, perché va in controtendenza con la tradizione occidentale (e occidentalistica) di separare e dividere ambiti di conoscenza e di esperienza (etica, filosofia e teologia; etica, teologia e scienza; etica e politica; etica ed economia, ecc.). La riflessione si snoda secondo una duplice prospettiva: da una parte il confronto con economisti, filosofi, teologi e teologhe che stanno pensando (e vivendo anche) modelli altri, prospettive nuove e quello con il pensiero di Raimon Panikkar dall'altra.
Che relazione c'è tra guerra e capitalismo? Storicamente la guerra è stata considerata figlia del capitalismo. È il caso della concezione materialistica della storia nell'ottica dell'imperialismo come fase suprema del capitalismo. Ma la guerra è anche, se non soprattutto, madre del capitalismo. Innovando completamente lo scibile sociologico dell'epoca come quello dei nostri giorni, e invertendo l'ordine della relazione tra i due fenomeni, con questa opera Werner Sombart documenta tutti i processi sociali che hanno portato il mondo militare ad essere una delle fonti principali del capitalismo. Unica nel suo genere per intuizioni originali e capacità di dimostrazione dei relativi assunti, allora come oggi quest'opera costituisce un riferimento imprescindibile per comprendere la storia economica e militare di tutte le società moderne (se non la modernità tout court) e sopratutto le origini del capitalismo. L'analisi minuziosa di un patrimonio enorme di dati rende inoltre il lavoro uno tra i più autorevoli studi classici della (allora nascente) sociologia, quale scienza sociale empirica.
L'attuale crisi, che è soprattutto culturale, ha messo in luce quanto siano ormai inadeguate e inattuali molte delle idee che hanno presidiato negli ultimi cento anni l'ambito economico e che hanno contribuito a spezzare il complesso filo delle relazioni che legano l'economia alla politica. L'economia ambisce a dare a tutti gli abitanti del pianeta un orizzonte di senso, proprio come la religione, e come la religione si fonda su un insieme di credenze che vorrebbero mantenere unita la collettività e che gravitano intorno a un pantheon di miti e di simboli: il "mercato", il "denaro", la "libertà", la "razionalità" e la "felicità". Se queste credenze non vengono decostruite e sfaldate non si aprono margini per pratiche economiche generalizzate che rispondano a logiche diverse da quelle in atto. Sono il "debito" e la "comunità" le dimensioni che possono ricostruire un tessuto sociale e individuale fortemente frantumato.
Anche le religioni sono sottoposte a un cambiamento incessante. Oggi siamo dinanzi a una secolarizzazione e a una "religione" del mercato. E se è vero che fra religione ed economia non vi è rapporto causale, ci troviamo spesso di fronte a un consumatore religioso, a un orientamento dato dal mercato e al problema della sostenibilità delle attività religiose. Religione ed economia rimangono ordini simbolici autonomi e distinti anche se entrambi agiscono nella coscienza e nei mondi vitali delle persone. Il destino delle religioni e dell'economia è stato, è, sarà, sempre separato. Nessuna religione apparterrà mai a un sistema economico poiché esse non sono morali e non sono attori del mercato, bensì sono dimensioni della vita personale. Sempre più si presentano però in concorrenza in quello che potremmo definire il "mercato delle religioni". In questo libro le religioni appaiono nel loro volto multiforme e nelle loro infinite sfaccettature e l'economia è una dimensione culturale che molti pretendono si costituisca come una "fede" capace di modellare la vita individuale e sociale.