Guardando alla storia, la pace sembra essere solo un intervallo tra un conflitto e l'altro. Perché sorprendersi, allora, quando scoppia una guerra? Non siamo più abituati a formulare un pensiero della guerra, che da un lato deve essere ragionata per mettere in campo delle strategie che le consentano di raggiungere il suo scopo, la vittoria. Dall'altro, come ogni atto umano, la guerra comunica un senso che chiede di essere compreso, un senso ogni volta particolare, ma anche generale, che si collega al destino dell'umanità che vi è coinvolta. Questo libro, nato dalle lezioni tenute da Guitton alla Scuola di guerra del Ministero della Difesa francese a partire dal 1952, aiuta a capire la logica intrinseca dello scontro armato, indagato a partire dalle sue origini. Se Guitton ha pensato la guerra, lo ha fatto non soltanto perché la conosceva bene per esperienza personale, ma perché riteneva che l'intelligenza di un cristiano dovesse applicarsi anche a essa.
Che cosa induce gli uomini a obbedire alle leggi? Quali sono i fondamenti ultimi dell'ordine politico? Secondo Voegelin la religione è il fattore che tiene insieme le società, la chiave di volta dell'esistenza umana, che si muove in una tensione perenne tra la precarietà della vita terrena e l'eternità dell'essere assoluto. La tradizione cristiana parla di creaturalità, ovvero lo stare in relazione con l'originario divino, ma al contempo segnati dalla finitezza e dalla morte. Se per Voegelin la crisi profonda che ha investito l'Occidente negli ultimi secoli nasce dal ripiegamento su se stessi, un percorso di ascesa è possibile grazie all'esperienza, descritta da Platone, dell'essere attratti fuori da sé, che corrisponde alla forza della grazia e all'attrazione del Cristo di cui parla il Vangelo. Religione e filosofia non sono in contraddizione, ma rivelano il nucleo dell'individuo come essere umano: la tensione verso Dio, l'invalicabile limite della persona.
Eric Voegelin (1901-1985) filosofo statunitense di origine tedesca si è occupato di filosofia politica e di storia della filosofia moderna. Tra le sue opere tradotte in italiano ricordiamo "Ordine e storia" (2 volumi, Vita e Pensiero, 2009-2015)
Pubblicato nel 1950, Il volontario e l'involontario si presenta come il volume inaugurale di un'antropologia filosofica posta sotto il titolo di Filosofia della volontà, che avrà il suo proseguimento con Finitudine e colpa (1960). Con sguardo fenomenologico e "partecipativo", che fa proprie le lezioni di Husserl e Marcel, Ricoeur affronta il tema cartesiano del rapporto tra libertà e natura attraverso la relazione tra il volontario e l'involontario, declinata in tre momenti: l'agire, il decidere e il consentire, che sono le forme costitutive dell'umano. La descrizione della reciprocità tra il volontario e l'involontario, andando oltre il dualismo di tanta parte del pensiero filosofico e scientifico, mette in luce i molti significati del "cogito incarnato", con disamine insuperate sulla decisione, il corpo e la sua esperienza, l'azione, l'abitudine, il carattere, la nascita, la vita, la morte. La dialettica tra il volontario e l'involontario mette capo al riconoscimento di una "libertà soltanto umana". Pagine che fanno di quest'opera un classico della filosofia contemporanea.
Lo spirito della liturgia è una classica interpretazione della spiritualità liturgica, germinata da una straordinaria potenza d'intuizione e da una perspicacia anticipatrice dei movimenti storici, quale il Guardini ha sempre testimoniate. Il volume, che uscì nel 1919 nella collezione "Ecclesia orans" promossa dall'abate Ildefons Herwegen di Maria Laach, nulla ha perduto a tutt'oggi della sua forza di penetrazione, del suo vigore di sintesi. Nei santi segni l'autore avvia ad una calda comprensione della liturgia e del suo simbolismo. Gli si apre dinanzi così, intatta, la ricchezza di allusione e di appello religioso insita nel segno della croce, nell'inginocchiarsi, nel vario atteggiarsi della mano di chi prega, nell'incedere processionale, nel battersi il petto, nel cero, nell'acqua benedetta, nella fiamma sacra, nella cenere penitenziale, nell'incenso, nella luce, emblema della verità di Dio, nel pane e nel vino, nell'altare coi suoi lini, nel calice e nella patena, nella benedizione, nelle campane. Lo spazio nelle sue direzioni, il tempo con l'avvicendarsi dei ritmi quotidiani, rivelano, essi pure, un'arcana consacrazione liturgica. Profondità cristiana e sensibilità lirica si fondono armonicamente in queste pagine.
Queste pagine - scrive Chiara Montini, che ha distillato la scelta delle lettere di Giovanni Battista Montini dal Carteggio completo - «raccolgono una selezione di pensieri, riflessioni personali, spunti che si amplificano quasi in preghiere ed invocazioni, sollecitazioni a seguire un determinato cammino, analisi di comportamenti, illuminazioni chiarificatrici del carattere, introspezioni, considerazioni lucide su eventi del tempo, dichiarazioni di affetti e di legami d'amicizia». Una sintesi, intima e affettuosa, che è anche un invito alla conoscenza di questa figura straordinaria e, attraverso essa, stimolo alla spiritualità e alla devozione.
Il Dio vivente è a un tempo fonte di ispirazione e anelito della ricerca filosofica di Schelling e di Pareyson, due dei maggiori esponenti dell'idealismo tedesco e dell'ermeneutica contemporanea. L'autore indaga le loro riflessioni sulla libertà e il male, sull'Inizio e la Trinità, in un confronto continuo della filosofia con i propri limiti e con i significati della religione. L'esperienza dello stupore della ragione è il punto di contatto attraverso il quale una conoscenza rigorosamente razionale, consapevole della propria finitezza ma anche delle proprie potenzialità, diviene capace di ascoltare il pulsare di una realtà ancora più grande. In forma simbolica, secondo una rappresentazione tragica della libertà, i problemi del bene e del male, del pluralismo e dell'interpretazione, del dialogo e della verità, della morte e dell'escatologia possono essere affrontati con illuminante passione.
Nelle pagine di Dobraczynski si dipanano intricate vicende, dense di passioni politiche, di orgogli e cupidigie di potere, nel teatro inquieto di una Polonia sempre vigile sui suoi mobili confini, tra Moscoviti, Cosacchi, Tartari, Lituani, Ungheresi. Superbi etmani, vescovi e primati dai costumi principeschi, custodi bensì della religione cristiana ma insieme profondamente implicati in trame e congiure, la patetica apparizione di un re senza vigore e senza conforto di stima da parte di incostanti elettori come Michele Wisniowiecki, formano lo sfondo dai colori violenti su cui si staglia la figura di colui che l'Europa intera acclamerà come suo salvatore alla liberazione di Vienna dall'assedio dei Turchi (1683).Il contrappunto alla tumultuosa peripezia pubblica è costituito dall'amore veemente e tormentato di Sobieski per colei ch'egli chiamava familiarmente Marysienka, l'affascinante e capricciosa francese Maria Casimira de la Grange d'Arquien; egli tuttavia, con una lotta assidua per superare le remore del sentimento privato, entra nell'alone fumante e corrusco dell'epopea divenendo eroe della cristianità, oltreché del suo paese, e sconfiggendo con gli eserciti polacco e imperiale l'immensa armata di Kara Mustafà, attendata ai piedi del Wienerwald: capolavoro di strategia e di spericolato ardimento.
«In ogni lastra di pietra, su ogni stradicciola, sul selciato del Litostroto, sulle pietre della Via dolorosa, sul pavimento del Cenacolo, dovunque, dovunque ci sono - seppur invisibili - le autentiche impronte dei piedi di Gesù. Le riscopriamo non con lo sguardo, ma col cuore. Di tanto in tanto, in occasione di svariate scoperte, compare il termine di "quinto Vangelo". Sentiamo il bisogno di qualcosa che completi la prosa asciutta dei quattro Vangeli esistenti con particolari più precisi sulla vita terrena di Gesù. Ci sembra che se esistesse un quinto Vangelo, il Vangelo tutto intero ci sarebbe più vicino». Così scrive l'autore in queste pagine che raccontano un pellegrinaggio in Terra santa svolto nell'aprile 1980. L'entusiasmo, gli imprevisti, le note ironiche o critiche, le fotografie scattate da un compagno di viaggio contribuiscono a restituire da un lato l'immagine viva di un luogo denso di storia e di conflitti, dall'altro la fede e la sensibilità narrativa di Dobraczy?ski.
Per comprendere le dinamiche della storia e della politica occorre un'adeguata conoscenza della natura dell'uomo. Da questo presupposto prende avvio l'opera di Reinhold Niebuhr - qui tradotta per la prima volta in italiano -, dove viene descritta l'ambiguità della personalità umana, caratterizzata da una libertà radicale che apre a possibilità infinite di bene e di male. Questa ambiguità si riflette anche nelle discrepanze tra il comportamento morale e sociale degli individui e quello dei gruppi, meno capaci di controllare gli istinti e di andare al di là dei propri interessi, come dimostrano, per esempio, le questioni del razzismo e del nazionalismo. Per provare a risolvere la tensione tra il singolo e la comunità, tra classi, etnie e Stati, Niebuhr dichiara il bisogno urgente di un "realismo cristiano", che permetta alla politica di non rimanere intrappolata nell'immanenza della storia, ma di rivolgersi verso ciò che la eccede.
«Un titolo pregnante e promettente, quello che Romano Guardini ha assegnato a una ricca raccolta di saggi, di trattati, di conversazioni culturalmente ambiziose sulla scia di quanti in Germania e altrove hanno sviluppato il concetto goethiano di Bildung, di formazione. Per l'autore, nel 1923, assumeva un'importanza cruciale l'applicazione delle sue idee pedagogiche generali, messe alla prova nel cantiere educativo del Castello di Rothenfels e nella creazione dell'associazione giovanile Quickborn, all'ambito della liturgia cattolica. Da tale necessità nacque Formazione liturgica che si proponeva - scavando più a fondo rispetto a Spirito della liturgia (1918), con un processo fenomenologico e inserito in una prospettiva di antropologia metafi sica - di mostrare come la liturgia abbia fondamenti incrollabili nella natura dell'homo religiosus, per giungere poi a una piena espansione nell'area della grazia "soprannaturale", una sfera di gratuità "positiva", quella della fede rivelata, al cui centro è l'incarnazione del Verbo di Dio, di Cristo.» (dalla premessa di Giulio Colombi)
Le emergenze storiche e esistenziali del tempo in cui viviamo ci pongono di fronte alla necessità di modificare i nostri stili di vita e di riflettere sui comportamenti che adottiamo. Le virtù cardinali in particolare consistono negli abiti morali che predispongono la persona a operare il bene, agendo in maniera responsabile. Prudenza, giustizia, fortezza e temperanza - a ciascuna delle quali è dedicato un capitolo di questo libro - costituiscono il "cardine" su cui ruota la porta per entrare in una vita morale pienamente vissuta, capace di preparare il terreno all'avvento di Dio nel nostro cuore e anche a renderci in grado di realizzare il Suo progetto.
L'attenzione rivolta da Guardini verso il vescovo di Ippona è motivata dal fatto che «Agostino ha stabilito un legame non solo dall'antichità al Medioevo, ma anche all'antichità all'epoca moderna. I pensatori e i maestri spirituali del Medioevo hanno attinto a piene mani dai suoi scritti, ma molti dei suoi interrogativi sono rimasti a loro estranei. A questi appartiene in primo luogo quello riguardante il modo con cui il singolo uomo si trova nell'esistenza. Quando Agostino lo pose, stavano crollando i sistemi di difesa e di sostegno che costituivano un cosmo attorno all'uomo antico e davano alla sua esistenza un'autocomprensione. [...] Ciò qualificò quest'uomo appena fattosi cristiano a sperimentare la realtà dell'esistenza personale e a vedere i problemi che ne derivavano in una maniera e con una acutezza tali che erano mancate all'antichità. Ugualmente però erano anche mancate al Medioevo». Solo nell'epoca moderna, con Pascal, riaffiora la temperie agostiniana, riemerge la potenza di un interrogare che trova nelle Confessioni «una delle manifestazioni più pure della moderna esperienza esistenziale». Postfazione di Massimo Borghesi