«Quando vado in giro vedo tanta gente musona, lamentosa, polemica, gente che sembra contenta di essere infelice. Allora mi sono chiesto: e se essere infelici fosse normale? Ma poi cos'è la normalità? C'è qualcuno più normale o più diverso? E rispetto a chi? La verità è che la vita è fatta di up e down : siamo tutti up quando le cose vanno come vogliamo e siamo down quando invece non rispettano le nostre aspettative. La cosa curiosa è che essere up è la condizione che caratterizza maggiormente le persone che hanno la sindrome di Down. Non so perché, sarà nel DNA, in quel cromosoma in più, ma è così. Per loro è più facile essere felici. Hanno una fiducia, una confidenza con la felicità che a me spesso manca. Forse perché per un'anomalia genetica hanno scoperto tesori inestimabili: la manifestazione dell'affettività, la risata contagiosa, la predisposizione al sorriso, il piacere di stare insieme, la meraviglia per le piccole cose. Sono i miei super-eroi, perché hanno il potere inconsapevole non solo di compiere l'impossibile, ma anche di insegnarti a fare altrettanto. Io ho capito come essere felice stando con persone con sindrome di Down. Ve lo racconto in questo libro in modo che anche voi possiate impararlo. È semplice. (Semplice non vuol dire facile, vuol dire semplice.)» (Paolo Ruffini)
Dopo aver contribuito con i suoi due memoir a diffondere una nuova cultura sull'inclusione sociale delle persone neurodiverse, Gianluca Nicoletti compie ora un inaspettato salto avanti. Visto che tra le poche certezze che la scienza ha sull'autismo c'è quella della componente ereditaria, Nicoletti si sottopone a una serie di test neurologici per stabilire se anche lui è autistico e in quale percentuale, e la risposta è positiva. "Figlio di suo figlio", Nicoletti ammette che è merito di Tommy se oggi lui ha la cognizione di quanto sia limitata una società abbarbicata sulle proprie certezze e incapace di tollerare "cervelli ribelli". E analizza la recente paura collettiva basata sulla superstizione che i vaccini facciano diventare autistici, mostrandoci come in realtà temiamo ciò che è diverso perché è destabilizzante. Il mondo futuro, però, tra relazioni mediate dalla tecnologia e abbattimento di strutture affettive tradizionali e rassicuranti, sembra destinato a essere proprio a misura di autistico ad alto funzionamento.
"Mi chiamo Claudia Digregorio. E da grande voglio camminare." Claudia ha 15 anni e vive a Santeramo, un paese in provincia di Bari. Da tre anni è costretta su una sedia a rotelle, gradualmente ha perso le forze in ogni muscolo del corpo e oggi respira soltanto grazie alla tracheotomia. Una notte di giugno del 2012, quella degli esami di terza media, l'ha colpita una malattia, forse genetica, alla quale però nessun medico al mondo è riuscito finora a dare un nome. Ma Claudia non si è arresa. E ha deciso di trasformare - con la caparbietà, le lacrime, l'ironia - la sua vita nella sua battaglia: tornare a essere una ragazza normale. Accanto a lei c'è suo padre Gaetano che, da quella notte in cui "sembrava che tutto fosse finito, i medici ci dissero che lei non sarebbe mai più stata la stessa", si è messo alla caccia della "bestia" che ha colpito sua figlia. Ma, soprattutto, ha deciso di dedicare la sua esistenza a Claudia. E siccome lei ha fortemente voluto frequentare la scuola, come tutte le ragazze della sua età, è proprio Gaetano che ogni mattina la accompagna. La porta fin dentro la classe, aspetta che si sistemi e poi torna nella sua vecchia jeep bianca, senza però metterla in moto. Sfoglia un giornale, ascolta la radio e aspetta che le lezioni finiscano. In officina non va quasi più. Dice: "Mi spiace, gli altri possono attendere. Io ho una cliente più importante. La serranda resta chiusa". Gaetano aspetta la figlia ogni giorno fuori della scuola perché può avere bisogno...
"Ho impiegato molto tempo per vincere il mio pregiudizio nei confronti dei medici. Ho sondato perplessità, approssimazione, indifferenza in quegli umani in camice bianco che davano un'occhiata, scrivevano qualcosa e poi rimandavano all'appuntamento successivo, sempre dopo mesi, durante i quali Tommy, il ragazzone autistico che ho in dotazione in quanto padre, continuava a crescere, a smaniare, a fare il pazzo. Ma evidentemente a loro non importava." Con queste amare parole Gianluca Nicoletti, giornalista e autore di due best seller sull'autismo, esprime il disagio e il senso di isolamento che tanti genitori come lui hanno provato nel dover affrontare da soli il peso di una diagnosi difficile da accettare e, poi, un percorso educativo e di crescita irto di difficoltà e incognite. Con il disperato bisogno di sapere e di capire, per poter continuare ad amare. A questi padri e a queste madri Luigi Mazzone, neuropsichiatra che da anni si occupa di disturbi dello spettro autistico, risponde con un libro che è una sorta di "guida pratica", completa e comprensibile, per aiutarli nella gestione quotidiana dei piccoli e grandi problemi (dalla selettività alimentare ai disturbi del sonno, dai comportamenti rituali e ripetitivi ai momenti di agitazione e aggressività) che un figlio autistico presenta, ma con lo sguardo rivolto all'intero arco della sua vita.
I numeri sono da bollettino di guerra: in Europa 62 milioni di donne hanno subito violenze fisiche e/o sessuali e il 67% di vittime di abusi in famiglia non lo ha denunciato. Alessia Sorgato, cassazionista specializzata in diritto penale delle vittime, da sempre coraggiosamente impegnata a fianco delle donne nella lotta alle violenze di genere, partendo da storie vere raccolte negli anni, affronta il drammatico tema in tutte le sue molteplici declinazioni: dalla violazione degli obblighi famigliari ai reati su internet, dallo stalking ai maltrattamenti, dalla prostituzione minorile alla violenza sessuale su su fino all'uxoricidio... traccia i profili degli offender, ma delinea anche quelli delle vittime. Con un linguaggio semplice ed efficace ci guida nei meandri della giurisprudenza, ci parla di coraggio e di fragilità, di presa di coscienza e di speranza, di tutto quello che succede quando una donna decide di aprire una porta - o meglio una serie di porte - per raccontare la sua storia e denunciare... Prefazione di Maurizio Costanzo.
"Mi sono ammalata a cinque anni. Era estate, le vacanze appena cominciate. Io ero una bambina con i riccioli, volevo costruire castelli di sabbia in spiaggia con mio fratello e i miei cugini, ma ho dovuto cambiare programma. Siamo tornati in città e le vacanze le abbiamo passate nel reparto di Diabetologia per adulti. Avevo braccia lunghe e magre, livide dal gomito in giù: mi facevano un buco ogni due ore. Ora le mie braccia sono remi: sento la forza che irradiano, sento i muscoli tendersi, le spalle ruotare, le mani irrigidirsi nell'impatto con l'acqua. A ogni spinta avanzo, a ogni spinta mi allontano dalla Monica che ha sofferto, che si è sentita in colpa per essersi ammalata, che si è sentita vittima. Toccare riva è il mio riscatto, la mia conquista. Poche bracciate ancora e sono libera: libera dalla mia rabbia, libera dall'idea di me come malata. Libera di essere solo Monica, la fondista, la prima donna diabetica di tipo 1 in Europa ad avere attraversato a nuoto lo stretto di Messina." Se Monica Priore avesse dato retta ai medici, oggi non sarebbe più sana e nemmeno più felice. Impugnando la diagnosi di diabete di tipo 1, la medicina ufficiale la obbligava a una specie di vita a ostacoli: dieta ferrea, tanta insulina, orari rigidi e una blanda attività fisica per scongiurare il rischio di crisi ipoglicemiche. Un vero inferno. Ma Monica ha sempre sentito nel profondo della sua anima che, se avesse imparato a gestire la sua malattia, avrebbe potuto condurre una vita quasi normale.
Martina Fuga, mamma di una bimba con sindrome di Down, racconta la sua storia di vita possibile. Ricordi, episodi, riflessioni - narrati in una prosa asciutta ed essenziale - delineano il suo percorso di accoglienza della disabilità della figlia intrapreso tra difficoltà e successi quasi dieci anni fa. Lontano da intenti buonisti, spietato come la verità impone, "Lo zaino di Emma" racconta lo straordinario rapporto che lega una madre a una figlia e offre spunti di riflessione a chiunque si interroghi sul senso vero della vita.
Il "cyberbullismo", un termine diventato recentemente di tragica attualità, rappresenta oggi per la stragrande maggioranza dei minorenni una minaccia molto concreta, quasi come l'alcol e la droga, in una società in cui la dimensione "digitale" della vita privata, in particolare di quella dei più giovani, ha conquistato un ruolo predominante. Federico Tonioni, esperto di bullismo online, ci guida nel nuovo mondo delle relazioni via web, che noi adulti in gran parte non conosciamo e che quindi ci spaventa, facendoci sentire impotenti. Alla fine della scuola primaria, i ragazzi avvertono con maggior urgenza il bisogno di passare più tempo con i coetanei, di costruire amicizie solide, stabilire alleanze e complicità, non solo in classe. Oggi ciò che è cambiato sono i tradizionali luoghi di appuntamento, spesso sostituiti dalla "piazza virtuale". Un cambiamento non privo di conseguenze sulla natura e sulla qualità dei rapporti personali. Perché se è vero che l'adolescenza è una fase della vita che è sempre stata caratterizzata dal rischio di essere sbeffeggiati, il cyberbullismo è molto più spietato: protetti dall'anonimato della rete, resi insensibili dalla mancanza di contatto fisico con la vittima, i carnefici non sanno misurare e prevedere le conseguenze dei loro atti. Il tutto sotto gli occhi della sterminata platea della rete e nell'assoluta mancanza di controllo da parte degli adulti, spesso all'oscuro delle dinamiche in cui sono immersi i cosiddetti "nativi digitali".
Chiara Stoppa, attrice, ha solo ventisei anni quando, nel 2005, le viene diagnosticato un tumore. Dopo due devastanti cicli di chemioterapia giunge il verdetto che non avrebbe mai voluto sentire: il suo male guarisce nell'85 percento dei casi, ma lei rientra nell'altro 15 percento. L'unica speranza, ora, è un trapianto. Chiara, che ha vissuto l'intera esperienza della malattia come sotto una campana di vetro, inizia a pensare a cosa dire ai suoi amici, alle persone a lei care, a come salutarle per sempre. Ma a quel punto, dopo un anno di torture, quella stessa campana di vetro si infrange: Chiara decide che è meglio alzarsi dal letto, riprendere possesso del proprio corpo, decide, insomma, che è meglio vivere. Così avvia un percorso di guarigione che ha del miracoloso, se si considera che è qui a raccontarlo. E in questo racconto, in cui la paura non riesce mai a spegnere del tutto la speranza, Chiara si mette in gioco con l'umiltà di dire che la sua è solo una delle scelte possibili. Un tumore ti cambia: cambia la tua routine, il tuo modo di vivere, di respirare, di stare con gli altri. Ma si può scegliere come relazionarsi con esso, ascoltando il proprio corpo per decidere quale sia la soluzione più adatta. Le persone sono diverse, e diverse possono essere le cure. Dalla sua esperienza Chiara Stoppa ha tratto un monologo teatrale privo di retorica ma pieno di energia, di ironia, con una carica vitale contagiosa.
Tommy ha da poco compiuto sedici anni. Vive l'età in cui tutti gli adolescenti cominciano a fare progetti sul futuro e i genitori si preparano a lasciarli camminare da soli. Ma Tommy è un adolescente speciale: certo, è bravissimo a risolvere il cubo di Rubik, sa alzarsi in equilibrio dopo aver girato per mezz'ora come una trottola sulla sedia d'ufficio del padre, però il suo sguardo fatica a incrociare il tuo e il suo vocabolario è fatto di una manciata di parole. Perché Tommy è autistico, un dolcissimo, solitario ragazzone che senza l'aiuto di qualcuno difficilmente potrà percorrere le strade della vita. Tommy "frequenta" il liceo artistico, ma non conosce l'ambizione di un diploma o di una laurea. Il vero traguardo di quelli come lui è l'autonomia nelle piccole azioni di tutti i giorni: sapersi lavare e vestire, allacciarsi le scarpe, affettare le zucchine per un piatto di pasta da cucinare sotto lo sguardo attento di un adulto. E se fino a un anno fa la sua gestione quotidiana - già tutt'altro che semplice - era pur sempre l'unico problema dei genitori, per loro è ora arrivato il momento di affrontare nuovi angoscianti quesiti: che ne sarà di Tommy domani? Chi se ne occuperà quando il padre e la madre non avranno più le energie per camminargli accanto? In questo libro, Gianluca Nicoletti ci racconta (e si racconta) cosa succede "dopo", quando al tuo bambino incapace di comunicare inizia a spuntare la barba e tu, oltre alle difficoltà del presente, devi fare i conti con il suo futuro.
"La paternità non è un fatto di sangue. Per come la vedo io, la paternità è qualcosa d'altro: è un susseguirsi di domande e voglia di esserci. Non esiste un manuale di istruzioni sulla paternità buono per tutte le occasioni. Esiste soltanto una risma di fogli bianchi che i tuoi figli ti aiutano a riempire. Fogli pieni di inevitabili errori, poesie improvvisate, arrabbiature ricorrenti, dolci sorprese. Fogli dove giorno dopo giorno annoti i tuoi goffi tentativi di regalare loro il dono più prezioso: quello di essere liberi e di non rinunciare mai a essere se stessi. Dei miei tre figli, uno è disabile. Moreno non vede, non parla e non può capire quasi nulla di quello che gli succede intorno. Moreno non sarà mai un uomo libero, anche se io fossi il padre migliore del mondo. Perché Moreno non può scegliere. Con Jacopo e Cosimo, posso provare a mettere nelle loro tasche un gettone di libertà. Magari minuscolo e un po' ammaccato. Ma posso sperare di riuscirci. Con Moreno, invece, so che non sarà mai possibile. Insomma, ho imparato presto che alcune partite non si potranno mai vincere. (In questo, essere interisti aiuta...) E col tempo ho anche imparato che, in ogni caso, non è soltanto la tua responsabilità di padre a importi di giocarle." A due anni dalla pubblicazione di "Zigulì", Massimiliano Verga racconta gli ultimi dodici, e decisivi, anni della sua esistenza in una sorta di cronaca-riflessione sulla paternità.
Jacob ha un quoziente intellettivo più elevato di quello di Einstein, una straordinaria memoria fotografica e ha imparato l'analisi matematica da solo in due settimane. A nove anni ha cominciato a elaborare un'originale teoria astrofisica che gli studiosi ritengono potrebbe un giorno metterlo in lizza per il premio Nobel e a dodici è diventato ricercatore in fisica quantistica. Ma la storia di Jake è ancor più straordinaria se si considera che, quando aveva poco più di due anni, i medici gli diagnosticarono l'autismo e dissero a sua madre Kristine che, da adulto, avrebbe potuto non essere nemmeno in grado di allacciarsi le scarpe. "Il mio bambino speciale" è il memoir di una madre e di suo figlio. Mentre gli esperti cercavano di far emergere quelle capacità "standard" che lo avrebbero reso più simile a tutti gli altri, Jake non migliorava, scivolando sempre di più nel suo mondo fino al punto di smettere completamente di parlare. Kristine, in cuor suo, sapeva che qualcosa doveva cambiare e che toccava a lei agire. E così, contro il parere del marito Michael, diede retta al suo istinto, togliendo Jake dalle scuole "speciali" e preparandolo lei stessa a frequentare l'asilo tradizionale, decisa anche ad assecondare le sue inclinazioni e i suoi interessi. Questa filosofia, insieme alla fiducia nel potere delle semplici esperienze dell'infanzia come il gioco, le diedero ragione. E i risultati andarono al di là di quello che lei stessa avrebbe immaginato.