È l'artista che per primo ha dato un'anima alle sue opere. Dei suoi quadri e dei suoi affreschi sappiamo perciò molto, ma della sua vita di uomo ben poco, avvolta com'è nella leggenda. Ora da un accurato lavoro di scavo negli archivi e dalle cronache dell'epoca, Alessandro Masi fa nascere una rigorosa e documentatissima biografia di Giotto, del «ragazzo» che rivoluzionò la pittura tra il Duecento e il Trecento, quando si preparava la Rinascenza. E lo fa narrando quella vita come fosse un romanzo. Così entriamo con Giotto nella Basilica Superiore di Assisi, nella cappella degli Scrovegni a Padova, nelle basiliche di Roma, Napoli, Firenze... Un racconto tanto vivido che sembra di sentire l'odore dei colori, di stare sulle impalcature a osservarlo dipingere, di percepire lo stupore dei committenti di fronte a opere che non avevano alcun paragone con quanto realizzato prima. Emergono con forza i suoi rapporti con il maestro Cimabue, con gli intellettuali della sua epoca e in particolare con Dante, di cui fece un ritratto giovanile nel 1302, prima dell'esilio del poeta, e che incontrò nuovamente a Padova mentre creava un capo - lavoro per una famiglia tanto ricca quanto chiacchierata, gli Scrovegni appunto. Boccaccio fece di Giotto un personaggio del suo Decamerone. E dietro di lui si stagliavano Petrarca e i papi del travagliatissimo periodo della sua esistenza. Ne esce lo spaccato di un'epoca, di un grande artista e di un uomo non privo di ombre e contraddizioni. Migliore interprete di sempre del poverello di Assisi, viveva nell'angoscia di diventare povero e di non poter sistemare la sua numerosa prole. Probabilmente una volta arricchito divenne anche usuraio e, invitato dagli intellettuali a schierarsi nell'agone politico dell'epoca, si dimostrò tutt'altro che incline alle azioni coraggiose.
America settentrionale, 1660. Bethia Mayfield ha quindici anni quando una sera dal suo letto sente il padre e il fratello annunciare quella che per lei è un'insperata felicità: Caleb della tribù wampanoag, da anni suo grande amico segreto, andrà a vivere nella loro casa, dopo il battesimo e la conversione alla religione cristiana. Bethia è nata e cresciuta in una piccola comunità inglese di pionieri puritani insediatisi sull'isola di Martha's Vineyard, un lembo di terra affacciato sull'oceano atlantico, schiacciato tra la selva e il mare. È sempre stata una bambina seria e silenziosa, e ha accentuato il suo carattere solitario dal giorno in cui l'amata mamma è morta dopo aver dato alla luce la piccola Solace. Inquieta e curiosa, Bethia subisce a malincuore quello che è il destino di una ragazzina del XVII secolo: non accedere all'istruzione o, come dice Makepeace, il suo pingue e pigro fratello, essere "dispensata" dall'onere degli studi. Trascorre così le giornate occupandosi di Solace, della casa e del padre, il pastore della comunità, un uomo di specchiata e intransigente moralità. Nei momenti liberi, tuttavia, la sua ansia di sapere, il suo desiderio di conoscenza dello strano mondo e delle cose che la circondano prendono il sopravvento. Bethia se ne va in giro per l'isola, a esplorare baie e boschi, e a osservare i nativi e i loro riti, che la affascinano e al tempo stesso la turbano, tra consapevolezza di libertà e paura del peccato. Ha dodici anni quando incontra Caleb...
New Brunswick, Canada, 1916. Sull'arida Bay Chaleur il cielo è spesso una distesa lattiginosa abbandonata dalla luce. Le sorelline Idella e Avis Hillock non hanno, però, alcun timore a varcare la porta della loro casa a picco sull'oceano e ad avventurarsi nel bosco. A otto e sei anni, è bello farsi largo fra i rovi, scavalcando radici e alberi caduti e guazzando nelle pozzanghere alla ricerca di un piccolo ramo di biancospino. Idella e Avis indossano scarpe di seconda mano, e dividono con Dalton, il fratello più grande, pasti a dir poco frugali, ma che importa se il cuore può gioire davanti a quei minuscoli fiori bianchi sospesi sull'erba come falene, e se basta una corsa a perdifiato nel bosco per essere felici? Un giorno, però, come un esile soffione spazzato via dal vento, la felicità vola via. Idella è in cucina, tentata dal pane lasciato sulla tavola, quando la signora Jaegel, la levatrice che ha aiutato la mamma a partorire una bambina, compare nella stanza con il viso imperlato di sudore e una bacinella d'acqua tra le mani. L'acqua fuma ancora quando scandisce a voce alta le sue terribili parole: "Se n'è andata". Da quel tragico giorno della morte della mamma, tutta la nebbia di Bay Chaleur sembra penetrare in casa Hillock e foderarla da cima a fondo. In un silenzio irreale, ogni sera Bill, il padre, si chiude in cucina, in compagnia della sua amata bottiglia di whisky, a meditare sulla sua sventura: due bambine piccole, un figlio taciturno e una neonata da svezzare.
Con la pubblicazione nel 2014 dei tre volumi dei "Quaderni neri" si è di nuovo proposta una querelle classica della vicenda di pensiero di Martin Heidegger: «Heidegger e la politica». Più precisamente: «Heidegger e il nazismo». E più ancora «Heidegger e gli ebrei». Al di là, tuttavia, della evidente operazione di marketing editoriale che ruota attorno a questa riproposizione, i "Quaderni neri" pongono una serie di questioni rilevanti sul rapporto tra Heidegger e il suo tempo storico e sull'ultima fase della sua riflessione filosofica. Oggetto di questo libro sono esattamente tali questioni, strettamente connesse al grande tema heideggeriano della modernità e della tecnica. Eugenio Mazzarella mostra come dopo l'esplicita adesione al nazismo, attestata chiaramente dal celebre discorso del rettorato del 1933, Heidegger avviò un vero e proprio disimpegno dalla politica e dalla realtà storica del suo tempo. Disimpegno che assume un tono sempre più apocalittico man mano che, nell'inoltrarsi negli anni Trenta, diviene sempre più chiara, per il filosofo tedesco, la deriva di mera potenza del Reich «millenario»; da contropotenza politico-spirituale alla crisi dell'Europa a mera variante del mondo moderno, del calcolo della «tecnica». Un giudizio che consegna l'intero presente - il mondo, la vita, la storia, e l'umanità che vi è coinvolta - al puro abisso di un anatema gnostico, di fronte a cui non c'è scampo se non quello di un'altra possibile storia dell'Essere a venire, sancita dalla celebre espressione: «Soltanto un dio ci può salvare». La storicità concreta, esistenziale e storica, così come si offriva in Essere e tempo, viene in tal modo completamente abbandonata.
"Questo libro parla soprattutto dell'esperienza umana": avverte Max Hastings nell'introduzione a questa imponente storia della Seconda guerra mondiale. L'esperienza, innanzi tutto, di milioni di individui, soldati in prima linea o civili che fossero, schiacciati dalla necessità di sopravvivere nel mondo devastato dalla violenza e dall'orrore. Attraverso una miriade di microstorie estrapolate dai più diversi scenari del mondo in guerra, e costellate di aneddoti e testimonianze pregnanti, Hastings ricostruisce il teatro di un "inferno" globale che non risparmiò alcun angolo del pianeta. Nel ripercorrere la Storia che va dall'invasione della Polonia alle atomiche su Hiroshima e Nagasaki, il libro elabora un quadro diverso, completo sul piano geografico considera per esempio i teatri di guerra di India e Cina, troppo spesso trascurati - e, per molti versi, sorprendente su quello statistico, con numeri che fanno pensare, come i circa trecentomila soldati russi uccisi dai propri comandanti - più del totale dei soldati inglesi uccisi per mano nemica durante l'intera guerra - o i quindici milioni di morti in Cina. Infine l'analisi storica propone interrogativi di non poco conto dal punto di vista storico. Quali strategie, quali fronti, quali divisioni, quali resistenze di massa hanno determinato l'esito storico del conflitto? Quale reale incisività hanno avuto gli USA e la Gran Bretagna? A chi, dati alla mano, è più giusto attribuire il merito di aver sconfitto Hitler e il nazismo?
"I luoghi del pensiero" non è un libro di filosofia, ma parla soprattutto di filosofi, delle loro vite e dei luoghi che hanno abitato. È perciò una originale cartografia intellettuale che racconta la storia delle idee e della loro genesi. Un viaggio-reportage alle radici della cultura europea: nomi, case, sepolcri degli uomini che hanno cambiato la nostra visione del mondo. Soprattutto: idee nate da quei nomi, in quelle dimore, interrate in quei sepolcri, ma ancora vive perché potenti, lungimiranti, preziose, eterne, fondative. Perché c'è un'aura in ogni luogo, un linguaggio non detto che si impara ad ascoltare. Da Spinoza, nel Seicento olandese, Paolo Pagani risale il tempo e lo spazio fino a Thomas Mann, inseguendo e spiando nel loro lavoro quotidiano e nell'impegno di una vita grandi filosofi e scrittori, muovendosi fra stati, città, paesi, borghi, piccoli abitati, baite, stanze in affitto, monti e mari, dal Sud al Nord dell'Europa, fino agli Stati Uniti.
Il sole tramonta a San Francisco e la Youki Singe Tea Room è quasi deserta. Bizzarro e miracoloso miscuglio di Giappone e Francia, con la sua boiserie di mogano, consunta e annerita come quella di un cllub per soli uomini di una città coloniale. Nel corso della sua vita, il locale ha intrettenuto immigrati italiani e ricche ereditiere californiane, beatnik alcolizzati, figli dei fiori, scaricatori di porto e donne sfacciate. Ora, però, accoglie unicamente la gioventù più disincantata della città.